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Santa Maria Capua Vetere – Rosa Amato: camorrista per vendetta, pentita per amore (il video con l’intervista)

SANTA MARIA CAPUA VETERE (di Antonio Migliozzi) – “Ci chiamano “pentiti” ed io sento di esserlo. Non è stata una scelta semplice, non è mai facile allontanarsi dalla propria vita, ma non è facile vivere una vita che, prima di quella notte, non ti apparteneva”. Sono parole di Rosa Amato, scritte in quarta di copertina del libro dal titolo “Omissis 01 – La vera storia di Rosa Amato, camorrista per vendetta, pentita per amore” di Fabrizio Capecelatro, edito da Tralerighe.  (il video con l’intervista a Rosa Amato)
Ma chi è Rosa Amato?  Perché viene definita una “camorrista” e perché si pente?
“Il 19 marzo 1999 mio fratello Carlo decide di andare in discoteca ad una festa di fine anno scolastico del Liceo Scientifico”, ci racconta Rosa Amato. “Mio fratello non era un alunno di quella di quella scuola, ma siccome l’accesso alla festa era consentito anche agli esterni di questo istituto, decide di andare con alcuni suoi amici. Ad un certo punto mio fratello ha una discussione con un ragazzo per difendere una sua amica dalle molestie di alcuni ragazzi che la stavano molestando con degli apprezzamenti volendola invitare a ballare con loro. Anche questi ragazzi venivano dall’esterno del Liceo Scientifico, che con il tempo ci hanno detto che erano dei ragazzi che facevano la scorta a Walter Schiavone, alunno del Liceo ed uno dei figli di Francesco detto Sandokan, capoclan dei Casalesi. In un primo momento mio fratello chiede di lasciare stare questa ragazza, ed il tutto sembra finire qui. In seconda battuta questa ragazza ritorna da mio fratello in quanto le molestie continuavano, e così avviene un tafferuglio con una piccola rissa con questi ragazzi, laddove mio fratello ha la meglio. Questo emerge da quanto ci hanno raccontato. Ma il dramma accade quando Carlo stava prendendo il suo giubbino, in quanto viene letteralmente aggredito da questi giovani e portato in uno sgabuzzino, laddove viene accoltellato da un certo Michele Della Gatta, così come emerge da un identikit successivamente dopo mesi di indagini, e da qualche altra persona che a distanza di anni ancora non si conosce la sua identità. Il PM Landolfi, in seguito, ci ha riferito che la morte di Carlo è avvenuta non tanto per le coltellate subite, ma bensì per il ritardo dei soccorsi in quanto si trovava sul posto a svolgere il lavoro di sicurezza un poliziotto – che non poteva fare qual lavoro – il quale pensò prima di pulire il sangue di mio fratello e poi chiamare i soccorsi. In questo frangente, quando Carlo è giunto in Ospedale è morto dissanguato. Questo lo abbiamo saputo dopo. Quella sera giungemmo in Ospedale sapendo che Carlo era stato vittima di un incidente, ma giunti sul posto, dove vi erano tanti ragazzi, già si vociferava che mio fratello era stato accoltellato dai Casalesi. Ma era un parlare molto generalizzato, mai del tutto chiaro. L’unica cosa chiara era che in quella discoteca c’era Walter Schiavone, e che a commettere questo omicidio era stato un ragazzo della sua scorta. Ma in realtà non si sapeva da quali mani fossero partite queste coltellate. A questo punto mio padre iniziò ad indagare, portando a casa quei ragazzi che quella sera si trovavano in discoteca, con delle telecamere nascoste per registrare quanto dicessero. E solo così si venne a sapere il nome di Michele Della Gatta. Di seguito fu emesso nei confronti di questo ragazzo che aveva solo 20 anni, un mandato di cattura ma purtroppo troppo in ritardo, poiché fu ritrovato il suo corpo privo di vita, probabilmente per non farlo parlare e per dare un segnale a noi che gli stessi Casalesi avevano fatto giustizia per chiudere il caso”.
La famiglia Amato era composta dal padre Salvatore e dalla madre Alfonsina Varvella, ed i due figli Carlo e sua sorella Rosa, di un anno più grande. Il papà Salvatore gestiva un pescheria a Santa Maria Capua Vetere, ed era anche un maestro di karate. <<Mio padre mi svegliava alle tre di notte per andare con lui a comprare il pesce – ricorda Rosa – e la mia infanzia è pieni di profumi, di odori tramandato da mio nonno a mio padre e da mio padre a noi figli>>. Una famiglia normale con una madre amorevole, che nelle giornate del periodo natalizio, quando l’attività della pescheria non poteva chiudere neanche di notte, preparava da mangiare e lo portava in negozio dove c’erano il marito ed i figli.

Ma come nasce il “Clan Amato”? (il video con l’intervista a Rosa Amato)
A questo punto mio padre si è avvicinato al Clan dei Belforte, in quanto suo cugino, Antonio Bifone, era da sempre legato a questo Clan. Questa decisione fu presa per cercare di minare il Clan dei Casalesi, con delle azioni di favoritismi e nient’altro. Quando mio padre si rese conto che non si stava ottenendo nulla, perché voleva fosse ammazzato qualche Casalese, cercò di mettersi per conto suo iniziando a minare il predominio degli stessi Casalesi a Santa Maria Capua Vetere per dimostrare a quei ragazzi presenti quella sera in discoteca di non avere paura di loro ma bensì di mio padre stesso, ed indurli a parlare. Tutto questo nonostante mio padre non abbia mai fatto del male ad alcuno. Anzi, con il passare del tempo ha fatto molte volte da paciere difendendo qualcuno dai Casalesi che subivano delle estorsioni. Ad un certo punto Vargas, esponente dei Casalesi, iniziò a collaborare dichiarando che in una riunione il figlio grande di Sanfokan avevano espresso il desiderio di far uccidere mio padre in quanto stava interferendo sui loro affari a Santa Maria Capua Vetere con la gestione delle Slot Machine.

Ma Lei quando si è accorta di quanto stava accadendo? (il video con l’intervista a Rosa Amato)
Inizialmente mio padre mi ha tenuta fuori da questa vicenda in quanto lui era legato al Clan dei Belforte e non voleva coinvolgere anche noi. Nel frattempo, dato che mio fratello aveva una piccola ditta che aggiustava i videogiochi e cose del genere, volendo mantenere in vita il sogno di suo figlio rilevò questa ditta intestandola a mia madre. Ed in questa maniera, gestendo le Slot Machine, andavamo anche a contrastare questo potere economico del Clan del Casalesi. Io sono entrata in modo del tutto legale, gestendo il settore delle fatture, avendo contatti con il commercialista. Insomma, il mio compito era quello finanziario occupandomi anche di caricare e scaricare le macchinette per i giochi. Poi, piano piano, abbiamo iniziato a truccare le Slot perché a mio padre servivano sempre più soldi per mantenere quel gruppo di ragazzi che lo sostenevano facendogli anche da scorta.

Ma un bel giorno arriva la fine del Clan Amato (il video con l’intervista a Rosa Amato)
Il tutto è finito con il nostro arresto, avvenuto nel 2009, con l’arresto di mio padre, il mio e di mia madre. Dopo poco mia madre ed io fummo scarcerate per mancanza di indizi, mentre io sono rientrata in carcere l’anno successivo in quanto un collaboratore fece delle dichiarazioni contro di me. L’avvocato fu molto chiaro con me quando mi parlò, dicendomi che avrei preso almeno una condanna per associazione, poi con i reati affini avrei rischiato tra i 10 ed i 12 anni di carcere. A questo punto, dovendomi assumere le mie responsabilità, quindi dovendo accusare mio padre, decisi di collaborare, anche se passarono diversi mesi perché mia madre non era d’accordo. Ovviamente l’esperienza del carcere è stata traumatica. Quando vidi arrestare mia madre, la quale aveva un legame fortissimo con mia figlia in quanto viveva in casa con noi, mi sono sentita veramente male. Nel mio interrogatorio ho fortemente difeso mia madre, poiché lei in tutta vicenda non c’entrava proprio nulla. Proprio mia madre che non era capace di fare neanche un bonifico. Nel settembre 2009 uscimmo dal carcere mia madre ed io per mancanza di indizi, come ho detto in precedenza, ma  quando ritornai in carcere e fui costretta a parlare contro mio padre è stata molto dura

Ritornando al Suo libro dove il giornalista Fabrizio Capecelatro riporta il suo diario scritto durante la Sua detenzione, come mai si è scelto questo titotolo “Omissis 01”? (il video con l’intervista a Rosa Amato)
Omissis 01 era il mio nome in quei 180 giorni che ho trascorso nel carcere di Paliano. Quella doveva essere la mia identità all’interno del carcere. Solo quando dovevo firmare delle notifiche poteva scrivere il mio vero nome. Omissis 01 perché fui la prima dell’anno ad entrare in quel carcere femminile

Il sottotitolo “Camorrista per vendetta, pentita per amore” fa pensare ad un personaggio della malavita che non rispecchia tanto con quanto Lei ha vissuto. (il video con l’intervista a Rosa Amato)
Ho sbagliato e per questo ho pagato. Ma camorrista non mi sento. Non ho mai cercato di fare del male ad una persona in vita mia, neanche quando il male l’ho ricevuto. Pentita….Certamente mi sento pentita per aver commesso delle illegalità. Pentita per amore perché alla fine dovevo scegliere se rimanere in carcere in sostegno di mio padre, oppure ritornare da mia figlia.

Rosa Amato oggi è una donna di circa 40 anni, ma principalmente è una mamma di due meravigliosi figli, Valerie e Carlo (proprio come il fratello), ed ha scontato la sua pena. Una donna dalla sensibilità straordinaria, che da ragazza voleva fare l’avvocato. Una donna che ha sempre sognato di avere una famiglia nomale, così come era normale la sua famiglia fino a quella sera del 19 marzo 1999. Oggi la sua testimonianza è quella di invitare tutti a non essere omertosi, perché quello che 20 anni fa è successo alla sua famiglia non possa accadere ad altre famiglie. Nel suo libro a firma di Fabrizio Capecelatro si può capire meglio chi è Rosa Amato, una donna fragile ma forte allo stesso tempo molto forte che non ha mai smesso di amare, di credere nella vita. Rosa Amato porta sempre con sé uno zaino immaginario, dove conserva i suoi ricordi più cari, come quello del fratello e della madre, scomparsa qualche anno a causa di un male incurabile.

(il video con l’intervista a Rosa Amato)

 

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