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MADDALONI / PASTORANO / CAIANELLO – Camorra, affari e politica: Il Consiglio di Stato conferma l’interdittiva Antimafia a carico del consigliere provinciale Caturano

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MADDALONI / PASTORANO  / CAIANELLO – Il Consiglio di Stato ha confermato l’interdittiva antimafia a carico dell’impresa di Antimo Caturano, consigliere provinciale molto vicino a Domenico Zinzi; gli affari della fmaiglia  Caturano si sviluppano in molti paesi della provincia di Caserta, fra cui Maddaloni, Pastorano e Caianello.   Con la sentenza di pochi giorni fa la terza sezione del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Caserta contro la decisione del Tar della Campania che aveva annullato l’informativa prefettizia nei confronti del Consorzio Free Services a seguito dell’istanza proposta dal presidente Giovanni Sferragatta e dai consiglieri Luigi Caturano ed Antimo Caturano.

 

N. 04450/2014REG.PROV.COLL.  N. 03427/2014 REG.RIC. del Consiglio Di Stato

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3427 del 2014, proposto da:  Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Caserta in persona dei rispettivi rappresentati pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

contro

Giovanni Sferragatta, Luigi Caturano, Antimo Caturano, Consorzio Free Service in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Luigi Ricciardelli e Antonio Ricciardelli, con domicilio eletto presso Renato Pedicini in Roma, via F. D’Ovidio, n.83;

per la riforma  della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI SEZIONE I n. 00387/2014

Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Giovanni Sferragatta, di Luigi Caturano, di Antimo Caturano e del Consorzio Free Services;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 luglio 2014 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Ricciardelli Luigi e dello Stato Collabolletta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. – Il Consorzio ricorrente, unitamente al presidente Giovanni Sferragatta ed ai consiglieri Luigi Caturano ed Antimo Caturano, aveva impugnato il provvedimento interdittivo prot. n. 2120/12.b.16/ANT/Area 1 del 3 marzo 2012 adottato dal Prefetto di Caserta nei confronti della stesso Consorzio, emesso in occasione della richiesta di concessione di un contributo da parte del Miur ai sensi del d.m. n.593 del 2000.

Aveva impugnato altresì, con i motivi aggiunti depositati a seguito dell’istruttoria, una serie di ulteriori atti (relazione del Prefetto, verbale del G.I.A., dei Carabinieri, relazione della Questura di Caserta).

Il Consorzio ricorrente denunciava l’illegittimità di tali atti deducendo motivi di violazione di legge e di eccesso di potere (presupposto erroneo, travisamento dei fatti, sviamento di potere, violazione del giusto procedimento, motivazione errata, perplessità, contraddittorietà, illogicità, atipicità dell’atto, falsità della causa).

Si costitutiva in giudizio il Ministero degli Interni ed il Miur concludendo per la infondatezza del ricorso.

2. – Il Tar riteneva che l’adozione della misura interdittiva nei confronti del Consorzio ricorrente non era giustificata in relazione agli elementi indiziari richiamati del provvedimento del Prefetto.

In particolare la informativa era basata sul collegamento fra il Consorzio ricorrente ed una della società che ne faceva parte (Caturano Autotrasporti s.r.l.), la quale presentava, secondo il Prefetto, significativi indici di permeabilità mafiosa; il primo giudice richiamava la decisione del Tar n. 5086 del 2013, che aveva annullato l’informativa a carico della predetta società che, a sua volta, richiamava una precedente decisione del Tar Campania n. 1901 del 2013, resa nei confronti di Aniello C.

Il Tar quindi evidenziava che dalle citate pronunce risultava che:

– con riferimento all’arresto del 4.7.2011 di Aniello C., allora amministratore unico della società Autotrasporti Caturano (perché ritenuto responsabile dei delitti di cui agli artt. 81 cpv, 110, 629, 628 n.1 e n.3 del c.p., con l’aggravante ex art.7 L. n.203/1990), lo stesso era stato scarcerato con ordinanza di riesame pronunciata dalla Sezione VIII dello stesso Tribunale in data 15.7.2011, dunque antecedentemente al verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia del 13.7.2012 ove non si faceva alcuna menzione del detto provvedimento;

– tale circostanza era di sicuro rilievo in quanto l’organo del riesame, nell’annullare la misura cautelare in precedenza adottata, aveva ritenuto insufficienti gli elementi raccolti a supporto del quadro indiziario posto a base dell’accusa, per il mancato riscontro dei fatti denunciati, anche in relazione al grado di attendibilità del denunciante M.P., coindagato in procedimento connesso;

– neppure risultava valutato il fatto che quest’ultimo M.P. era stato rinviato a giudizio con decreto del GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 7.2.2012, in relazione al delitto di cui all’art. 368 c.p., per aver falsamente denunziato lo smarrimento di due assegni, per un importo complessivo di € 11.000,00, ed incolpato il giratario (ossia il già nominato A.C.) pur sapendolo innocente;

– a fronte degli elementi raccolti nei citati atti ed emersi successivamente alla prima ricostruzione dei fatti sottesa all’ordinanza di custodia cautelare, si rendeva ineludibile un approfondimento della vicenda da parte dell’amministrazione ai fini di verificare, alla luce dei criteri sopra delineati, la sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione dell’interdittiva antimafia;

– i rilevati vizi istruttori, tali da inficiare la correttezza dell’iter logico/motivazionale soggiacente la disposta misura, non venivano superati neppure dopo l’ordinanza di riesame pronunciata dal Tar Campania in sede cautelare; infatti, anche la nota prefettizia del 13.12.2012, lungi dall’operare un’effettiva rivalutazione degli elementi sopra segnalati, si era limitata a confermare il precedente esito, valorizzando peraltro fatti non attuali (accaduti nel periodo 1999-2003), riferiti a soggetto diverso (P.C., padre di A.C.) e privi, pertanto, di concreta significatività circa possibili tentativi di infiltrazione della criminalità aventi lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa;

– relativamente alla contiguità di Pietro C., padre di A.C., con il “clan dei casalesi”, desunta dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia per i rapporti esistenti con Antimo P. con riferimento a fatti risalenti al 1999-2003, venivano incongruamente valorizzate circostanze non attuali;

– l’ occasionale “contatto” con un soggetto controindicato non poteva avere significato concludente, utile a sorreggere adeguatamente i dubbi sulla compromissione morale dell’impresa in questione.

Il Tar quindi accoglieva il ricorso annullando la interdittiva impugnata mentre respingeva la richiesta risarcitoria stante la mancanza di validi elementi probatori a sostegno della stessa compensando le spese di giudizio.

3. – Nell’atto di appello il Ministero dell’Interno, dopo avere ricostruito i tratti salienti della informativa antimafia tipica, evidenzia:

– la precedente pronunzia richiamata dal Tar, sempre del Tar Campania, Napoli, n.1901/2013 (n.rg. 8871/2013) è all’esame del giudice di appello;

– il Tar non avrebbe tenuto conto della ordinanza pronunziata dal Tribunale Penale in sede di riesame dalla quale emergevano ulteriori elementi presi in esame dalla informativa ed in cui si dava atto della dichiarazione di alcuni collaboratori di giustizia circa il fatto che i componenti della famiglia Caturano ed in specie di quelli che si occupano di rifiuti sono vicini al clan Belforte;

– a torto il Tar ha ritenuto di non attribuire rilievo a quanto emerso nel corso delle indagini relative al procedimento penale n.36856/2001 R.G.N.R. mod. 21 della DDA del Tribunale di Napoli in cui era emersa la contiguità di Caturano Pietro, padre di Caturano Aniello, con il “clan dei casalesi” alla luce dei rapporti intercorsi con Perreca Antimo, capo zona nel Comune di Recale;

– tale elemento, rilevato dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta con la nota del 28.11.2012, è relativo a fatti verificatisi antecedentemente alla emissione del provvedimento interdittivo impugnato che non erano stati evidenziati in virtù del segreto istruttorio;

-doveva considerarsi significativo il fatto che sino ad aprile 2004 il consiglio di amministrazione della società ricorrente era formato da Caturano Aniello, Pietro e Antonio e sino al maggio 2004 il capitale sociale era ripartito tra Caturano Pietro e Antonio. Dal luglio 2004 la compagine sociale è costituita da Caturano Aniello (amministratore unico e Ventrone Giuseppina (madre).

Conclude il Ministero appellante chiedendo la riforma della sentenza del Tar.

Si sono costituiti i signori Sferragatta Giovanni, Caturano Luigi, Caturano Antimo ed il Consorzio Free Services chiedendo il rigetto dell’appello ed in specie evidenziando:

-che non risulta proposto appello avverso alla sentenza n.5086/2013 del Tar Campania sede di Napoli che aveva accolto il ricorso della s.r.l. Caturano Autotrasporti avverso la interdittiva prefettizia del 3.12.2012;

-il GIP presso la Procura di Napoli in data 17.2.2014, su conforme richiesta del PM, ha disposto la archiviazione del procedimento penale a carico di Caturano Aniello (n.12366/12 GIP) mettendo completamente fine alla vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto;

– sarebbero stati valorizzati ed amplificati dal Prefetto elementi indiziari di nessuna rilevanza e relativi a vicende remote, già delibate e smentite;

-l’ordinanza del Tribunale di riesame non ha formato oggetto di valutazione alcuna da parte del GIA, delle Forze dell’Ordine, né del Prefetto;

-nessuno degli odierni appellati è citato nel provvedimento di riesame, le indicazioni dei collaboratori di giustizia sono generiche, il PM ha condiviso tale giudizio al punto da richiedere la archiviazione;

-le risultanze investigative sono neutre per il Consorzio Free Services la cui attività ha ad oggetto servizi ai consorziati e nei cui confronti non è stata accertata traccia alcuna di relazioni dirette o indirette con sodalizi criminali.

In vista della udienza di trattazione gli appellati hanno depositato una ulteriore memoria difensiva insistendo per la conferma della sentenza del Tar e la reiezione dell’appello.

Alla udienza del 3 luglio 2014, dopo la discussione orale in cui gli appellati hanno insistito nelle proprie argomentazioni chiedendo il rigetto dell’appello, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

4. – L’appello del Ministero dell’Interno è fondato.

La Sezione ritiene di richiamare, sia pure brevemente, gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza in materia di interdittive antimafia.

Con riferimento alla cd. interdittiva antimafia “tipica”, prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) questa Sezione (sentenze n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha affermato:

– che l’interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;

– che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;

– che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua evidente illogicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

– che, essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;

– che anche se occorre che siano indicati specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi nel loro insieme un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;

– che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;

– che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

5. – Tenendo presenti le sopra esposte coordinate interpretative, l’interdittiva oggetto del presente giudizio risulta giustificata dagli elementi indiziari che erano stati indicati nel relativo provvedimento dal Prefetto di Caserta e nei successivi atti depositati.

Nella definizione del quadro indiziario, quale risultante dalle informazione delle forze di polizia, sottoposte successivamente all’esame del Gruppo Ispettivo Antimafia, è emerso che nel Consorzio si radicavano fitte cointeressenze economiche della famiglia Caturano, ritenuta dalle forze dell’ordine contigua al “clan dei casalesi”.

Infatti il comitato direttivo del Consorzio è costituito da Caturano Antino (presidente), Caturano Luigi (consigliere) e Sferragatta Giovanni (consigliere) e fanno parte del consorzio la società Tracal s.r.l., la società Caturano Autrasporti s.r.l. e la società Nuova S.G.A. s.r.l. nelle cui compagini sociali sono presenti membri della famiglia Caturano.

I germani Caturano Antimo e Luigi insieme agli altri fratelli detengono la proprietà della società Generale Industrie Estrattive General Sindes spa anch’essa destinataria di interdittiva antimafia nel 2012 avverso la quale non è stato proposto ricorso giurisdizionale.

La società Caturano Autotrasporti, della cui compagine societaria fanno parte anche Caturano Antino e Luigi, è stata destinataria nel 2012 di un provvedimento interdittivo antimafia annullato dalla sentenza del Tar Campania n. 5086 del 2013 sulla base di un rinvio per relationem ad un precedente del medesimo Tar n.1901 del 2013. Tuttavia la sentenza di questo Consiglio di Stato, Sez. III, n.3208 del 2014 del 5 giugno 2014 ha riformato la sentenza del Tar Campania n.1901 del 2013 richiamata per relationem..

6. – Nella sopradetta sentenza n.3208/2014, questo Consiglio di Stato ha ritenuto che erroneamente il Tar, nella sopradetta pronunzia n.1901/2013, non abbia attribuito rilievo a quanto emerso nel corso delle indagini relative al procedimento penale n.36856/2001 R.G.N.R., mod. 21 della D.D.A del Tribunale di Napoli, in cui risultava la contiguità di Caterano Pietro, padre di Caterano Aniello, con il “clan dei casalesi” in relazione ai rapporti intercorsi con Perreca Antimo, capo zona nel comune di Recale e zone limitrofe.

Tale elemento, pure preso in considerazione dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta ai fini della emissione della informativa dell’11.7.2012 (impugnata in quel giudizio), veniva rivelato solo con la nota del 28.11.2011, redatta all’esito della ordinanza cautelare del Tar, pure riguardando fatti antecedenti alla emissione del provvedimento interdittivo impugnato.

Nella nota sopradetta del 28.11.2012 il Comando Provinciale di Caserta dei Carabinieri evidenziava tra l’altro che:

– Caturano Antonio, figlio di Caturano Pietro, veniva sottoposto il 24.11.2003 al regime detentivo degli arresti domiciliari per il reato di associazione a delinquere in concorso, finalizzata alla perpetrazione di reati connessi al settore dei rifiuti;

-il collaboratore di giustizia Piero Amodio, affiliato al “clan camorristico dei casalesi”, fazione Schiavone, aveva riferito che Antonio Perreca, capo dell’omonimo clan camorristico operante a Recale (condannato nel processo penale c.d. Spartacus II) aveva definito Caturano Pietro “proprio compare”;

-il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone aveva dichiarato che in seno ai consorzi Cedic e Covin operavano soggetti contigui al “clan dei casalesi”;

-la società Calcestruzzi Volturnia Inerti s.r.l. aveva aderito al consorzio Cedic sin dal 1991 ed il suo consiglio di amministrazione era composto da Caturano Pietro e da suo figlio Antonio mentre l’altro figlio Aniello, ne era il presidente.

-quanto al consorzio Covin, ad essa aveva aderito la D’Agostino s.r.l il cui consiglio di amministrazione era composto, sempre da Caturano Pietro, insieme a suo cognato Verone Luciano;

– Caturano Pietro, insieme ai figli Antonio, Aniello e Luigi, erano stati denunziati dalla Digos di Frosinone alla Procura della Repubblica di Roma per “l’acquisizione e consolidamento del controllo egemonico del territorio da parte della associazione di tipo mafioso denominata “clan dei casalesi”;

-dall’aprile 2004 il consiglio di amministrazione della società Caturano era formato da Caturano Aniello (presidente), Pietro e Antonio (consiglieri) e sino al maggio 2004 la compagine sociale era costituita da Caturano Aniello (amministratore unico) e Ventrone Giuseppina (madre).

Per quanto gli appellati abbiano contestato le circostanze evidenziate dalle forze dell’ordine, (per la risalenza nel tempo delle indagini, per il valore da attribuire alla affermazione del collaboratore di giustizia che il signor Caturano Pietro fosse un “compare“del capo clan locale, per il valore da attribuire alla denunzia alla Digos di Frosinone alla Procura della Repubblica di Roma, in quanto in quella vicenda la denunzia era stata archiviata su richiesta dello stesso PM, per il fatto che sarebbe mancato il requisito dell’attualità e della riferibilità dei fatti contestati alle parti attinte dalla informativa interdittiva), questo Consiglio di Stato ha ritenuto che la interdittiva prefettizia poggiasse su basi ragionevoli.

Ciò sul rilievo che per quanto emerga da elementi di carattere meramente indiziario, la famiglia Caturano, nel corso di tutta la sua vita imprenditoriale, risultava in vario modo accomunata, vicina, se non contigua, con la realtà criminale gravitante nell’orbita di controllo del “clan dei casalesi” e che tali indizi provenivano da elementi diversificati ed eterogenei, comunque concordanti, radicando quindi il pericolo di un possibile condizionamento nella vita della società da parte della criminalità organizzata.

Tali circostanze erano state correttamente valutate dal Prefetto anche in relazione alla natura degli intrecci del fenomeno camorristico nel contesto geografico in cui opera la società Caturano, mentre il semplice decorso del tempo in ordine agli elementi indiziari raccolti, non assumeva un ruolo significativo e determinante per ritenere risolto ogni collegamento con ambienti malavitosi.

Anche i procedimenti penali conclusisi con l’archiviazione non potevano considerarsi asintomatici ed irrilevanti ai fini della interdittiva, non potendo neutralizzare completamente gli elementi indiziari raccolti dalle indagini di polizia.

Quanto al fatto che gli elementi indiziari non avrebbero colpito direttamente tutti i Caturano, ma soprattutto il loro padre Pietro e solo alcuni dei figli, questo Consiglio di Stato ha rilevato che se è pacifico in giurisprudenza, che l’elemento parentale non possa da solo essere indice di influenza mafiosa, per cui le responsabilità penali di parenti non possono ricadere su soggetti esenti da mende, nel caso di specie, la famiglia Caturano era ed è legata da un intreccio continuo di affari e di interessi economici per cui, in presenza di una società su base sociale esclusivamente familiare, non pare illogico presumere che i vincoli di sangue e l’appartenenza familiare, non disgiunta dalla stessa convivenza, costituiscano il tessuto stesso della vita della impresa.

7. – Le conclusioni della sentenza n.3208/2014 sono sovrapponibili anche alla odierna vicenda in cui il Consorzio vede la presenza significativa nel ruolo di presidente e membro del consiglio di amministrazione di membri della famiglia Caturano.

La relazione del Prefetto di Caserta 30.4.2013 n.17642, il verbale del GIA di Caserta in data 30.11.2012, il rapporto del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta 28.11.2012, il rapporto della Questura di Caserta, nel richiamare le vicende della famiglia Caturano evidenziano un quadro indiziario di possibile condizionamento e contiguità dei Caturano e, attraverso di loro del Consorzio odiernamente appellato e dei suoi singoli membri, con gli ambienti della criminalità organizzata, tale da giustificare i provvedimenti interdittivi impugnati.

Il fatto che alcuni membri del Consorzio siano esenti da mende o da precedenti penali o anche estranei completamente ad indagini di polizia non assume un rilievo in relazione alla già evidenziata natura delle informative antimafia che non sono provvedimenti di carattere punitivo per l’adozione dei quali è necessario individuare un elemento di colpevolezza e responsabilità nei riguardi dei soggetti a cui sono rivolte, trattandosi di una forma eccezionale di tutela avanzata a presidio dell’ordine pubblico; come tali possono basarsi su circostanze, rilevanti su un piano oggettivo, ma del tutto indipendenti da specifiche colpe attribuite ai soggetti interessati.

8. – In conclusione l’appello del Ministero dell’ Interno va accolto e, in riforma della sentenza appellata, il ricorso originario va respinto.

9. – Sussistono motivi anche per la peculiarità e l’andamento della vicenda contenziosa, per compensare spese ed onorari dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando, in riforma della sentenza di primo grado

accoglie l’appello e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

 

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