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I guai sono neri, la morte è nera. Anima nera sinonimo di cattiveria. Il nuovo pregiudizio: nero uguale spacciatore

(di Sandrino Luigi Marra)

Franz Fanon fu un medico “nero”  della Martinicadiscendente degli schiavi deportati nel XVII° secolo; nei primi anni 60 del XX° secolo ebbe a dire che ancora in quel periodo il nero rappresentava nel contesto occidentale e dunque bianco, la negatività; ciò perchè nella cultura occidentale il colore nero rappresenta la notte buia, le tenebre, ove gli uccelli rapaci sono perlopiù neri, la sfortuna è nera, la malasorte è nera.
I guai sono neri, la morte è nera e veste di nero, un’anima nera è sinonimo di cattiveria, in contrapposizione il candore della purezza, la bianca colomba della pace, la bontà che è bianca, il bianco sinonimo di pulito, Cristo nel suo bianco candore figlio di Dio.   Nel pregiudizio comune nel contesto occidentale diviene semplice definire il nero quale problema sociale anche nel nostro paese. Perchè accenno a tutto ciò? Perchè nel contesto delle città italiane è divenuto comune pensare che un nero sia uno spacciatore. Che un nero sia un membro della mafia nigeriana, qui poi ancor più pregiudizievole è l’idea che i neri siano tutti nigeriani e tutti i neri siano spacciatori. Ma guardiamo alla realtà, analizziamo l’invisibilità di ciò che non vogliamo vedere nè capire.
Innanzitutto lo spaccio; è vero che da alcuni anni gli spacciatori di sostanze stupefacenti sono in maggioranza di colore, ma presi dal pregiudizio non ci chiediamo mai perchè e chi sono, è indubbiamente più facile fare un jaccuse generico. Da alcuni anni, a dire il vero da almeno 20 anni, le mafie nostrane hanno adottato un nuovo e sensazionale sistema di gestione dello spaccio di sostanze, un sistema che denota la grande abilità ed intraprendenza negli affari dei nostri “concittadini malavitosi”. Difficile vedere in strada spacciatori bianchi, (tranne che in contesti particolari), nelle medie città del Nord Italia e non solo la malavita ha dato in “concessione” i territori. Si paga una vera e propria concessione, con l’impegno di fornirsi dal distributore indigeno, con le sostanze vendute all’ingrosso, poi sarà il piccolo clan straniero a gestire il dettaglio e la vendita in loco. In questo la malavita nostrana non ci rimette i propri uomini, se vi sono retate delle forze dell’ordine saranno gli spacciatori neri a rimetterci. Ma in fondo a rimetterci non è neanche il clan nigeriano, ghanese, congolese o quel che sia, che poi per le persone sono sempre nigeriani, ma il povero dannato che all’incrocio vende al dettaglio. Perché povero dannato mi direte? Perché il giovanissimo spacciatore nella stragrande maggioranza dei casi è uno schiavo, si esatto uno schiavo non più e non meno delle povere ragazze sue connazionali costrette a prostituirsi sulle nostre strade. Perché i trafficanti di uomini schiavizzano anche i maschi; a volte con la promessa di un lavoro onesto, a volte con la richiesta diretta alle famiglie, senza se e senza ma. Così una moltitudine di giovani, non solo rischia la vita nelle traversate del Sahara, del Mediterraneo, durante i periodi di detenzione forzata in Libia, nel Mali o in altri luoghi, ma resta legata ai trafficanti dal debito fatto per raggiungere non l’Italia (se pensate che l’Italia sia la meta di vita degli africani vi sbagliate di grosso) ma l’Europa. Poi finiscono per restare in Italia, ma questo è un diverso discorso, l’interesse per quel che riguarda le piazze di spaccio sono innanzitutto il bel paese e dunque le mafie straniere li lasciano sul territorio italiano. Cosa ci guadagna in questo un clan africano malavitoso. Come già detto se arrestano il poveraccio, se dovessero sbatterlo in galera e rimpatriarlo, il clan non ha perso un centesimo, ha perso un pezzo di carne che sostituirà con un’altro pezzo di carne il quale ha pagato per andare a fare la fine che vediamo, dunque di conseguenza per quel che ha pagato, il clan ha già abbondantemente intascato. Possiamo a questo punto chiederci quale è la convenienza, quanto guadagnerà (semmai possiamo parlare di guadagno) il giovane spacciatore. Pagherà il suo debito ed alla famiglia saranno inviati quattro centesimi che poi nel proprio paese valgono quattro stipendi. Mi spiego: il clan detrarrà una certa cifra sul guadagno giornaliero del giovane per pagare il proprio debito, invierà diciamo 200 euro al mese alla famiglia, ne darà la stessa cifra o qualcosa in più al giovane per i bisogni personali. Molto probabilmente il giovane invierà metà delle sue risorse alla famiglia. In quasi tutta l’Africa sub sahariana lo stipendio medio di un individuo varia tra i 60 e gli 80 Euro mensili. Da tutto ciò i conti sono fatti, la famiglia in Nigeria, in Congo, in Botswana, in Burundi e via via altri luoghi avrà a disposizione denaro pari ad almeno tre stipendi mensili. E qui non dico altro in merito, più chiaro di così. Ed al giovane come andrà? Beh se è fortunato intorno ai 35 anni potrà tornarsene nel proprio paese con una piccola sommetta, se gli va maluccio finisce in galera per un non precisato periodo, se gli va ancor più male finisce morto ammazzato in qualche faida tra clan. Così noi guardiamo e giudichiamo senza pensare che in fondo nostri connazionali sono la causa ulteriore della schiavitù e dell’invisibilità, e come dice sempre la mia amica Enathè, Rwandese di origini, “dove c’è un mercato c’è una richiesta” e la richiesta potrebbe venire da mio padre, mio fratello, da mio figlio, dal mio migliore amico che si fa a coca o altro per avere un bel fine settimana. Così io, tu, noi, voi, creiamo senza voler vedere (perchè lo sappiamo bene cosa creiamo) ulteriori invisibili per il nostro mercato, per il nostro effimero consumo di sensazioni, con il nostro fornitore divenuto schiavo dei nostri vizi. Poi lo definiamo come diceva Fanon, in rivisitazione contemporanea, spacciatore perchè i neri spacciano, con il nuovo pregiudizio di nero uguale a spacciatore.

 

 

 

 

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