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Marzano Appio – Didattica inclusiva, verso dove sta andando la scuola italiana?

Marzano Appio (di Nicolina Moretta)  – A scuola e anche nel sociale, non si usa più il termine “integrazione”, ma “inclusione”. Se le parole non sono vuote, e non sono vuote, indicano un cambiamento in atto, soprattutto nella didattica scolastica. Allora è legittimo chiederci: verso dove sta andando la scuola? Integrare sta anche come (Devoto-Oli):” inserire in una struttura economica, sociale, politica, civile. E si parlava proprio di integrazione quando nel 1977 fu emanata la Legge n. 517, che stabilì l’integrazione di tutti gli alunni disabili nella scuola. Un passo in avanti di civiltà notevole per l’Italia, anche rispetto agli altri Paesi che non hanno attuato questa integrazione. Allora, per osmosi, la didattica usata per gli alunni speciali iniziò a influenzare positivamente la didattica applicata con tutti gli studenti. Si comprendevano meglio le difficoltà di ognuno e si cercava di venire incontro allo studente con empatia nel suo progetto di apprendimento. Ma ad un certo punto la didattica è diventata una didattica baby sitter. Bisogna facilitare al massimo il loro compito, esemplificare e spiegare loro tutti i passaggi, anche minimi, per l’acquisizione di nuovi concetti. Fu così che verso la fine degli anni Novanta in una scuola del pavese sentii una collega più avanti negli anni che commentava:” Ma se spieghiamo tutto noi, loro da soli cosa capiscono?!” In effetti è così, il Sapere è, prima di tutto, conquista. Quale acquisizione rimane di più di quella conquistata o “rubata”. Ma la scuola è la scuola di tutti, di ciascun singolo e deve tener conto di ciascuno, anche perché i vuoti educativi si pagano e non è certo solo il singolo a pagare, ma la società tutta. Ora, però, anche la parola integrazione è passata di moda per lasciare il posto a inclusione. Con l’introduzione dei BES: Bisogni Educativi Speciali, il docente diviene inclusivo. I BES nascono per gli studenti con difficoltà di apprendimento per fattori biologici, psichici e sociali-familiari. Allora il docente di ruolo comune nell’elaborare un piano educativo deve tener conto delle differenze individuali di ogni alunno che compone la classe e non della diversità di ognuno. La scuola in altri termini si fa garante e promuove le diversità individuali di ciascuno, affinché ciascuno possa sviluppare a pieno la propria personalità. Ma, anche se non vi sono dubbi ad accogliere il compito in qualità d’insegnante, personalmente mi chiedo: verso dove sta andando la scuola italiana? Questo andare incontro sempre più allo studente, sarà anche il loro bene? Ciò anche alla luce di un racconto fattomi un anno fa da un giovane insegnante di Storia dell’Università degli Studi della Florida, Gainesville, Stati Uniti. Il giovane docente assunto a tempo indeterminato a soli ventisette anni, veniva dalla Normale di Pisa,  e mi raccontava che se un suo studente  gli diceva che della lezione precedente, lui non ricordava la spiegazione del professore – non che non aveva capito la lezione – lui era tenuto a ripetergli la lezione e – non è finita – se al successivo incontro, lo stesso studente gli ripeteva ancora una volta che lui non ricordava la lezione, il professore era tenuto ancora una volta a ripetergli la lezione e così  via.  Anche questa è didattica inclusiva. Ma allora quanto rimane da fare, in prima persona, allo studente per promuovere personalmente la propria inclusività?

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