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CAIANELLO – Pannelli pubblicitari, il Tar boccia il ricorso della Pubblicales: dovranno essere rimossi i pannelli

Caianello, municipio

CAIANELLO –  Il Tribunale Amministrativo ha pronunciato sentenza sul ricorso numero di registro generale 4852 del 2013, proposto da:
Pubbli Cales s.r.l. contro  il comune di Caianello, per l’annullamento  dell’ordinanza n. 29 del 27 settembre 2013 recante ordine di rimozione dei pannelli pubblicitari installati con autorizzazione prot. n. 5968 del 25 luglio 2008.  I giudici hanno respinto il ricorso   proposto dall’Impresa.

Con ricorso notificato il 31 ottobre 2013 e depositato il 5 novembre 2013 la società Pubbli Cales s.r.l. – già titolare di concessione di occupazione di suolo pubblico per la installazione di impianti pubblicitari rilasciata con provvedimento del Comune di Caianello prot. n. 5968 del 25 luglio 2008 – impugna, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza n. 29 del 27 settembre 2013 con cui l’intimato ente locale ordinava la rimozione della cartellonistica impiantata entro e non oltre giorni 10 dalla notifica (avvenuta il 2 ottobre 2013). In dettaglio, l’ingiunzione di rimozione, secondo quanto si legge nell’impugnato provvedimento, si fonda sulla circostanza che la predetta autorizzazione del 2008 risulterebbe scaduta e non sarebbe più rinnovabile ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strada) e del D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495 (regolamento di esecuzione del Codice della Strada), così come asseritamente già comunicato dall’ente con nota prot. n. 5869 del 5 agosto 2011, missiva che la ricorrente nega di aver mai ricevuto.

La ricorrente lamenta l’illegittimità dell’impugnato provvedimento ed affida il gravame ai profili di illegittimità di seguito rubricati:

1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e del D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495, eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, perplessità, difetto di motivazione, carenza di istruttoria, manifesta ingiustizia, illogicità: l’esponente contesta le ragioni logico – giuridiche poste dal Comune a sostegno del provvedimento di ripristino, con particolare riferimento alla non rinnovabilità della concessione di suolo pubblico che, osserva, ha carattere permanente, inoltre evidenzia che fin dal rilascio del titolo nel 2008 ha sempre versato gli oneri concessori senza alcuna soluzione di continuità e lamenta di non aver mai avuto conoscenza del provvedimento prot. n. 5869 del 5 agosto 2011 (citato nel gravato ordine di ripristino) i cui estremi, prosegue l’istante, corrispondono ad una diversa missiva del Comune riferita a distinta istanza avanzata dalla Pubbli Cales per altro impianto pubblicitario;

2) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, violazione degli artt. 3, 7, 10 e 10 bis della L. 7 agosto 1990 n. 241, eccesso di potere per carenza ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di motivazione e carenza di istruttoria: la ricorrente sostiene che, anche aderendo alla tesi dell’amministrazione in ordine alla temporanea validità (triennale) del titolo, la concessione di suolo pubblico per l’installazione degli impianti pubblicitari si sarebbe tacitamente prorogata in virtù del puntuale versamento annuale dell’imposta sulla pubblicità ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. 507/1993 (secondo cui “La dichiarazione della pubblicità annuale ha effetto anche per gli anni successivi, purché non si verifichino modificazioni degli elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; tale pubblicità si intende prorogata con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, sempre che non venga presentata denuncia di cessazione entro il medesimo termine”) ed inoltre la condotta dell’ente non sarebbe esente da profili di contraddittorietà per avere, da un lato, riscosso le somme versate dalla ricorrente, con ciò ingenerando il legittimo affidamento da quest’ultima riposto nell’attuale efficacia del titolo abilitativo, e dall’altro, ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi con il provvedimento in esame senza neppure garantire adeguatamente la partecipazione procedimentale ai sensi degli artt. 7, 10 e 10 bis della L. 241/1990.

Il Comune si è costituito in giudizio: deduce preliminarmente l’inammissibilità del primo motivo di ricorso ex art. 40 cod. proc. amm. per genericità e, nel merito, replica analiticamente alle censure di parte ricorrente.

Espone che, in assenza del regolamento comunale e del piano generale sugli impianti pubblicitari di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, il titolo abilitativo è costituito dall’autorizzazione prevista dall’art. 23, quarto comma, del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strada) che ha validità triennale ai sensi dell’art. 53, sesto comma, del D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 485, normativa nazionale espressamente richiamata nell’atto impugnato.

Sostiene quindi che l’autorizzazione concessa con provvedimento prot. n. 5968 del 25 luglio 2008 sarebbe divenuta inefficace per decorso del predetto termine triennale, così come comunicato con nota prot. n. 5869 del 5 agosto 2011 spedita alla Pubbli Cales s.r.l. a mezzo lettera raccomandata di cui esibisce documentazione comprovante l’invio (elenco dei pieghi raccomandati e assicurati consegnati all’Agenzia Postale di Caianello).

Assume inoltre che l’eventuale mancata ricezione di tale missiva da parte della Pubbli Cales non cambia i termini della questione poiché – scaduto detto periodo triennale ed in mancanza di una formale istanza di proroga e di un conseguente atto dell’amministrazione – la società non poteva più ritenersi abilitata alla installazione dei pannelli e, pertanto, era obbligata alla relativa rimozione.

Con ordinanza collegiale n. 1791 del 21 novembre 2013 il Tribunale ha disposto in via istruttoria l’acquisizione di documentata relazione del Comune di Caianello in ordine alle vicende oggetto di giudizio, corredata dagli atti in base ai quali è stata adottata la gravata ingiunzione di ripristino.

In data 19 dicembre 2013 l’amministrazione ha trasmesso gli atti richiesti.

Il T.A.R ha poi accolto la richiesta di sospensiva con ordinanza n. 184 del 6 febbraio 2014, con condanna dell’ente al pagamento delle spese relative alla fase cautelare in favore della società ricorrente.

Alla pubblica udienza del 9 luglio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

Può prescindersi dall’esame della eccezione in rito sollevata dall’amministrazione resistente, dal momento che il Collegio ritiene di dover riconsiderare la valutazione sommaria svolta in sede cautelare e pervenire ad una valutazione di complessiva infondatezza delle censure svolte dalla Pubbli Cales s.r.l..

Per la migliore comprensione delle ragioni della decisione, è necessario svolgere una breve ricognizione del quadro giuridico relativo alle autorizzazioni nella materia di cui si controverte.

Ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, recante revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l’applicazione dell’imposta, con il quale deve disciplinare “le modalità di effettuazione delle pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in relazione ad esigenze di pubblico interesse” (secondo comma) e “in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, e modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione….” (terzo comma).

Ai sensi del successivo art. 36, ottavo comma, del D.Lgs. 507/1993, l’amministrazione comunale, in via generale, non può autorizzare l’installazione di nuovi impianti pubblicitari fino all’adozione del Piano Generale degli impianti pubblicitari e dei regolamenti di cui all’art. 3 del medesimo decreto.

In mancanza del Piano Generale degli impianti l’ente locale, di volta in volta, deve verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi alla stregua dei criteri e dei principi fissati dalle norme a tutela della sicurezza della viabilità, dell’ambiente e del paesaggio nonché delle disposizioni contenute nel regolamento per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni.

A tutto ciò aggiungasi che, ai sensi dell’art. 23, quarto comma, del D.Lgs. 285/1992 “La collocazione dei cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario ella strada. Nell’interno dei centri abitati la competenza è dei Comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell’ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale”.

Dopo aver illustrato il contesto normativo di riferimento, occorre passare all’esame della vicenda di causa.

Sono prive di giuridico fondamento le principali argomentazioni svolte dalla società ricorrente secondo cui, in primo luogo, la concessione di suolo pubblico rilasciata nel 2008 per la installazione dei pannelli pubblicitari sarebbe permanente e, in secondo luogo, anche ammettendo la durata triennale del titolo, sarebbero sussistiti nella specie i presupposti per riconoscere la tacita proroga in virtù del protrarsi del godimento, da parte della Pubbli Cales, con piena tolleranza e comportamento sostanzialmente concludente da parte del Comune, che ha continuato ad incamerare le somme corrisposte dalla società.

Con riguardo al provvedimento prot. n. 5968/2008 occorre rimarcare che si è in presenza di un atto recante, al tempo stesso, concessione del suolo pubblico ed autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari ex art. 23, quarto comma, del D.Lgs. 285/1992.

Ebbene, ai sensi dell’art. 53, sesto comma, del D.P.R. 495/1992, l’autorizzazione rilasciata alla società ricorrente per la installazione di cartelli pubblicitari ha validità triennale e non permanente (e neppure di 29 anni, come infondatamente asserito dalla società ricorrente richiamando l’art. 27, quinto comma, del D.Lgs. 285/92 che fissa unicamente il limite di durata massima di siffatte autorizzazioni) ed è rinnovabile.

Peraltro, la dizione di concessione “permanente” non va intesa nel senso proposto dalla ricorrente, ovvero di titolo sine die. Ed invero, in base all’art. 42 del D.Lgs. n. 507/1993, l’occupazione deve essere considerata permanente quando ha carattere stabile e durata non inferiore ad un anno, effettuata a seguito del rilascio di un atto di concessione, comporti o meno l’esistenza di manufatti o impianti, mentre è temporanea se presenta durata inferiore all’anno.

La giurisprudenza di legittimità ha inoltre affermato che ulteriore criterio discretivo è rappresentato dall’utilizzazione da parte del concessionario, nel senso che detta occupazione è permanente se l’atto concessorio ne prevede l’utilizzazione continuativa (con conseguente sottrazione del suolo e/o dell’area all’uso pubblico di destinazione) per tutta la sua durata che, come si è visto, deve essere superiore all’anno. Di converso, va considerata temporanea l’occupazione, anche se di durata superiore all’anno, che preveda la sottrazione non continuativa del suolo pubblico, come soltanto per una parte del giorno, difettando, in questo caso, il carattere della stabilità dell’occupazione stessa. Secondo tale indirizzo quindi, la considerazione della sola durata (infra o ultra annuale) della occupazione del suolo pubblico oggetto dell’atto di concessione non costituisce corretta valutazione dell’esatto discrimen legale per qualificare come temporanea ovvero come permanente detta occupazione dovendosi, invece, sempre verificare se l’atto di concessione limiti o meno l’occupazione ad alcuni giorni della settimana e/o ad alcune ore del giorno, perché la limitazione suddetta importa sempre la natura temporanea dell’occupazione (Cassazione civile, Sez. V, 28 novembre 2003, n. 18250).

Nel caso sottoposto al vaglio di questo T.A.R., la mancata indicazione del termine di durata nel titolo autorizzativo non deroga al limite temporale normativamente previsto (3 anni) che decorre dalla data di rilascio del provvedimento, onde deve ritenersi che – trattandosi di autorizzazione del 25 luglio 2008 – essa è scaduta il 25 luglio 2011.

Neppure è sostenibile la sussistenza di una proroga tacita dell’autorizzazione conseguente al pagamento annuale degli oneri concessori e ciò per l’assorbente considerazione di carattere generale per la quale la rinnovazione o la proroga di un atto autorizzativo dell’amministrazione deve avvenire sempre con la forma scritta ad substantiam e non può essere desunta da fatti concludenti (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 20 febbraio 2014 n. 1077).

Quanto al pagamento dell’imposta pubblicitaria, deve ritenersi che tale circostanza non possa supplire alla mancanza di titolo, non potendo l’eventuale proroga essere rimessa alla dichiarazione unilaterale di volontà dell’istante implicitamente recata dall’assolvimento dell’onere tributario, piuttosto che all’intervento della competente autorità (T.A.R. Lombardia, Milano, 26 luglio 2005 n. 3423).

Correttamente quindi l’amministrazione ha preso atto che il titolo autorizzativo era scaduto al decorso del triennio previsto dal D.P.R. 495/1992 senza che fosse stata nel frattempo avanzata istanza di rinnovo o proroga del medesimo ed in mancanza del conseguente atto dell’amministrazione.

Vero che, dopo la scadenza, il suolo non è stato restituito all’amministrazione comunale (essendone continuato, di fatto, l’utilizzo da parte della ricorrente) e che la concessionaria ha continuato a pagare un canone a favore del Comune per l’occupazione di suolo pubblico, senza che l’ente locale nulla opponesse a tale situazione di fatto.

Non di meno, trattandosi di rapporto pubblicistico, tali circostanze appaiono prive di rilevanza, non potendo il rapporto stesso, proprio per la sua natura pubblicistica, convertirsi automaticamente in un formale rapporto concessorio. La tollerata occupazione del bene, in altre parole, non radica alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all’occupante di fatto, né può incidere in senso contrario il pagamento di somme corrispondenti all’originario canone, in quanto queste valgono solo a titolo di compenso per l’occupazione sine titulo (Consiglio di Stato, Sez. V, 27 settembre 2004 n. 6277).

Rispetto a tali considerazioni appaiono recessive le doglianze relative alla mancata trasmissione della nota prot. 5869 del 5 agosto 2011 e alla omessa instaurazione di una fase di contraddittorio procedimentale con la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/90.

Difatti, è evidente che – trattandosi di effetto ex lege– il decorso del termine triennale al 2011 comportava in ogni caso l’obbligo per la ricorrente di riconsegnare le aree in concessione e di procedere alla rimozione dei pannelli installati. Deve quindi concludersi per la natura vincolata dell’impugnato ordine di ripristino onde l’omessa instaurazione di un contraddittorio procedimentale e la mancata acquisizione di deduzioni di parte non inficiano l’esercizio del potere di rimessione in pristino ai sensi dell’art. 21 octies della legge sul procedimento amministrativo: ciò in quanto l’intervento procedimentale della ricorrente non avrebbe potuto modificare in alcun modo il contenuto del provvedimento impugnato, potendo essa, con le proprie osservazioni, influire al più solo sulla tempistica ma non sul relativo esito.

Il ragionamento svolto conduce, in definitiva, al rigetto del ricorso.

Venendo alle spese di giudizio, la valutazione complessiva dei fatti di causa e la peculiare natura delle questioni affrontate giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali riferite sia alla fase cautelare che al merito, con obbligo della società ricorrente di rimborsare, qualora effettivamente percepite, le spese (euro 500,00) riferite al procedimento cautelare liquidate in suo favore con ordinanza n. 184/2014.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando:

– respinge il ricorso in epigrafe;

– compensa tra le parti le spese processuali riferite sia alla fase cautelare che al merito, con obbligo della società Pubbli Cales s.r.l. di rimborsare, qualora effettivamente percepite, le spese processuali relative al procedimento cautelare liquidate in suo favore con ordinanza collegiale n. 184/2014.

 

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