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PIETRAVAIRANO – Lavori pubblici e tangenti, la Cassazione dice “no” all’appello di Panarello. Condanna confermata

PIETRAVAIRANO. La Cassazione avrebber respinto l’appello proprosto dai difensori dell’ingegnere Giuseppe Panarello.  L’avvocato Mauro Iodice  – difensore dell’imputato – aveva chiesto la cancellazione della condanna precedente, inflitta sia dal tribunale di primo grado e successivamente confermata dal tribunale d’appello. La Cassazione ha ritenuto, invece, di non dover rivedere il processo. La decisione dei giudici romani appare come una ulteriore conferma all’impianto accusatorio mosso dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Giuseppe Panarello è la prima figura del gruppo di persone coinvolte nella vicenda a chiudere la propria posizione; inoltre è l’unica che finora avrebbe ammesso parte delle proprie colpe, giustificando però il proprio comportamento con l’impossibilità di afgire diversamente. Insomma, Panarello era costretto a comportarsi in quel modo per poter lavorare. Ora la sua testimonianza, all’interno del processo Longa manus, potrebbe pesare come un macigno sugli imputati. Era novembre di un anno fa quando la corte di Appello di Napoli confermò la condanna a 4 anni contro l’ingegnere Giuseppe Panarello.  Panarello, secondo l’accusa, insieme ad altri due colleghi, Giuseppe Di Duca e Valerio Mortellaro, faceva parte di quel sistema che è stato denominato “Diga”, una sorta di misura di prevenzione che i tre si affrettavano a prendere per impedire l’accesso di altre società o ditte negli appalti del comune e dunque proteggere gli affari di quelle uniche ditte che si aggiudicavano gli appalti attraverso un sistema davvero ferraginoso e diabolico. La “diga”, secondo l’accusa, era uno sbarramento attuato dai tre tecnici, tra cui Panerello, per proteggere il sistema che gli amministratori, collusi con gli imprenditori corruttori, avevano attuato per mettere le mani sulla pioggia dei milioni di euro che arrivavano per i lavori pubblici. Per rifare le strade per ristrutturare edifici e scuole comunali per gli impianti di illuminazione e quant’altro pur arrivando le richieste di partecipazione di numerose altre ditte erano sempre quelle di Zagaria e Di Bello ad aggiudicarsi i lavori. Ciò avveniva con un sistema illegale messo in moto dai sodali che di fatto impediva l’accesso ad altre imprese reali, mentre per le gare d’appalto facevano passare proposte fittizie, offerte provenienti da società che sono poi risultate inesistenti a seguito dei controlli della GdF.

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