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Afghanistan: la tomba degli Imperi. La storia dimostra

(di Sandrino Luigi Marra)
Perché una rubrica come la nostra dovrebbe occuparsi di storia, della storia di un paese balzato alle cronache per il fallimento ed il ritiro del fronte di alleati occidentali che occuparono il paese nel 2001? Perché secondo noi la rubrica è informazione e da quel che scriviamo da qualche anno, dimostriamo che dietro gli avvenimenti vi è una storia, a volte breve a volte lunga ma sempre il tutto si collega inesorabilmente ad avvenimenti del passato. E purtroppo fin troppo spesso le sofferenze dei più fragili sono legate ad interessi ben diversi da quelli che si vogliono “esportare”, e se non conosciamo il passato finiamo per seguire le informazioni che distorte, interessate e spesso pregiudizievoli, ci giungono pensando poi che siano corrette. Scopriamo così che la conoscenza è la base del pensiero critico ed autonomo, che conoscendo comprendiamo, e nel caso in analisi, ancora una volta una realtà fatta di interessi che non guardano a nulla. Ma scopriamo che esiste anche una “giustizia storica” come amo definirla che a sua volta non guarda a nulla facendo appunto giustizia. E’ ciò che è accaduto in Afghanistan, ove un occidente accecato da un giustizialismo autoritario ha dimenticato di guardare la storia ritrovandosi esattamente nella situazione e con gli errori protrattisi per millenni. Errò tra i primi il grande Alessandro Magno ed hanno errato tutti coloro che hanno inseguito l’avventura ed il sogno del dominio dell’Afghanistan. Attraversato dall’imponente catena montuosa dell’Hindu Kush l’Afghanistan è costellato da cime che superano i settemila metri di quota, il suo territorio inospitale ed impenetrabile è in buona parte costituito da deserti aridi e rocciosi. Le popolazioni,  tenaci e diffidenti, anche se  rivali tra loro si sono sempre unite con efficacia dinanzi ai nemici. Sul loro territorio grandi condottieri e potenti eserciti hanno infranto sistematicamente le proprie egemonie, spesso in modo rocambolesco. E gli Stati Uniti sono in ordine temporale, solo l’ultimo dei grandi sconfitti. Una leggenda Afghana racconta che quando Allah creò il mondo, raccolse le pietre avanzate e le scaraventò sulla terra e fu allora che prese forma l’Afghanistan.
Incastonato nel cuore dell’Asia questo sperduto paese contraddistinto da montagne imponenti e territori quasi impenetrabili ha ospitato e forgiato nel corso dei secoli, guerriglieri formatisi dalle avversità naturali e insofferenti ad ogni forma di controllo e di dominazione. Nelle montagne più interne e remote esistono tribù che non solo non sono mai state conquistate, ma che non hanno mai visto radicarsi un potere interno. Composte da una moltitudine di etnie, se ne contano almeno 13 oltre la maggioritaria Pashtun, oltremodo diversificate per origini e cultura (tagika, uzbeca, hazara, turkmena, ma anche popolazioni di origini indiana, mongola, araba, greca) il paese è divenuto nel corso di più di 2000 anni un crogiuolo di popolazioni. L’Afghanistan fin dall’antichità è stato un fondamentale snodo delle rotte carovaniere tra Occidente ed Oriente sulla cosiddetta “Via della seta”, attirando gli appetiti di molti stati ed imperi confinanti, che spesso se non sistematicamente hanno avuto interesse nel conquistare il paese. Pur travolte in più occasioni, le popolazioni hanno sempre trovato punti di incontro per ribellioni e resistenza, pagando sempre un alto tributo di sangue ma infliggendo anche gravi perdite al nemico, costringendolo così a lasciare il paese. Stranamente la storia si è ripetuta nei secoli; una invasione che appare semplice e veloce, con la conquista dei grandi centri urbani e l’illusione di aver poi sotto controllo il paese. Ma sistematicamente nel giro di qualche tempo le ribellioni iniziano a prendere piede in modo sempre crescente, logorando nel tempo gli avversari. La tattica delle imboscate continue, esasperanti ed aggressive guidate da condottieri tenaci, in un territorio che di fatto li vede padroni e conoscitori assoluti, nel tempo ha avvilito anche i migliori strateghi. Si può affermare che ogni invasione si è risolta con un unico risultato: la ritirata dell’invasore. Lo stesso Alessandro Magno riuscì a conquistare velocemente l’area dopo la sconfitta di Dario III° ma ebbe problemi nel mantenere i territori. Fu costretto infine a ripiegare verso occidente dopo 3 anni di guerra comprendendo che stava logorando il proprio esercito in una conflitto duro sotto ogni punto di vista. Nel 1221 fu Jalal al Din Mankubirni che guidò la resistenza contro Gengis Khan, infliggendo ai Mongoli una dura sconfitta a Parvan salvo poi rendere inutile la vittoria per dissidi interni tra componenti turche e pashtun con questi ultimi che abbandonarono il sovrano e ritornarono tra le montagne. Trecento anni dopo a guidare l’insurrezione contro la dinastia indiana dei Moghul (di fede islamica) che dominava buona parte dell’Afghanistan, fu il poeta guerriero Khushal Khan Khattar guidando i vari clan delle montagne, umiliando le forze Moghul più volte in battaglia. Due secoli più tardi, nell’Ottocento, gli afghani si scontrarono con un nuovo nemico, l’Impero Britannico il quale cominciò ad avere l’interesse ad occupare il paese con il fine di frenare la crescente influenza russa, che a sua volta mirava al dominio dell’Asia Centrale. In questo gioco di poteri l’Afghanistan fu occupato dagli inglesi nel 1839, detronizzando l’emiro Dost Mohammed. Il figlio  di Dost, Akbar Khan si mise a capo della resistenza. Uomo spregiudicato sarà ricordato per crudeltà e doppiezza mancando ripetutamente alla parola data agli inglesi. Sua fu l’azione che portò al massacro di 16.000 persone tra truppe e residenti britannici lungo la strada per Jalalabad, durante l’ evacuazione voluta dal comandante William Elphistone dopo aver concordato con gli afghani un salvacondotto. Gli inglesi ritornarono a controllare il paese sul finire dell’ottocento con la seconda guerra anglo-afghana dopo quasi un decennio di conflitto (1878-1880). Il controllo britannico si concluse nel 1919 con la terza guerra anglo-afghana, un breve scontro guidato dall’emiro Hamanullah Khan con l’appoggio delle tribù al confine con l’India.
Tra il 1919 ed il 1978 si susseguirono vari regni: tra ripensamenti, riforme e nuove idee, vi furono aperture politiche e sociali che portarono a nuove visioni ma che in parte crearono ulteriori attriti  tra gli elementi etnici tribali del paese. Con la promulgazione nel 1964 di una  costituzione liberale che dava vita ad un parlamento bicamerale, si attuò in parte quell’esperimento democratico che avrebbe dovuto cambiare il volto del paese, ma  che creò in realtà spaccature ideologiche e culturali. La salita al potere del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, partito socialista filo-comunista portò nel 1979 l’Unione Sovietica ad invadere il paese per sostenere lo stesso alle prese con una rivolta ispirata dai mullah, i capi religiosi. Esattamente come in altre occasioni, l’invasione si concluse in poco tempo ma fu seguita da una durissima guerra di logoramento. Ancora una volta le tribù si unirono in una guerra di liberazione e  simbolo della resistenza afghana fu il tagiko Ahmad Shah Massoud. Originario dei monti del Panshir ( conosciuto anche con l’epiteto di Leone del Panshir) dimostrò innate doti strategiche guidando i mujaheddin (combattenti per la patria) in fulminee azioni mordi e fuggi. Con tali tattiche le fazioni in lotta portarono i sovietici al ritiro dal paese nel 1989, che lasciarono dietro di se una immane scia di sangue. A fronte di 15.000 caduti sovietici si contarono tra gli afghani oltre 1,5 milioni di morti, 3 milioni di mutilati ed una marea incalcolabile di profughi.
Come afferma Stephen Tanner nel suo Afghanistan, a military history :
“ …quando gli afghani hanno agito per una causa comune, la loro nazione non è mai stata soggiogata dallo straniero. Tuttavia, il popolo afghano sa unirsi solo di fronte ad una minaccia esterna: lasciati a loro stessi, invece, gli afghani si sono sempre combattuti tra loro”.
Ed in effetti è ciò che accadde anche dopo la cacciata dei sovietici, quando Massoud si ritrovò a combattere contro la frangia estremista dei talebani, gli “studenti coranici” saliti al potere nel 1996. Massoud guidò l’alleanza del Nord, il fronte di resistenza antitalebana, in quella che fu a tutti gli effetti una guerra civile, finendo poi ucciso in un attentato il 9 Settembre 2001. Due giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono fu la premessa all’ennesima invasione, questa volta da parte di una coalizione a guida statunitense con l’intento di rovesciare i talebani considerati inoltre protettori di Osama Bin Laden  leader di Al Quaeda. L’invasione di fatto iniziata ad Ottobre del 2001 poteva dirsi completa a fine anno. Ma come accaduto in altre occasioni la resistenza cominciò lentamente a riorganizzarsi ed ad intensificare le operazioni. Le forze occidentali infine sfiancate da una occupazione durata 20 anni hanno deciso nell’agosto di quest’anno di lasciare il paese abbandonandolo al suo destino.  Nel caos dell’abbandono nel volgere di poche settimane il governo e l’esercito afghano filo-occidentale si sono dissolti consegnando di nuovo il paese ai Talebani aprendo per l’Afghanistan un nuovo incerto capitolo della sua lunga storia e dimostrando per l’ennesima volta come la storia tra le pieghe del tempo, ritorna inesorabile a ripetersi e ad affermare ancora una volta come il paese sia da sempre “la tomba degli Imperi”. Ma chi pagherà per questo ennesimo errore storico? La popolazione già vessata, e destinata a nuova povertà e nuove sofferenze. Grazie occidente.

 

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