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PIGNATARO MAGGIORE – Minacciò i carabinieri e il Procuratore Cantone, sotto processo boss Ligato

PIGNATARO MAGGIORE –  Minacciò di fare una strage di carabinieri e di togliersi la vita perché non ne poteva più delle continue perquisizioni presso la sua abitazione inveendo anche contro il pm Raffaele Cantone, poiché addebitava al noto magistrato della Dda  i suoi guai giudiziari. Alla sbarra Pietro Ligato, ritenuto il referente di spicco del clan Lubrano-Ligato, ora detenuto al 41bis presso il carcere di Novara. Ora Ligato ritenuto un boss di spicco all’interno del clan Lubrano soffre di crisi depressive e ha trascorso già due anni all’Opg di Livorno. Ieri il procedimento a suo carico davanti al giudice monocratico del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per le minacce che egli profferì contro il capitano Costantino Airoldi del Nucleo Operativo dei carabinieri di Caserta ora in servizio ad Anagni contro il capitano Antonio Lombardi e contro il capitano Paolo Salvatori tutti del nucleo operativo di Caserta. Il processo si è aperto con la testimonianza del capitano Airoldi che ha raccontato i fatti avvenuti la sera del 22 novembre del 2006. L’ufficiale ha riferito che avendo avuto una soffiata che presso l’abitazione di Ligato avrebbero trovato delle armi organizzarono la perquisizione che avvenne in tarda serata con esito negativo. Alla fine dei controlli Ligato si rivolse ai militari presenti nella sua casa minacciandoli di fare una strage un giorno o l’altro perché non ne poteva più delle continue perquisizioni che subiva quasi giornalmente e che dopo aver ammazzato qualche carabinieri si sarebbe tolto la vita. Parole pesante dette con stizza e con astio che colpirono gli inquirenti al punto da verbalizzare quanto minacciato dal Ligato. Fatti finiti al vaglio della procura che ha chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio per minacce a pubblici ufficiali.  Stesse parole ha riferito anche il capitano Lombardi. Alla fine della testimonianza dei due militari Ligato,  in videoconferenza, che chiesto e ed ottenuto il permesso di rendere delle spontanee dichiarazioni onde precisare i fatti a suo carico. Ligato ha chiarito dicendo che quelle parole non erano rivolte ai militari presenti nella sua abitazione ma era stato uno sbotto di rabbia perché a seguito di quella perquisizione fatta di notte uno dei carabinieri aveva sollevato di botto il materassino della culla dove dormiva la sua bambina di tre anni la quale si svegliò di colpo e trovandosi di fronte dei volti sconosciuti scoppiò in un pianto inconsolabile. Ligato ha anche riferito al tribunale che quelle continue pressioni da parte degli appartenenti alle forze dell’ordine lo avevano mandato in depressione. Ancora oggi ne soffre ed è sotto cura e osservazione dopo aver trascorso due anni all’ospedale psichiatrico giudiziario di Livorno. Il processo dopo le dichiarazioni di Ligato è stato rinviato al prossimo 20 marzo per le discussioni del pubblico ministero e della difesa.
maria giovanna pellegrino

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