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ROCCAMONFINA – Riduzione del personale in municipio, Petteruti si rivolge al Tar che si dichiara non competente

ROCCAMONFINA -Riduzione del personale nel municipio di Roccamonfina, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania si è dichiarato non competente, rientrando la controversia in esame nella giurisdizione del giudice del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.

La decisione dei giudici arriva sul ricorso  3267 del 2009, proposto da PETTERUTI MARIA TERESA ANNA, contro il COMUNE DI ROCCAMONFINA, per l’annullamento della delibera di Giunta Municipale n. 18 dell’11.3.2009 con cui il Comune di Roccamonfina, nella parte in cui, nel rideterminare, ai sensi dell’art. 260 del D.L. vo n. 267/2000, la dotazione organica del Comune di Roccamonfina, con l’effetto di ridurre i dipendenti in servizio da n. 25 a n. 22, si è disposto di collocare in disponibilità le n. 3 unità dichiarate eccedenti – tra cui la ricorrente – ai sensi e per gli effetti dell’art. 260, commi 1 e 2, D.L. vo n. 267/2000.

Con il ricorso in esame – notificato il 21.5.2009 e depositato il 15.6.2009 – Petteruti Maria Teresa Anna, ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, la delibera di Giunta Municipale n. 18 dell’11.3.2009 con cui il Comune di Roccamonfina, nel rideterminare la dotazione organica comunale dai n. 25 dipendenti in servizio (come da allegato A) a n. 22 dipendenti, quali risultanti dall’Allegato B, dichiarava eccedenti le n. 3 unità – ivi compresa la dipendente Petteruti Maria Teresa Anna – di cui all’allegato C, “comunque in servizio in soprannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione di cui all’art. 263, comma 2, D.L. vo n 267/2000”, conseguentemente collocando in disponibilità le n. 3 unità dichiarate eccedenti, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 260, commi 1 e 2 del D.L. vo n. 267/2000.

All’uopo, a sostegno del gravame, la ricorrente ha dedotto profili di violazione di legge (per violazione del principio partecipativo, attesa l’omessa comunicazione di avvio del procedimento; art. 3, L. n. 241/1990 per difetto di motivazione) e di eccesso di potere per illogicità manifesta.

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune, preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e, nel merito, sostenendone l’infondatezza.

Alla pubblica udienza del 28 novembre 2013 il ricorso è stato ritenuto in decisione.

Preliminarmente il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, rientrando la controversia in esame nella giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro.

Al riguardo, è a dir subito che nonostante la natura di atto di organizzazione generale (macro-organizzazione) rivestita dalla delibera di approvazione della pianta organica di un Ente Locale, delibera siffatta, per la parte in cui, sia pure in conseguenza della riduzione della pianta organica con soppressione dei relativi posti, pone in mobilità unità di personale dipendente dichiarate eccedenti, assume i connotati di un provvedimento concreto immediatamente incidente nella sfera giuridica dei singoli dipendenti interessati i quali, se ritengono la predetta delibera lesiva della propria posizione di lavoro, possono insorgere avverso la stessa, ovviamente nella sola parte in cui risulta incidere sul rapporto di lavoro in corso di svolgimento con l’Ente di appartenenza, nel senso di determinarne una vicenda costituita dalla messa in mobilità di alcuni dipendenti.

Nella fattispecie i suddetti connotati sono resi evidenti proprio dalla impugnata delibera con i testuali richiami al D.L. vo n. 165/2001, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche” ed “all’incontro tenuto con le organizzazioni sindacali con le quali è stato discusso il contenuto del provvedimento, nonché le motivazioni tutte che ne determinano l’emanazione”, ovviamente anche per le implicazioni della delibera adottata sui singoli rapporti di lavoro dei dipendenti interessati dal provvedimento di collocazione in mobilità.

Tuttavia è evidente che la controversia instaurata al fine di tutelare la propria posizione lavorativa assume i connotati di una controversia di lavoro ed, in relazione a tali controversie, in punto di riparto di giurisdizione, si rende necessario utilizzare il risalente, ma sempre attuale, criterio del “petitum sostanziale”, elaborato dalla Suprema Corte Cassazione per il quale, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non tanto la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, cioè della intrinseca natura della controversia dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (Cfr.: Cass. Civ. SS.UU., Ordinanza n. 10180/2004) e, anche seguendo la direttiva ermeneutica indicata dalla Corte Costituzionale a partire dalla importante sentenza 204/2004, l’elemento decisivo per radicare la giurisdizione amministrativa, al di là della prospettazione del ricorrente, è indubbiamente costituito dall’esistenza di un potere autoritativo dell’amministrazione espresso nel provvedimento impugnato, potere che, nel caso di specie, difetta, nella parte in cui la delibera adottata dispone sulla vicenda di messa in mobilità di alcuni dipendenti, muovendosi in un ambito paritetico perché riconducibile alla sfera di capacità di gestione di diritto privato del datore di lavoro.

Al riguardo, l’art. 63 del D.L. vo n. 165/2001 prevede che: << Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca di incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi sono rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo >>.

In sede applicativa in giurisprudenza si è rilevato che: << Le controversie concernenti gli atti di organizzazione dell’amministrazione rientrano nella giurisdizione del G.O., e sono passibili di disapplicazione, in tutti i casi in cui costituiscono provvedimenti presupposti di atti di gestione del rapporto di lavoro del pubblico dipendente… In caso di illegittimità, per contrarietà alla legge, del provvedimento di riforma della pianta organica di un Comune, con soppressione delle posizioni dirigenziali, questo deve essere disapplicato (………).

Non è consentito al titolare del diritto soggettivo, che risente degli effetti di un atto amministrativo, di scegliere, per la tutela del diritto, di rivolgersi al giudice amministrativo per l’annullamento dell’atto presupposto, atteso che, in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si agisca a tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico, è consentita esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dalla disapplicazione dell’atto e dagli ampi poter riconosciuti a quest’ultimo >> (Cass. SS.UU., 16 febbraio 2009, n. 3677).

Il Collegio aggiunge – richiamando giurisprudenza consolidata della Sezione – che, già in precedenza, l’art. 2, comma secondo, del D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29, recante norme di razionalizzazione dell’organizzazione della P.A. e di revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, aveva stabilito, sul versante sostanziale, l’applicazione al rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (salvo le ipotesi previste dal quarto comma della disposizione medesima) della disciplina dettata dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa ed aveva rimesso alla contrattazione collettiva ogni ulteriore regolamentazione di dettaglio, alla quale devono conformarsi i rapporti individuali di lavoro.

Il rapporto di lavoro privatizzato è chiamato a svolgersi in un assetto organizzativo che conserva le sue connotazioni pubblicistiche e che resta definito da scelte che sono espressione del potere di autorganizzazione della Pubblica amministrazione il cui oggetto è definito dall’art. 2, comma primo, del D.L.vo n. 29/1993 ed attiene alle << linee fondamentali di organizzazione degli uffici >>, all’individuazione di quelli fra essi di maggiore rilevanza, ai modi di conferimento della titolarità dei medesimi, alla determinazione delle dotazioni organiche complessive.

Il successivo art. 4 ribadisce << la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa >> degli innanzi richiamati atti di organizzazione e precisa che le ulteriori <determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro>.

Tale ultima disposizione individua una categoria di atti del soggetto con cui si svolge il rapporto di impiego che – pur incidendo sull’assetto organizzativo in cui deve essere resa la prestazione lavorativa e sui relativi contenuti, modalità, tempo e luogo – non assumono connotazioni pubblicistiche, ma si risolvono in un ambito paritetico perché riconducibili alla sfera di capacità di gestione di diritto privato del datore di lavoro.

11. Sul versante processuale, coerentemente, l’art. 68 del D.L.vo n. 29/1993, riprodotto con integrazioni all’art. 63 del D.L.vo n. 165/2001, devolve alla cognizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro privatizzato (escluse quella afferenti le procedure concorsuali per l’assunzione) << ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti >>; nei confronti di questi ultimi, ove riconosciuti illegittimi e rilevanti per la decisione, può essere esercitato il potere di disapplicazione.

In definitiva si configura un sistema volto a garantire che sia un unico giudice ad occuparsi in modo unitario dell’intera controversia, che la norma individua una chiara regola di giurisdizione in base alla quale, allorquando la domanda introduttiva del giudizio si fondi sul << petitum >> sostanziale riconducibile al rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non rilevando in contrario che la prospettazione di parte sia rivolta anche avverso atti prodromici di cui si contesti la legittimità per vizi peculiari ai provvedimenti amministrativi, evenienza che non determina nessuna << vis attractiva >> verso la giurisdizione del Giudice amministrativo per effetto di detto nesso di presupposizione (Corte di Cassazione SS.UU. 7 agosto 2003 n. 3508 e 18 aprile 2003 n. 6348).

E tale giurisdizione resta ferma, quale che sia l’atto organizzatorio posto a fondamento del provvedimento concretamente lesivo della sfera giuridica del dipendente.

Sul punto, appena è il caso di aggiungere che, a seguire la tesi contraria che mostra di dare attenzione eccessiva alle sorti dell’atto presupposto di organizzazione, ritenuto illegittimo, minimizzando le implicazioni che esso atto ha sul provvedimento con cui in concreto si dispone della posizione giuridica del dipendente, l’azione innanzi al giudice amministrativo finirebbe con l’essere data esclusivamente a tutela della legalità, vanificando, peraltro, lo spirito della Riforma; sennonché nella materia de qua alcuna fattispecie di azione popolare, è prevista, nel nostro ordinamento che considera azioni siffatte pur sempre di carattere eccezionale, con la conseguenza che il ricorso, anche per questo altro verso, si rileverebbe inammissibile per carenza di interesse e di legittimazione ad agire.

Il sistema legislativamente delineato non implica alcuna deminutio di tutela per l’interessato, in quanto il Giudice ordinario, con gli strumenti conferitigli dall’ordinamento, anche in funzione dell’accertamento di eventuali responsabilità individuali, è in grado di apprestare piena ed effettiva tutela alle posizioni giuridiche sostanziali, riconosciute dalle norme legali o contrattuali, per la cui tutela si adisce la sua giurisdizione, coinvolgendo anche l’atto amministrativo presupposto di cui sia applicativo l’atto di gestione del rapporto di lavoro ed accentrando avanti a sé il controllo che, in tal guisa è esteso in via incidentale anche all’atto amministrativo, senza effetti di giudicato di annullamento (Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 dicembre 2005 n. 7384, T.A.R. Puglia Lecce, sez. II 7 dicembre 2005 n. 5785, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 11 novembre 2002, n. 3839).

Nella fattispecie, è indubbio che l’oggetto del contendere sia riconducibile “ratione materiae” nell’ambito delle “controversie relative ai rapporti di lavoro” devolute dall’art. 63 del D.L. vo n. 165/2001 alla giurisdizione del giudice del lavoro, perché si collega alla tutela di situazioni di diritto soggettivo dei pubblici dipendenti interessati quali riconosciute dal contratto collettivo di lavoro e dalla legge professionale, con riconduzione alla cognizione dell’A.G.O. di ogni altra questione diretta ad investire la legittimità degli atti amministrativi presupposti di gestione del rapporto di lavoro.

Tanto è sufficiente per concludere che il ricorso in esame è inammissibile per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo in favore del giudice ordinario.

Ricorrono tuttavia giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

Per tutte queste ragioni il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione quinta, definitivamente pronunciando, dichiara il proprio difetto di giurisdizione rientrando la controversia in esame nella giurisdizione del giudice del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.  Spese compensate.

 

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