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ALIFE – Agrizoo, la sentenza del Tar arriva dopo 11 anni: comune condannato anche al pagamento delle spese

Alife, il palazzo municipale

ALIFE – Caso Agrizoo, la sentenza del Tar arriva dopo 11 anni e boccia l’ordinanza del comune, condannando il municipio di Alife al pagamento delle spese, quantificate in 2mila euro. Undici anni per una sentenza del Tar. Poteva anche andare peggio, suggeriscono gli addetti ai lavori.
La sentenza si innesta sul  ricorso numero di registro generale 5062 del 2003, proposto dalla Società Cooperativa Agrizoo a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Angelo Campomaggiore, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Petrella, contro il comune di Alife. I ricorrenti chiedevano l’annullamento  del provvedimento emesso dal Sindaco del Comune di Alife, in data 18 febbraio 2003, prot. n. 1573/2159, notificato il 19 febbraio 2003, con cui è stato ordinato ai ricorrenti di sospendere con effetto immediato il funzionamento della stalla bovini e bufalini, con conseguente sospensione dello scarico dei liquami zootecnici nel terreno e dello scarico di acque reflue industriali, nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali.  Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Condanna il comune di Alife al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA, cassa ed accessori come per legge.

LA SENTENZA:

– Le ricorrenti, Società cooperativa Agrizoo e ditta individuale Campomaggiore, esercitano attività di accrescimento e svezzamento di bufale. Le stesse formano un’unica azienda agricola, ubicata in Alife, loc. Torrione, posta a circa 3,5 Km. dal centro abitato.

In data 5 febbraio 2003 i Carabinieri della locale stazione sanzionavano la Coop. Agrizoo per mancanza della comunicazione di inizio attività di allevamento, ai sensi degli artt. 216 e 217 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico leggi sanitarie – T.U.L.S.) (verbale n. 21/1-2) e per assenza dell’autorizzazione allo spandimento delle deiezioni liquide prodotte dagli animali ex art. 38, comma 1 e art. 54, comma 7, d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (verbale n. 21/1-4). Analoghe sanzioni erano elevate a carico della ditta Campomaggiore Angelo (verbali n. 21/1-3 e n. 21/1-5).

Sulla base delle comunicazioni inviate dai Carabinieri, il Sindaco di Alife, con provvedimento n. 1573/2159 in epigrafe meglio specificato, ordinava ai ricorrenti – in applicazione degli artt. 216 e 217 T.U.L.S., nonché degli artt. 59, 38 e 54 D. Lgs. 152/99 – di sospendere con effetto immediato il funzionamento della stalla bovini e bufalini, con conseguente interruzione dello scarico dei liquami zootecnici nel terreno e dello scarico di acque reflue industriali.

2.- Coop. Agrizoo ed Angelo Campomaggiore hanno impugnato il suddetto provvedimento con l’odierno ricorso, notificato il 18 aprile 2003 e depositato il successivo 14 maggio successivo, col quale hanno dedotto le seguenti censure:

1) Violazione art. 7 L. n. 241/1990 per omesso avviso dell’avvio del procedimento; eccesso di potere;

2) Violazione, sotto diversi profili, degli artt. 216 e 217 T.U.L.S., omessa istruttoria, error in procedendo, omessa motivazione;

3) Violazione, sotto diversi profili, del d. lgs. 152/1999, come modificato dal d. lgs. 258/2000; carenza d’istruttoria e conseguente omessa motivazione, travisamento, contraddittorietà, eccesso di potere.

Il Comune di Alife non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 2628 del 29 maggio 2003, il Tar ha accolto la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

A seguito di istanza di revoca depositata il 15 novembre 2013 il Tribunale adottava il decreto n. 140 del 23 gennaio 2014 di revoca del decreto presidenziale di perenzione n. 7928 del 1° luglio 2013.

Era quindi fissata udienza di discussione il 22 maggio 2014, data in cui la causa era trattenuta per la decisione.

3.- Il ricorso merita accoglimento.

3.1.- Risulta, in primo luogo, fondato il motivo di contestazione relativo all’omessa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, la quale, nel caso specifico, non è stata sostituita da alcuna misura alternativa che, in altro modo, avesse consentito ai ricorrenti di interloquire con l’Amministrazione prima dell’emissione del provvedimento impugnato.

Questo T.A.R. ha chiarito che (Sez. V, sentenza n. 2987 del 27 settembre 2012) anche in presenza di ordinanza contingibile e urgente, o anche avente soltanto valenza “ambientale”, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento si giustifica “unicamente in presenza di un’urgenza qualificata”, in relazione alle circostanze del caso concreto, che deve essere debitamente esplicitata in specifica motivazione sulla necessità e l’urgenza di prevenire il grave pericolo alla cittadinanza anche perché sussiste un rapporto di conflittualità e di logica sovraordinazione tra l’esigenza di tutela immediata della pubblica incolumità e l’esigenza del privato inciso dall’atto amministrativo di avere conoscenza dell’avvio del procedimento”.

Questo perché “il principio partecipativo alla base della comunicazione di avvio del procedimento ha carattere generalizzato e impone, alla luce delle regole fissate dall’art. 7 della L. 241/1990, che l’invio di essa abbia luogo in tutte quelle situazioni nelle quali la possibilità di coinvolgere il privato non sia esclusa da esigenze di celerità che caratterizzano la fattispecie e che devono essere puntualmente esplicitate nel provvedimento in concreto adottato” (cfr. anche, TAR Napoli, III Sez. 16 luglio 2008 n. 8865).

L’esigenza di fare precedere il provvedimento impugnato dalla comunicazione di avvio del procedimento, ricorre anche nella fattispecie in esame nella quale l’amministrazione comunale – prima di mettere in atto un intervento repressivo, nei casi sia di omessa preventiva comunicazione, di cui all’art. 216 T.U.LL.SS., sia di presenza di vapori, gas o liquidi rischiosi per la salute pubblica, di cui all’art. 217 T.U.LL.SS. – è tenuto a condurre un’adeguata istruttoria, volta ad accertare l’effettiva sussistenza di situazioni di pericolo o di danno concreto per la salute pubblica, ovvero prescrivere le norme da applicare per prevenire o impedire il danno.

Solo all’esito del mancato rispetto delle prescrizioni, è doveroso il provvedimento repressivo.

Dagli atti di causa risulta al contrario che il comune non ha fatto precedere l’attività repressiva dalla comunicazione di avvio del procedimento né ha condotto un preventivo accertamento – in esito alle sanzioni comminate dai Carabinieri – circa l’effettiva situazione di pericolo per la salute pubblica.

3.2.- Con riferimento poi all’applicazione dell’art. 216 T.U.L.S., consolidato orientamento della giurisprudenza ha affermato che l’istallazione nell’abitato (o in prossimità di questo) di un’industria insalubre non è di per sé vietato in assoluto, posto che la disposizione appena citata consente, in determinate circostanze ed in particolari condizioni, se accompagnato dall’introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato (cfr. di recente, questa stessa sezione, sentenza 27 maggio 2010, n. 2152; più risalente, Cons. Stato, Sez. IV, 31 luglio 2000, n. 4214; TAR Lombardia, Brescia, 16.7.2003, n. 1095; TAR Emilia Romagna, Parma, 9 febbraio 2001, n. 60; TAR Marche, 23 novembre 2001 n. 1201).

Ciò comporta che, per il profilo sanitario, la valutazione dell’attività produttiva non può essere compiuta aprioristicamente con il divieto generalizzato determinati insediamenti produttivi nel centro abitato o ad una prestabilita distanza dallo stesso, in quanto l’autorità sanitaria deve preventivamente accertare la presenza delle condizioni indispensabili affinché essa si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica (cfr., TAR Brescia, Sez. II, 5 febbraio 2013, n. 145).

Nel caso di specie, peraltro, parte ricorrente ha dimostrato agli atti della causa (circostanza dichiarata anche nel verbale ai Carabinieri) che il Comune di Alife era formalmente a conoscenza della presenza dell’allevamento in contestazione, almeno dal 14 novembre 1997, epoca in cui la Cooperativa Agrizoo aveva chiesto di trasferire trecento capi bufalini dal Comune di Pignataro Maggiore a quello di Alife, loc. Torrione-Boscarelle, trasferimento al quale il comune di Alife aveva espresso il proprio assenso (prot. n. 13799 del 14 novembre 1997).

Ne consegue che il provvedimento impugnato non regge alle censure formulate anche riguardo alla carenza dei presupposti, d’istruttoria e di motivazione.

3.3.- Anche con riferimento alla corretta applicazione dell’art. 217 T.U.L.S., il provvedimento del Comune di Alife non è esente da censure.

Il Comune avrebbe infatti dovuto, in via preventiva, non solo accertare la presunta pericolosità ma anche prescrivere le misure da adottare per impedire il pericolo di eventuali contagi.

L’ordine di sospensione si fonda esclusivamente sulla presunta assenza dell’autorizzazione al funzionamento della stalla, come accertata dai verbali dei Carabinieri.

Ed invero, l’ordinanza di sospensione a tempo indeterminato di attività insalubri – disposta dal Sindaco ai sensi dell’art. 217, comma 2, d. lgs. T.U.L.S. – è illegittima ove non sia stata preceduta dall’invito a predisporre le cautele opportune ad evitare nocumenti alla salute del vicinato.

3.4.- Il provvedimento impugnato non si sottrae a critiche anche con riguardo al richiamo alla normativa dettata dal d. lgs. 152/1999, laddove contesta ai ricorrenti di “aver attivato e mantenuto uno scarico di acque reflue industriali in assenza di autorizzazione”.

Agli atti della causa emerge che, in data 27 marzo 2003, parte ricorrente ha depositato presso il Comune di Alife, comunicazione per l’utilizzazione dei liquami zootecnici.

Tuttavia, la fattispecie in esame non riguarda propriamente lo scarico di reflui in senso stretto quanto l’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento, “come mezzo di trattamento che assicuri un utile alla produzione ed in ogni caso una idonea dispersione ed innocuizzazione dei reflui liquidi stessi, in modo che le acque sotterranee, le acque superficiali, il suolo, la vegetazione non subiscano degradazione o danno, né si producano inconvenienti ambientali come sviluppo di odori o diffusione di aereosols o rischi per la salute pubblica” (come precisato nella perizia giurata, anch’essa depositata agli atti della causa).

Non a caso, il verbale di contestazione dei Carabinieri, richiamato nell’ordinanza impugnata, non contesta la potenziale dannosità dello scarico, bensì solo l’assenza della comunicazione per lo spandimento.

Ebbene, il provvedimento di sospensione adottato dal Sindaco del Comune di Alife è erroneo nei presupposti e carente di preventiva attività istruttoria e di motivazione, atteso che ha considerato l’attività contestata quale spandimento dei liquami con lo scarico dei reflui e non, come più correttamente avrebbe dovuto, nell’ambito della disciplina dei reflui degli insediamenti civili ai sensi dell’art. 28, comma 7, lett. b) d. lgs. 152/1999 (cfr. sul punto, recente, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 26 febbraio 2013, n. 1133).

Si rammenta che, con specifico riferimento all’attività di scarico, l’art. 51 d. lgs. 152/1999 subordina il provvedimento di sospensione, ad una preventiva attività di diffida e di accertamento della pericolosità dello scarico medesimo per la salute pubblica e l’ambiente. Anche per questo aspetto, il Comune di Alife non ha svolto alcuna preventiva indagine sulla pericolosità né ha inviato in via preventiva alcuna diffida ai ricorrenti.

4.- Per quanto sopra, il ricorso va accolto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna il comune di Alife al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA, cassa ed accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Sabato Guadagno, Presidente

Gianmario Palliggiano, Consigliere, Estensore

Alfonso Graziano, Primo Referendario

 

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