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Vairano Patenora – Torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, Loffreda collabora con la Procura: concessi i domiciliari

Vairano Patenora – E’ passato dal carcere agli arresti domiciliari l’agente della Polizia penitenziaria Gennaro Loffreda, residente nel territorio del comune di Vairano Patenora, indagato per le violenze ai detenuti avvenute nell’istituto di pena di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020. La decisione è stata presa dal giudice per le indagini preliminari Alessia Stadio a cui si sono rivolti nei giorni scorsi i legali di Loffreda, dopo che quest’ultimo avrebbe reso dichiarazioni collaborative alla Procura; l’istanza presentata per Loffreda è stata l’unica a non essere stata rigettata dal Gip.

La chiusura delle indagini:
Lo scorso mese di settembre, la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha chiuso le indagini sulle torture nel carcere Uccella. Sono 120 – quasi tutti poliziotti della penitenziaria –  le persone finite nell’inchiesta che ha portato alla luce uno scandalo enorme.  Agli indagati sono stati contestati, a seconda delle loro rispettive posizioni e partecipazioni alla rappresaglia in carcere, i delitti di tortura pluriaggravati ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020. “In considerazione dell’elevato numero delle persone offese, che sono 177 – spiega in una nota il capo della Procura Maria Antonietta Troncone – si è disposti di procedere alla notificazione per pubblici annunzi, con conseguente deposito dell’atto nella casa comunale di Santa Maria Capua Vetere, l’inserimento, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale, e la pubblicazione sul sito della Procura della Repubblica sei Santa Maria Capua Vetere.  E’ da sottolineare che le misure cautelari disposte dal gip sono state, per la quasi totalità, confermate dal tribunale per il riesame di Napoli, venendo così validata la sussunzione delle condotte rispetto ai delitti contestati nonché la riferibili soggettiva delle azioni stesse agli indagati, destinata delle misure. Sedici misure cautelare sono state confermate, 6 sono state sostituite in forma gradata, 2 ordinanze sono state annullate per carenza delle esigenze cautelari, e solo una è stata annullata. Gli altri ricorsi sono stati dichiarati inammissibili”.

Le accuse contro gli indagati (87 capi di imputazione):
Nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari sono stati elevati 87 capi di imputazione. Le indagini preliminari avevano portato, il 28 giugno scorso, all’esecuzione di 52 ordinanze applicative di misure cautelari personali a carico di altrettante persone in servizio presso diversi uffici del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria della Campania, principalmente presso la casa circondariale ‘Francesco Uccella’ di Santa Maria Capua Vetere.

Torture su 41 detenuti:
Per gli abusi, pestaggi, lesioni, maltrattamenti e comportamenti degradanti ed inumani, attuali nella giornata del 6 aprile 2020 ed anche a seguire, era stata ritenuta la gravità indiziaria per i delitti di concorso in tortura ai danni di 41 detenuti del carcere; inoltre sono stati ritenuti i delitti di maltrattamento aggravato ai danni di 26 detenuti ed analogamente accertati i delitti di concorso in lesioni personali volontarie consumate ai danni di 130 detenuti. Tutti i delitti risultano aggravati dalla minorata difesa, dall’aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la funzione pubblica, con l’uso di arma (i manganelli) e dell’aver concorso nei delitti un numero di pesce di gran lunga superiore alle cinque unità.

Le accuse
Secondo la Procura furono quattro ore di inferno. Sono quelle vissute dalle 15 alle 19 del 6 aprile 2020 dai detenuti del reparto Nilo di Santa Maria Capua Vetere. Oltre cento persone ferite dalla spedizione punitiva organizzata per “ristabilire l’ordine” nella casa circondariale dopo le proteste dei detenuti del giorno precedente. Le indagini sono partite praticamente subito dopo quel tragico pomeriggio e la conferma di quanto fosse accaduto è arrivato dagli smartphone sequestrati. Nelle chat, dopo le violenze, era tutta un’espressione di gioia. “Non si è salvato nessuno” scrive un agente. “Abbiamo ristabilito ordine e disciplina” commenta un collega. “Oggi ci siamo divertiti al Nilo” aggiunge un altro.  Poi arrivano conferme dell’uso di manganelli in quella che, sulla carta, doveva essere solo una perquisizione straordinaria. Ma in realtà, come scrive il gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha firmato le 54 ordinanze cautelari, si è trattato “senza tema di smentita” di “uno dei più drammatici episodi di violenza di massa perpetrato ai danni dei detenuti in uno dei più importanti istituti penitenziari della Campania”, “un vero e proprio uso diffuso della violenza, intesa da molti ufficiali ed agenti di polizia penitenziaria come l’unico espediente efficace per ottenere la completa obbedienza dei detenuti”, nonché “una orribile mattanza”. Questo scrive la Procura della Repubblica.

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