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New York – Non solo l’America e i grattacieli…New York è molto di più

NEW YORK (di Nicolina Moretta) – New York non rappresenta solo l’America, è  molto di più. E’ un mondo cresciuto e esteso verso l’alto. Grattacieli stupendi la rendono unica. Ma per le strade s’incontrano tanti giovani provenienti da putti i punti del mondo; sono in essa e in essa si muovono velocemente, sono tutti in movimento, c’è da chiedersi: ma dove andranno?. Emblematica, quando vi sono stata, era l’attesa ai semafori della Quinta Strada. Allora quella marea di giovani si arrestava al semaforo, nell’attesa del segnale di via libera. Dall’alto lato della strada, io li guardavo, erano tutti davanti a me, di fronte a me, li potevo osservare ad uno ad uno: erano tanti e tutti di etnia diversa, una babele di genti e pensavo: “Quando il semaforo dà il segnale di via, mi scontro con loro, sono tanti, come faccio a passare in mezzo a loro? Mi scontro!”. Al via, loro si muovevano nell’ampia strada come note di uno spartito di una musica che non si poteva ascoltare, ma della quale se ne poteva leggere la sinfonia che creavano, guardandoli in movimento: note che riempivano la grande città. Ho amato New York soprattutto di notte. E’ illuminata da una luce che non è del giorno, ma non appartiene neppure alla notte. E’ la luce di New York! Rassicurante e dolce, viva e vivificante. C’è di giorno la luce del mare che si riflette nel Sole. Luce che sembra venire dall’Oceano e non dal Sole: non sembra che sia il Sole a riflettersi nell’Oceano, ma il grande Oceano che la bagna che si riflette nel Sole. Come se il Sole fosse più piccolo di New York e testimone della sua grandezza. Un’impressione che è data dalla sensazione di centralità che dà New York. Ne è testimone della sua grandezza anche la statua della Libertà, che sembra stagliarsi, nascere dal Mare. Questa è New York per chi vi arriva la prima volta: una città invulnerabile e sicura,fatta soprattutto di giovani, giovani che vogliono rigenerare  il Nuovo Mondo. Questo fin quando non si capita di fronte a qualcosa che turba più della sua grandiosità, più della sua bellezza, più della sua armoniosità. Si intravede in lontananza, tra gli alti grattacieli, un’alta struttura stilizzata di bianco candido, come un uccello bianco che vuole aprire le ali e spiccare il volo per sfuggire alla sua ferita, alla ferita ancora viva nella Grande Mela. Allora di colpo torna alla mente l’11 Settembre del 2001. La ferita viva sono le due enormi vasche costruite al posto delle Due Torri, grandi come due piscine, dove un velo d’acqua scorre sempre sui bordi, dall’alto verso il basso e all’interno le vasche sono vuote, ma l’acqua che scorre come un velo sottile impercettibile, sembra quasi  voler lavare perennemente il sangue che lì è stato versato. Si rimane attoniti di fronte al dramma che rappresentano, soprattutto per il mondo occidentale, che nella Grande Mela si specchia. Quando poi si visita il National Memorial  Museum, all’interno si possono vedere conservate le lastre di acciaio, che sorressero le Due Torri, contorte e spezzate dal calore dell’esplosione che le colpì e le fece crollare. Allora ritorna, solo allora ritorna alla mente, l’idea della caducità dell’uomo.

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