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TEANO – Condono “facile”, il Tar annulla gli atti del comune. De Monaco vince la sua battaglia

TEANO – Condono “facile”, il Tar annulla gli atti del comune. De Monaco vince la sua battaglia dopo oltre sette anni di “combattimento” nei tribunali. Il condono rilasciato dal municipio teanese nel 2008 non poteva essere concesso. Lo hanno stabilito i giudici del Tar con la sentenza di pochi giorni fa. Tutto si innesta sul ricorso proposto da Alfonso De Monaco, difeso dagli avvocati – Fata Musto e Giancarlo Fumo – contro il comune di Teano difeso dall’avvocato Carlo Maria Iaccarino, nei confronti di Lucia D’Angelo, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Lamberti e Claudio Maria Lamberti. Il ricorrente chiedeva l’annullamento del condono edilizio rilasciato il 20 novembre del 2008. Sulla vicenda, nel 2012, l’allora sindaco Raffaele Picierno e l’ex tecnico comunale, Tommaso Compagnone, furono raggiunti da un avviso di garanzia emesso dalla Procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere.

La sentenza del Tar che annulla il condono edilizio concesso in favore di Lucia D’Angelo

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania  (Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 634 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Alfonso De Monaco, rappresentato e difeso dagli avv. Fata Musto, Giancarlo Fumo, con domicilio eletto presso Antonio Romano in Napoli, p.zza Trieste e Trento, 48;

contro

Comune di Teano, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Maria Iaccarino, con domicilio eletto presso Carlo Iaccarino in Napoli, Via S. Pasquale a Chiaia, 55;

nei confronti di

Lucia D’Angelo, rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Lamberti, Claudio Maria Lamberti, con domicilio eletto presso Antonio Lamberti in Napoli, Via S. Pasquale a Chiaia, 55;

per l’annullamento

DEL PROVVEDIMENTO DI CONDONO EDILIZIO DEL 20/11/2008.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Teano e di Lucia D’Angelo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 giugno 2015 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

  1. Con ricorso notificato il 14 gennaio 2009 e depositato il 3 febbraio 2009, De Monaco Alfonso, impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione: – il permesso di costruire in sanatoria del 20 novembre 2008, rilasciato dal coordinatore responsabile U.T.C. del Comune di Teano in favore di D’Angelo Lucia; – ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, tra cui, in particolare, i verbali di conferenza di servizi del 9 maggio 2007 e dell’8 novembre 2007.

Richiedeva, altresì, il risarcimento dei danni derivanti dall’operato asseritamente illegittimo dell’amministrazione comunale intimata.

  1. Alla luce delle allegazioni e delle produzioni documentali effettuate dalle parti, la vicenda cui si riferisce l’esperito gravame è, in sintesi, la seguente.

2.1. La controinteressata D’Angelo è proprietaria di un fondo ubicato in Teano, località Masseria Carpino, e censito in catasto al foglio 60, particelle 152, 153, 339, 340, 391, 392 e 5212.

2.2. In data 20 aprile 1998, la D’Angelo aveva ottenuto dal Comune di Teano la concessione edilizia n. 45 per la costruzione di un fabbricato rurale sul predetto fondo, già occupato da altro fabbricato rurale di circa mc 450.

2.3. Avendo eseguito i lavori assentiti in difformità dalla concessione edilizia n. 45 del 20 aprile 1998 (e cioè con incremento di volumi, superfici e altezze), aveva ottenuto dal Comune di Teano, in data 11 dicembre 2001, le concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137.

2.4. Tutti i menzionati titoli abilitativi edilizi, rilasciati in favore della D’Angelo, erano stati impugnati dal De Monaco dinanzi a questo Tribunale amministrativo regionale, sez. IV, nel giudizio introdotto con ricorso iscritto a r.g. n. 2370/2002 e definito con sentenza n. 602 del 4 febbraio 2003.

La richiamata decisione aveva dichiarato irricevibile il gravame avverso la concessione edilizia n. 45 del 20 aprile 1998, mentre lo aveva accolto con riguardo alle concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001.

L’annullamento giurisdizionale di tali ultimi titoli abilitativi edilizi aveva trovato fondamento nei seguenti passaggi motivazionali:

– “è incontroverso che il fabbricato di mc 450 circa, del quale parte ricorrente è comproprietaria e già da tempo esistente sull’area, non sia stato considerato ai fini del computo della volumetria utilizzabile alla luce della densità edilizia consentita dalla normativa urbanistica vigente”;

– “se è vero che l’obiettivo pianificatorio perseguito attraverso la previsione di precisi ed invalicabili indici di fabbricabilità è quello di fare in modo che le possibilità edificatorie dei singoli proprietari siano proporzionate alla superficie da ciascuno di essi posseduta … era proprio in relazione all’intero fondo posseduto dalla D’Angelo e alla luce delle preesistenze edilizie già insistenti sullo stesso, che andava autorizzata la nuova volumetria”;

– “è proprio alla luce della totalità … del fondo in proprietà del richiedente che va effettuata la necessaria operazione di computo del volume edificabile, ad uso abitativo e/o agricolo, consentito dall’indice di fabbricabilità vigente, previamente scomputando quanto già edificato, per cui erano questi i dati giuridico-fattuali che l’amministrazione avrebbe dovuto considerare in sede di richiesta dei titoli edificatori odiernamente scrutinati”;

– “l’amministrazione intimata in nessun conto ha tenuto la volumetria rappresentata dal citato fabbricato, con la conseguenza che già solo per questo risulta fondato l’articolato vizio di legittimità, con conseguente patologia degli atti concessori in sanatoria e variante impugnati”.

2.5. Successivamente, in data 11 novembre 2004 (prot. n. 20520), la D’Angelo aveva presentato al Comune di Teano domanda di condono ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003, con riguardo alle opere abusive assentite con le annullate concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001.

In riscontro a tale istanza, il Comune di Teano aveva emesso l’impugnato permesso di costruire in sanatoria del 20 novembre 2008.

2.6. Frattanto, avverso la sentenza n. 602 del 4 febbraio 2003, pronunciata da questo Tribunale amministrativo regionale, la medesima D’Angelo aveva proposto ricorso in appello (r.g. n. 5501/2003) dinanzi al Consiglio di Stato, sez. V.

  1. In relazione alle vicende dianzi illustrate, venivano dedotte, col ricorso in epigrafe, doglianze così rubricate e argomentate.

3.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 e dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003. Erronea interpretazione della circ. del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005. Violazione della sentenza del TAR Campania n. 602 del 4 febbraio 2003. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. c, della l. r. Campania n. 10/2004. Eccesso di potere per carenza assoluta di presupposti. Difetto di istruttoria. Sviamento.

In violazione dell’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003, le opere abusive realizzate dalla controinteressata sulla base dei titoli abilitativi edilizi annullati dalla sentenza n. 602 del 4 febbraio 2003 avrebbero comportato un incremento volumetrico superiore a mc 750, nonché al 30% dei manufatti preesistenti.

Una simile violazione non potrebbe escludersi sulla base dell’erronea interpretazione della circ. del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005, accreditata dall’amministrazione comunale, secondo cui i limiti di cubatura fissati dall’art. 32 cit. non sarebbero applicabili alle ipotesi di lavori abusivi eseguiti in forza di titoli abilitativi edilizi annullati in sede giurisdizionale.

Per di più, trattandosi, nella specie, di immobile ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, il condono, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. c, della l. r. Campania n. 10/2004, avrebbe, comunque, incontrato il limite quantitativo di mc 75.

3.2. Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 32 e dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003. Vizio del procedimento. Difetto di istruttoria.

La domanda di condono, al momento della sua presentazione, in data 11 novembre 2004 (prot. n. 20520), era stata riferita dalla D’Angelo alla tipologia 6 dell’allegato 2 al d.l. n. 269/2003 (“opere di manutenzione straordinaria, come definite dall’art. 3, comma 1, lett. b, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume”), con versamento dell’oblazione nel corrispondente importo di € 516.

Dopo aver rilevato, nella conferenza di servizi del 9 maggio 2007, che le opere abusive de quibus non erano ascrivibili alla cennata tipologia 6, illegittimamente il Comune di Teano avrebbe consentito alla controinteressata di integrare la propria infedele domanda di condono mediante modifica del relativo oggetto e pagamento di un’ulteriore somma (€ 14.063,48) a conguaglio di quella già versata a titolo di oblazione (oltre che di oneri concessori).

  1. Costituitesi sia l’amministrazione comunale intimata sia la controinteressata D’Angelo, eccepivano l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, del quale richiedevano, quindi, il rigetto.
  2. In seguito al deposito – effettuato il 23 febbraio 2009 dall’amministrazione resistente – della nota del coordinatore responsabile U.T.C. del Comune di Teano, prot. n. 2735/R, del 2 febbraio 2009, il De Monaco proponeva, avverso tale atto, nonché avverso la deliberazione della giunta comunale di Teano n. 41 del 4 febbraio 2009, motivi aggiunti notificati il 7 aprile 2009 e depositati il 23 aprile 2009.

Con l’esperito gravame aggiuntivo il ricorrente denunciava vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 32 e dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, di violazione della circ. del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005, di eccesso di potere per difetto di presupposti e di contraddittorietà manifesta. E confutava, in sostanza, gli argomenti addotti dal coordinatore responsabile U.T.C. del Comune di Teano in replica alle censure formulate col ricorso originario in merito all’entità della maggiore superficie realizzata con le opere condonate, alla portata della circ. del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005, alla tempestività ed alla suscettibilità di integrazione della rassegnata domanda di sanatoria.

  1. In esito all’udienza pubblica del 7 aprile 2010, in cui la causa era trattenuta in decisione, questa Sezione rilevava il nesso di presupposizione tra l’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti gravati nel processo pendente dinanzi al Consiglio di Stato (r.g. n. 5501/2003) e il provvedimento in questa sede impugnato e, quindi, il nesso di pregiudizialità della causa relativa ai primi rispetto alla causa relativa al secondo.

Ciò, alla stregua delle seguenti considerazioni: “L’impugnato permesso di costruire in sanatoria del 20 novembre 2008 in tanto risulta rilasciato, in quanto le opere con esso condonate siano da considerarsi abusive per effetto dell’annullamento giurisdizionale delle concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001, ad opera della sentenza n. 602 del 4 febbraio 2003, pronunciata in primo grado da questo Tribunale amministrativo regionale. Quale condono ex art. 32 del d.l. n. 269/2003, esso presuppone, cioè, almeno in astratto, e in disparte l’accertamento della sua corretta applicabilità alla fattispecie in esame, l’abusività delle opere da esso legittimate. Ora, in caso di eventuale accoglimento dell’appello da parte dell’adito Consiglio di Stato, nonché di conseguente riforma della sentenza n. 602 del 4 febbraio 2003 e rigetto del ricorso di primo grado, le concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001 riacquisterebbero ex tunc validità ed efficacia. Ne conseguirebbe, dunque, che: – le opere assentite con i titoli abilitativi edilizi annullati dalla riformata decisione di primo grado perderebbero i connotati di abusività propedeutici all’esperimento della sanatoria ex art. 32 del d.l. n. 269/2003, che nemmeno si giustificherebbe più; – il De Monaco non potrebbe ritrarre alcuna utilità concreta dall’accoglimento del gravame introduttivo del presente giudizio e del connesso annullamento del permesso di costruire in sanatoria del 20 novembre 2008, in quanto le opere da quest’ultimo riguardate troverebbero, comunque, la propria fonte di legittimazione nella reviviscenza delle concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001; – il ricorso in epigrafe diventerebbe, pertanto, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse”.

Con ord. coll. n. 510 del 2 luglio 2010 veniva, pertanto, dichiarata la sospensione del presente giudizio.

  1. Successivamente, il Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 3094 del 17 giugno 2014, nel definire la controversia (r.g. n. 5501/2003) ritenuta pregiudiziale a quella instaurata col ricorso in epigrafe, respingeva l’appello avverso la sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale n. 602 del 4 febbraio 2003 e confermava, quindi, l’annullamento giurisdizionale delle concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001, così mantenendo, in capo al De Monaco, l’interesse a impugnare il sopravvenuto provvedimento di condono del 20 novembre 2008.
  2. Essendo venuta meno la causa di sospensione del presente giudizio, ravvisata da questa Sezione con ord. coll. n. 510 del 2 luglio 2010, il ricorrente depositava, in data 4 marzo 2015, “istanza di prelievo”, volta alla fissazione dell’udienza per il prosieguo della trattazione nel merito.
  3. All’udienza pubblica del 17 giugno 2015, all’uopo fissata, la causa era introitata in decisione.

DIRITTO

  1. In rito, non è predicabile l’intervenuta estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. a, cod. proc. amm., eccepita dalla controinteressata D’Angelo in base all’assunto che il De Monaco, ai fini della prosecuzione del processo sospeso con ord. coll. n. 510 del 2 luglio 2010, avrebbe presentato istanza di fissazione di udienza (impropriamente denominata “istanza di prelievo”) soltanto il 4 marzo 2015, oltre lo spirare del termine di 90 giorni ex art. 80, comma 1, cod. proc. amm., iniziato a decorrere dalla data (17 giugno 2014) di comunicazione mediante p.e.c., a cura della Segreteria del Consiglio di Stato, della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 3094 del 17 giugno 2014, ossia dalla data di comunicazione dell’atto che ha fatto venir meno la ravvisata causa di sospensione.

L’istanza presentata dal ricorrente il 4 marzo 2015 è, infatti, da reputarsi tempestiva, ferma restando, al di là del nomen iuris utilizzato (“istanza di prelievo”), la sua riconducibilità – quanto al contenuto sostanziale ed alla funzione propulsiva dalla medesima rivestiti (siccome, cioè, letteralmente volta alla fissazione dell’udienza per la trattazione della controversia nel merito in seguito al venir meno causa della disposta sospensione) – all’istituto disciplinato dal comb. disp. artt. 71, comma 1, e 80, comma 1, cod. proc. amm.

Osserva, al riguardo, il Collegio che il dies a quo per il decorso del cennato termine di 90 giorni per la prosecuzione del processo sospeso va identificato nel momento di comunicazione della sentenza che non solo abbia definito la causa pregiudiziale, ma sia anche passata in giudicato, dovendosi integrare – sul piano logico-sistematico, in virtù del rinvio operato dagli artt. 39, comma 1, e 79, comma 1, cod. proc. amm. alle norme del codice di procedura civile – il contenuto ellittico del citato art. 80, comma 1, cod. proc. amm. (“in caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro 90 giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa della sospensione”) con quello della disposizione dell’art. 297, comma 1, cod. proc. civ. (“se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all’art. 3 cod. proc. pen. o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’art. 295”).

Ebbene, rispetto al dies a quo individuato nei sensi di cui sopra, ossia rispetto al passaggio in giudicato della comunicata sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 3094 del 17 giugno 2014, avvenuto, in mancanza di comprovata notifica di quest’ultima, il 15 febbraio 2015, l’anzidetto termine di 90 giorni ex art. 80, comma 1, cod. proc. amm. non risultava, nella specie, ancora spirato al momento (4 marzo 2015) di presentazione dell’istanza di fissazione di udienza da parte del De Monaco.

  1. Sempre in rito, va disattesa l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dalla controinteressata.

Valga, in proposito, richiamare le seguenti considerazioni, svolte nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 3094 del 17 giugno 2014, con riferimento alla medesima posizione soggettiva azionata dal De Monaco nell’ambito del giudizio con essa definito.

“Secondo una consolidata giurisprudenza che va condivisa, – recita la decisione richiamata – in materia edilizia la mera ‘vicinitas’, ossia l’esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall’intervento edilizio, è sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell’attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo (Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2013, n. 6082): è sufficiente che il ricorrente lamenti l’illegittimità del provvedimento che comporta una modifica contra ius dello stato dei luoghi, non rilevando l’eventuale conseguenza secondo cui la regula iuris affermata dal giudice amministrativo potrebbe far dedurre l’illegittimità della realizzazione di una costruzione già realizzata dal ricorrente, ovvero l’impossibilità per questi di considerare edificabile un proprio fondo.

Nel caso in esame, il De Monaco è comproprietario del fabbricato rurale insistente sul parte del fondo sul quale insiste la costruzione oggetto della sanatoria e della variante impugnate; quindi – per ravvisare la sua legittimazione ed il suo interesse al ricorso di primo grado – è sufficiente lo stabile collegamento con il terreno oggetto delle contestate concessioni edilizie”.

  1. Quanto, poi, all’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di Teano in ragione della mancata impugnazione della nota del Comune di Teano, prot. n. 1013, del 16 gennaio 2008, deve obiettarsi che quest’ultimo è atto meramente istruttorio e endoprocedimentale, volto a riliquidare l’importo dell’oblazione, di per sé insuscettibile di arrecare alcuna lesione concreta e attuale all’interesse azionato in giudizio.
  2. Venendo ora a scrutinare il primo motivo di ricorso introduttivo, sostiene, in particolare, il De Monaco che, in violazione dell’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003, le opere abusive realizzate dalla D’Angelo sulla base dei titoli abilitativi edilizi annullati dalla sentenza n. 602 del 4 febbraio 2003 avrebbero comportato un incremento volumetrico superiore a mc 750, nonché al 30% dei manufatti preesistenti.

4.1. In limine a tale censura, non ne è configurabile l’inammissibilità eccepita dalla controinteressata in base al rilievo dell’omessa impugnazione della circolare ministeriale esplicativa n. 2699 del 7 dicembre 2005.

Ed invero, non si imponeva al ricorrente alcun onere di specifica impugnazione della richiamata circolare ministeriale, trattandosi di direttiva ermeneutico-applicativa, non avente, come tale, natura cogente nei confronti dell’amministrazione resistente e non essendo, quindi, configurabile come atto (normativo o provvedimentale) presupposto sulla base del quale la gravata sanatoria edilizia avrebbe dovuto essere vincolativamente e consequenzialmente rilasciata, a guisa di atto meramente applicativo.

4.2. Nel merito, il motivo in esame si rivela fondato per le ragioni illustrate in appresso.

4.2.1. Innanzitutto, il denunciato superamento dei limiti volumetrici fissati dall’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003 non può essere aggirato sulla base dell’interpretazione accreditata dalla circolare ministeriale esplicativa n. 2699 del 7 dicembre 2003, secondo cui detti limiti volumetrici non sarebbero applicabili alle ipotesi – come, appunto, quella dedotta nel presente giudizio – di opere assentite in base a titoli abilitativi edilizi giurisdizionalmente annullati.

Un simile approdo ermeneutico è stato, infatti, puntualmente ripudiato da Cons. Stato, ad. plen., 23 aprile 2009, n. 4.

In particolare, come chiarito in tale decisione, le opere realizzate in forza di concessione edilizia giurisdizionalmente annullata non costituiscono una tipologia autonoma di abuso condonabile ai sensi dell’ art. 32 del d.l. n. 269/2003 e non sono, pertanto, suscettibili di sanatoria, allorquando la cubatura da esse ragguagliata superi le soglie sancite dal comma 25 del medesimo art. 32.

Ciò, in quanto la disciplina legislativa sul ‘terzo condono’ non contempla alcuna deroga espressa, per i casi di opere realizzate in base a titolo abilitativo edilizio giurisdizionalmente annullato, ai limiti volumetrici e tipologici dalla stessa imposti alla sanabilità degli abusi commessi e in quanto non è possibile invocare, in senso contrario, in virtù del mero richiamo alle disposizioni dell’art. 39 della l. n. 724/1994, “ove compatibili”, formulato al comma 28 dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003, la deroga prevista dal comma 1 (“i predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia”) del citato art. 39, trattandosi di norma eccezionale e di stretta applicazione, nonché tenuto conto della diversità degli statuti di volta in volta introdotti con le tre normative succedutesi nel tempo in materia di sanatoria edilizia.

“Il venir meno del titolo sulla cui base l’opera è stata realizzata, e quindi la circostanza che il ‘fatto’ realizzativo dell’opera non sia più sorretto dalla legittimità, – osserva, in proposito, l’Adunanza plenaria – apre la ‘possibilità’ di estendere anche a tali opere il beneficio del condono. Quindi il legislatore ha solamente la possibilità, e non l’obbligo, di includere nel condono le opere realizzate nel periodo ‘coperto’ dalla legge. L’inclusione deve avvenire attraverso una previsione espressa e chiara, proprio in quanto viene in rilievo il giudicato e la possibile disparità di trattamento rispetto alle ipotesi di illecito mai sottoposte al vaglio giurisdizionale e che il giudicato di annullamento riporta all’iniziale stato di illiceità.

Inoltre, il sistema non consente la possibilità di dare rilievo alla situazione soggettiva di affidamento, in cui si troverebbe colui che ha realizzato l’opera in base ad un titolo originariamente legittimo e poi annullato, in quanto tale situazione soggettiva si configura nei confronti dell’amministrazione quando apre un procedimento di secondo grado il cui possibile esito sia il provvedimento di annullamento, ma non invece nei confronti del giudice dell’annullamento che, chiamato a giudicare della legittimità del titolo abilitativo da parte di quei terzi, le cui posizioni erano rimaste impregiudicate dal rilascio del titolo medesimo, deve solamente statuire sulla domanda proposta da quei soggetti, legittimati ad impugnare, che fanno fondatamente valere le proprie ragioni.

Dunque, la necessità della previsione espressa era necessaria e … non può ritenersi che ciò sia avvenuto con il rimando alle leggi precedenti, che chiaramente si riferisce – ed in ciò trova il suo limite – a modalità operative non espressamente previste”.

4.2.2. Ciò posto, rileva, in punto di fatto, il Collegio che:

– sul fondo in proprietà della D’Angelo, ubicato in Teano, località Masseria Carpino, censito in catasto al foglio 60, particelle 152, 153, 339, 340, 391, 392 e 5212, nonché avente superficie complessivamente pari a mq 15.384 (cfr. “relazione peritale” redatta dall’arch. Camerota, depositata in giudizio dal ricorrente il 2 febbraio 2009), insiste fin da epoca remota un fabbricato rurale della volumetria di circa mc 450 (cfr. sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, sez. IV, n. 602 del 4 febbraio 2003; “relazione peritale” redatta dall’arch. Camerota e “perizia tecnica di parte” redatta dall’arch. Pirone, depositate in giudizio dal ricorrente il 2 febbraio 2009);

– con la concessione edilizia n. 45 del 20 aprile 1998 – ritenuta inoppugnabile dalla sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, sez. IV, n. 602 del 4 febbraio 2003, confermata in appello dal Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 3094 del 17 giugno 2014 – è stato assentito, nell’ambito del medesimo fondo, un ulteriore fabbricato rurale della volumetria di mc 602,53/608,17 (cfr. “perizia stragiudiziaria” redatta dal geom. De Simone, depositata in giudizio dalla controinteressata il 25 febbraio 2009; “relazione peritale” redatta dall’arch. Camerota e “perizia tecnica di parte” redatta dall’arch. Pirone, depositate in giudizio dal ricorrente il 2 febbraio 2009);

– in forza delle concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001 – annullate dalla sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, sez. IV, n. 602 del 4 febbraio 2003, confermata in appello dal Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 3094 del 17 giugno 2014 –, la cubatura del secondo dei suindicati fabbricati rurali è stata ampliata fino a mc 1.274,04/1.278,78 (cfr. “perizia stragiudiziaria” redatta dal geom. De Simone, depositata in giudizio dalla controinteressata il 25 febbraio 2009; “relazione peritale” redatta dall’arch. Camerota e “perizia tecnica di parte” redatta dall’arch. Pirone, depositate in giudizio dal ricorrente il 2 febbraio 2009; relazione tecnica al progetto di variante approvato con le concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001, depositata in giudizio dall’amministrazione resistente il 23 febbraio 2009), così da risultare raddoppiata rispetto a quella inoppugnabilmente assentita con la concessione edilizia n. 45 del 20 aprile 1998 (cfr. sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, sez. IV, n. 602 del 4 febbraio 2003);

– la cubatura dell’originario manufatto assentito con la concessione edilizia n. 45 del 20 aprile 1998, poi ampliato mediante le opere abusive legittimate con le annullate concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001, è pari, dunque, a circa mc 602,53/608,17, mentre la cubatura preesistente alle stesse sull’intero fondo in proprietà della D’Angelo è complessivamente pari a circa (450 + 602,53/608,17 =) 1.052,53/1.058,17;

– dette opere abusive ragguagliano, a loro volta, una volumetria di circa mc 661,51/670,61 (cfr. “perizia stragiudiziaria” redatta dal geom. De Simone, depositata in giudizio dalla controinteressata il 25 febbraio 2009; “relazione peritale” redatta dall’arch. Camerota e “perizia tecnica di parte” redatta dall’arch. Pirone, depositate in giudizio dal ricorrente il 2 febbraio 2009).

4.2.3. Ora, è evidente che queste ultime, se, da un lato, non eccedono la misura massima di mc 750, d’altro lato, superano largamente la soglia del 30% della costruzione originaria ex art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003 (corrispondente a circa mc 180,76/182,45, ove correttamente rapportata alla cubatura del solo manufatto da esse attinto, assentito con l’inoppugnabile concessione edilizia n. 45 del 20 aprile 1998, oppure a circa mc 315,76/317,45, ove anche rapportata alla cubatura preesistente sull’intero fondo in proprietà della D’Angelo).

Al riguardo, giova rimarcare che i limiti volumetrici fissati dal citato art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003 operano non già disgiuntamente, bensì congiuntamente.

In questo senso, Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042 ha osservato che, come appare chiaro dal tenore letterale della norma, gli incrementi volumetrici consentiti del manufatto non devono essere superiori al 30% della cubatura della costruzione originaria e non possono in ogni caso eccedere mc 750: questo non significa – come, invece, si pretenderebbe da parte resistente – che all’esistente sia comunque permesso aggiungere altri mc 750, prescindendo dal predetto rapporto percentuale rispetto alla preesistenza. Si tratta, infatti, come detto, di parametri congiunti, e non disgiunti.

Nello stesso senso, Corte cost., ord. 6 marzo 2001, n. 45 ha così statuito, con riferimento all’omologa disposizione dell’art. 39, comma 1, della l. n. 724/1994:

– “l’art. 39, comma 1, della l. n. 724/1994 è stato già sottoposto al giudizio di questa Corte (sent. n. 302/1996; ord. n. 395/1996), che ha privilegiato una interpretazione ‘di sistema’ delle disposizioni in esame, sottolineando la natura di limite assoluto ed inderogabile propria della previsione massima di cubatura di mc 750, che funge altresì come norma di chiusura, in aggiunta al limite di incremento volumetrico del 30%, nella ipotesi di ampliamento di fabbricati preesistenti”;

– “i limiti di volumetria ammessa per la sanatoria discendono da esigenze dirette a circoscrivere la definizione agevolata, e inderogabili per una interpretazione conforme a Costituzione, di modo che il limite di mc 750 funzioni, senza distinzione per tutte le sanatorie ammissibili, come norma di chiusura, che per gli ampliamenti di fabbricati preesistenti si aggiunge (come limite ulteriore) al limite di incremento volumetrico del 30% rispetto alla volumetria della costruzione originaria”;

– “il legislatore, con una scelta discrezionale non viziata da irragionevolezza, ha voluto che gli ampliamenti ricompresi nel nuovo condono non eccedessero dal duplice coesistente limite (non superiore al 30% della volumetria iniziale originaria o assentita; ovvero a 750 mc. in assoluto) sempre con riferimento alla volumetria costituente ampliamento, risultando, così, che il limite di chiusura di mc 750 applicabile agli ampliamenti veniva a scattare, impedendo il condono, quando il fabbricato ‘originario o assentito’ aveva una volumetria superiore a mc 2500 (30% di mc 2500 = mc 750)”.

4.2.4. Dalle superiori considerazioni discende, in definitiva, che gli interventi in ampliamento risultati abusivi, dacché eseguiti in forza delle concessioni edilizie in sanatoria n. 136 e in variante n. 137 dell’11 dicembre 2001, giurisdizionalmente annullate, sono stati illegittimamente condonati con l’impugnato provvedimento del 20 novembre 2008, in quanto eccedenti la soglia del 30% della volumetria della costruzione originaria, sancito dall’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003.

  1. Fondato si rivela anche il motivo di impugnazione secondo cui illegittimamente il Comune di Teano avrebbe consentito alla controinteressata di integrare la propria infedele domanda di condono mediante modifica del relativo oggetto e pagamento di un’ulteriore somma (€ 14.063,48) a conguaglio di quella già versata a titolo di oblazione (oltre che di oneri concessori).

5.1. In proposito, giova premettere, in punto di fatto, che:

– nella propria domanda dell’11 novembre 2004 (prot. n. 20520), la D’Angelo ha richiesto il condono di un abuso rientrante nella tipologia 6 dell’allegato 2 al d.l. n. 269/2003 (“opere di manutenzione straordinaria, come definite dall’art. 3, comma 1, lett. b, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume”) ed ha versato la corrispondente oblazione nella misura di € 516;

– nel descrivere l’abuso in parola, ha ellitticamente dichiarato che “trattasi di presunto illecito di natura giuridico-amministrativa di diretto interesse del Comune di Teano, che, a seguito di sentenza del TAR Campania n. 602 del 4 febbraio 2003, si è visto dichiarare annullate le concessioni edilizie in sanatoria e variante n. 136 e n. 137 dell’11 dicembre 2001 … (avverso tale sentenza pende opposizione presso Consiglio di Stato …)” e che “il fabbricato è stato costruito, ultimato e collaudato nel pieno rispetto normativo e planovolumetrico prescritto dalla normativa vigente e dalle suddette concessioni con il pagamento totale dei rispettivi oneri di urbanizzazione”;

– con nota del 16 gennaio 2008, prot. n. 1013, il Comune di Teano ha riqualificato l’illecito edilizio commesso dalla D’Angelo nella tipologia 1 dell’allegato 2 al d.l. n. 269/2003 (“opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”) e, quindi, rideterminato l’importo dell’oblazione dovuta nella misura complessiva di € 15.972.

5.2. Ora, appare innegabile che la domanda di condono presentata dalla controinteressata l’11 novembre 2004 (prot. n. 20520) sia stata formulata in maniera dolosamente infedele, anche in considerazione del contenuto ellittico e reticente delle precisazioni descrittive ivi fornite.

L’inesattezza riscontrabile nella domanda anzidetta, in quanto incidente su elementi essenziali dell’abuso, quali la sua consistenza e la sua qualificazione giuridica (essendosi dichiarate opere di manutenzione straordinaria a fronte di interventi effettivamente realizzati in ampliamento di un fabbricato preesistente, con conseguente classificazione nella tipologia 6, anziché nella tipologia 1 dell’allegato 2 al d.l. n. 269/2003), oltre all’importo della relativa oblazione, è infatti, tale da integrare, di certo, gli estremi della infedeltà dolosa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7491; sez. V, 20 aprile 2012, n. 2309; TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 febbraio 2013, n. 1166; sez. VII, 9 maggio 2014, n. 2574).

Ciò avrebbe dovuto precludere in radice la riconoscibilità del beneficio dell’invocata sanatoria edilizia: “se nei termini previsti l’oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, – recita, in questo senso, l’art. 32, comma 37, del d.l. n. 269/2003 – le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e all’art. 48 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380”; “se la domanda presentata, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate – stabilisce, nel contempo, l’art. 40, comma 1, della l. n. 47/1985 – deve ritenersi dolosamente infedele, si applicano le sanzioni di cui al capo I”.

5.3. Viceversa, nella specie, il Comune di Teano ha non solo trascurato tale circostanza ineludibilmente preclusiva del richiesto condono, ma ha anche modificato ex officio, ben dopo lo scadere del termine previsto dall’art. 32, comma 32, del d.l. n. 269/2003, l’oggetto sostanziale della domanda dell’11 novembre 2004 (prot. n. 20520) e, in via consequenziale, ricalcolato l’importo dell’oblazione dovuta.

In questo senso, è stato osservato che: – non è configurabile una sorta di “procedimento in progress” di presentazione della domanda di sanatoria edilizia, tenuto conto che la normativa stabilisce un termine ultimativo al riguardo; – pertanto, non è ammessa dall’ordinamento una integrazione ex post dell’istanza di condono già presentata, la quale sopravvenga, di fatto, a modificare l’oggetto di quest’ultima; – la correzione successiva di quanto ex ante dichiarato e richiesto è anche ipotizzabile, sempreché, però, investa elementi assolutamente marginali, senza incidere sul contenuto sostanziale della precedente domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2014, n. 1391).

Ed invero, come accennato, il termine previsto dall’art. 32, comma 32, del d.l. n. 269/2003 ha natura perentoria e, pertanto, non è consentito un suo aggiramento mediante lo strumento della integrazione documentale, recuperando al procedimento di sanatoria abusi originariamente non contemplati nella domanda presentata dal privato.

L’art. 35 della l. n. 47/1985 (applicabile in virtù del rinvio operato dall’art. 32, comma 28, del d.l. n. 269/2003) non può, quindi, che riferirsi ad integrazioni di dettaglio e meramente chiarificatrici, laddove, al comma 12, consente al soggetto – peraltro, entro il termine perentorio ivi previsto – di integrare, ove necessario, la domanda di condono, così come laddove, analogamente, al successivo comma 15, consente all’amministrazione di richiedere ulteriore documentazione, restando, comunque, esclusa la possibilità di sostituire o modificare l’oggetto stesso dell’istanza originaria.

E’, cioè, da reputarsi compatibile col sistema delineato dal legislatore l’integrazione della domanda di condono edilizio su impulso del privato ovvero dell’amministrazione, nei soli limiti enunciati dal citato art. 25, commi 12 e 15, della l. n. 47/1985, mentre non lo è la configurazione di una sorta di sanabilità d’ufficio mediante l’introduzione nella domanda – d’autorità o anche d’intesa col soggetto richiedente – di figure di abuso in essa originariamente non contemplate e che presentino – come, appunto, nella specie – una rilevanza non già meramente accessoria o secondaria, ma nettamente preponderante rispetto a quelle originariamente contemplate. Una volta decorso il termine perentorio ex art. 32, comma 32, del d.l. n. 269/2003, vanno, conseguentemente, ripudiate le modifiche dell’istanza di condono in corso del procedimento, che siano volte a consentire al privato la sostituzione o la trasformazione del relativo oggetto mediante indicazione di beni e/o abusi radicalmente diversi da quelli inizialmente sottoposti a sanatoria (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 17 gennaio 2007, n. 298; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 4 dicembre 2008, n. 1558).

  1. Privo di pregio è, poi, il profilo di censura a tenore del quale, trattandosi, nella specie, di immobile ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, il condono, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. c, della l. r. Campania n. 10/2004, avrebbe, comunque, incontrato il limite quantitativo di mc 75

L’invocato art. 4 della l. r. Campania n. 10/2004 è stato, infatti, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 49 del 10 febbraio 2006.

  1. Così come eccepito da parte resistente, inammissibili per carenza di interesse a proporli sono i motivi aggiunti avverso la nota del coordinatore responsabile U.T.C. del Comune di Teano, prot. n. 2735/R, del 2 febbraio 2009.

Ciò, in quanto tale atto si risolve in mere controdeduzioni al ricorso originario, volte a giustificare e sostanziare la costituzione e la difesa dell’intimata amministrazione comunale nel presente giudizio (cfr. deliberazione della giunta comunale di Teano n. 41 del 4 febbraio 2009, avente per oggetto “costituzione in giudizio e nomina difensore dell’ente; ricorso TAR Campania De Monaco Alfonso contro Comune di Teano”).

Esso, dunque, oltre a fondarsi su argomentazioni che si pongono in logica e insuperata antitesi ai motivi di accoglimento accreditati retro, sub n. 4 e 5, non riveste alcuna portata provvedimentale e, come tale, potenzialmente lesiva della sfera giuridica dell’interessato.

  1. In conclusione, stante l’acclarata fondatezza delle censure scrutinate retro, sub n. 4 e 5, il ricorso in epigrafe va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento con esso impugnato, mentre, essendosene ravvisata la carenza di interesse a proporli, i relativi motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili.
  2. L’avanzata domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario deve essere, invece, respinta, considerata la sua assoluta genericità, in termini di allegazioni e prove a suo fondamento, sia in rapporto all’an sia in rapporto al quantum del lamentato danno risarcibile.
  3. Le spese di lite, compensate per 1/3 in ragione del non totale accoglimento delle censure e delle domande proposte vanno per la restante parte poste a carico della controinteressata e del Comune di Teano, in parti uguali, e liquidate in favore del ricorrente in complessivi € 3.000,00, oltre accessori di legge,.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando:

– accoglie il ricorso introduttivo e, per l’effetto, annulla il permesso di costruire in sanatoria del 20 novembre 2008;

– dichiara inammissibili i motivi aggiunti;

– respinge la domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario;

– condanna il Comune di Teano e D’Angelo Lucia al pagamento, in favore di De Monaco Alfonso, di 2/3 delle spese di lite, che si liquidano in complessivi € 3.000,00, oltre accessori di legge, da ripartirsi nella egual misura di € 1.500,00 a carico di ciascuna delle predette parti soccombenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Michelangelo Maria Liguori, Presidente FF

Olindo Di Popolo, Primo Referendario, Estensore

Francesca Petrucciani, Primo Referendario

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un commento

  1. MO CHI PAGA …..LA VECCHIA AMMINISTRAZIONE L’ING. PICIERNO E L’ING. COMPAGNONE O SEMPRE NOI CITTADINI, INIZIAMO A METTERE MANO ALLA TASCA DI QUESTI SIGNORI CHE CI HANNO MANGIATI VIVI E LORO SI SONO INGRASSATI FARABUTTI………. E STANNO ANCORA SUL PIEDE DI GUERRA NON SE NE VOGLIONO ANDARE… MA PEGGIO ANCORA TUTTE LE PECORELLE CHE STANNO INTORNO E CHE NON STANNO MANGIANDO PIU’…….