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NAPOLI – La Campania nelle morse del debito e dell’usura

NAPOLI (di Nando Silvestri) – E’ ancora la CGIA di Mestre a svelare il profilo concreto della nostra regione e del Sud del Bel Paese, brandizzato da clientele, privilegi e precarietà a più non posso. La stretta creditizia operata dalle banche consolida una tendenza “europea” diffusissima, incline a porgere una mano d’aiuto solo ai paesi economicamente più forti come quelli del nord  del Vecchio Continente, lasciando gli altri in balia dell’Usura.  Ad Ezra Pound, sepolto nell’isola di San Michele, tra Murano e Venezia verrebbe un sussulto guardando le imprese meridionali chiudere i battenti, fallire e affidarsi agli strozzini per tirare avanti ancora qualche tempo. Quasi il 70% delle aziende meridionali e campane obbligate ad abbassare le saracinesche hanno più di 50 anni di storia e di mercato. Così come l’Unione Europea asserve i paesi membri al suo volere creando, come se niente fosse, debito da presunzioni di sovranità monetaria successivamente gestito con altro debito (pubblico), imposte, gabelle, dazi e balzelli sostenuti in buona sostanza dai contribuenti più deboli e inermi, le banche  chiudono i rubinetti del credito alle imprese meridionali in difficoltà, consegnandole ai cravattari e agli effetti devastanti dell’insolvenza degli enti pubblici. Non c’è che dire, il debito sembra essere una sorte segnata a tutti i livelli e ineluttabile. Sembra quasi un disegno malefico perfidamente imbastito per eseguire in maniera truce e violenta una sorta di selezione naturale o, peggio ancora, di epurazione. Effettivamente, di sterminio di massa si tratta, sulla scia di quello hitleriano e bolscevico, sebbene blandito ed edulcorato dalle parvenze della modernità e della democrazia. Si può “cancellare” un popolo e le sue imprese in tanti modi per ridurlo alla servile prostrazione, allo sfruttamento indiscriminato e, quindi, alla fame. L’Usura, promossa dalle asfittiche strette creditizie bancarie è sicuramente uno di quelli più riusciti e più attuali. La Sicilia, la Puglia, la Calabria e la Campania sono le regioni  d’Italia più colpite e flagellate dallo slancio assassino del debito. Il male endemico del nostro tempo, l’idea brillante di magnati della finanza, avvoltoi e burocrati che hanno messo a punto camere eleganti, accoglienti e sontuose che odorano di carte e ventiquattrore, quelle degli istituti di credito e della pubblica amministrazione, non meno distruttive di quelle dei campi di concentramento, in grado di sopprimere con un click il nerbo della civiltà attiva: l’impresa. Ma da questa dipende il sostentamento e la sorte di milioni di esseri viventi, costretti ad affidarsi a loro volta, quando va bene, al mostro onnivoro e repellente del debito: uniche alternative, la fuga o la morte. L’Usura, minuziosamente esplorata da Pound nei famosi “Cantos” risulta essere lo stratagemma più innovativo e illuminato per annichilire definitivamente le volontà delle genti meridionali e campane, ridotte oramai ad una melassa inorganica ellittica di pensiero, la cui unica aspirazione è divenuta, per altrui volere e non per scelta, la sopravvivenza e lo stento. Come non pensare all’attuale binomio Stato – Leviatano (figura biblica di bestia nefasta) come ad un sinolo inscindibile proteso allo stillicidio e all’agonia delle masse, sottoposte come sono agli sfregi ininterrotti dell’amministrazione: ci avevano “promesso” una Imposta Municipale Unica, ovvero, onnicomprensiva in ordine ai servizi offerti e si sono inventati, come se non bastasse, la Tares. Anche le prese per i fondelli, le contraddizioni marchiane, il fiato sospeso per le sorti di Berlusconi, le incertezze sui versamenti dell’IMU, i proclami sterili e insignificanti del governo Letta e del ministro Kyenge e quelli sui presunti recuperi di imposte evase esenti dal computo dei siderali costi di riscossione sostenuti e opportunamente taciuti, sono configurabili come vere e proprie incursioni usuraie. Ancora una volta ci pisciano addosso e ci dicono che piove. Per ora siamo troppo impegnati a sfiorare l’ iPhone per alzare la testa. E le clave degli uomini primitivi, che oggi ritornerebbero utili, ci metterebbero solo a disagio.

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