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SAN CIPRIANO D’AVERSA – LA MORTE DEL BOSS BASILE SI TINGE DI GIALLO, SCATTA LA DENUNCIA

San Cipriano d’Aversa  (Maria Giovanna Pellegrino) –  Lo hanno lasciato morire da solo, in una cella del carcere di Parma rifiutandogli, negli ultimi giorni di agonia, il soccorso ed il trasferimento presso una struttura ospedaliera: ora a distanza di poco più di un mese dalla morte di Luigi Basile, “‘o’ Marsigliese”, il boss della Nuova Famiglia che, nell’ estate dell’ 88, raccontò come il padrino Antonio Bardellino era stato assassinato in Brasile, scatta la denuncia presso la procura della Repubblica di Parma. A chiedere l’apertura di una inchiesta su delle presunte irregolarità che sarebbero state commesse nel carcere di Parma e dai sanitari che tenevano sotto controllo Basile ridotto ad una larva umana, è l’avvocato Alfonso Reccia del foro di Santa Maria Capua Vetere. difensore storico del Marsigliese. A Basile, deceduto lo scorso 4 giugno, era stato negato qualsiasi trasferimento anche presso l’ospedale, nonostante le cartelle cliniche attestassero il suo stato di malato terminale. Dal carcere di Opera di Milano era stato trasferito in quello di Parma dove vi è un centro clinico e dove è deceduto per la malattia che da tempo combatteva ed alla quale da anziano si era arreso. Il suo desiderio però era di morire nel letto di casa sua che da qualche giorno la Suprema Corte della Cassazione gli aveva restituito dando ragione al ricorso del suo avvocato. Ma così non è stato. Quando dalla sua cella Basile è stato trasferito presso la struttura sanitaria, il boss era già finito. Secondo la difesa, a Basile sono stati negati i propri diritti ed è per questo che l’avvocato Reccia cita in causa anche il Ministero di Giustizia. In condizioni di salute così gravi Basile non era in grato di poter nuocere più ad alcuno, né di impartire ordini all’esterno. Il suo status di ergastolano poteva essere affievolito in virtù del grave pericolo di vita che correva e perché data la malattia all’ultimo stadio non poteva essere più assistito in cella. Quando invece i sanitari del carcere si sono resi conto che era finito in coma, solo allora o’ Marsigliese è stato trasferito in ospedale dove nulla è stato più possibile fare, neppure alleviare il suo dolore. Basile ha combattuto da solo l’ultima battaglia ed ha fatto la fine dell’ infame, così come egli aveva fatto quando denunciò De Falco. Basile per sfuggire alla morte aveva tradito la fiducia di Enzo De Falco, ‘o fuggiasco, che lo aveva salvato da una carneficina dopo la morte di Paride Salzillo, strangolato con un filo di ferro mentre era legato ad una sedia il cui cadavere venne gettato nei regi lagni. Il boss andò a consegnarsi, corpo ed armi, presso la caserma Pastrengo nel centro di Napoli. Qui restò a parlare per tre giorni e per tre notti, raccontando fatti raccapriccianti su attentati e feroci esecuzioni. Secondo o’ Marsigliese Antonio Bardellino era stato ucciso nella sparatoria fra bande di gangster italiani e brasiliani a Buzios. Per Basile, Bardellino era rimasto vittima del tradimento di uno dei suoi più fidati luogotenenti Mario Iovine, il quale, secondo Basile, era transitato nel clan di Lorenzo Nuvoletta. La tesi del pentito Basile venne avvalorata anche dal rientro improvviso, da Santo Domingo, di Rita De Vita, la donna che aveva dato a Bardellino tre figli. Le sue dichiarazioni però non sono servite ad incastrare Sandokan ed egli si è ritrovato da solo dopo una condanna all’ergastolo. Per motivi di salute, dopo un intervento chirurgico per l’espianto di un rene, già consumato dall’incalzante malattia, ottenne per breve tempo i domiciliari. Poi di nuovo in cella definitivamente, rifiutandosi alla fine di parlare con il mondo esterno se non coi suoi più stretti familiari e con il suo difensore che ora chiedere chiarezza e giustizia chiamando in causa il Ministero di Giustizia.

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