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VAIRANO PATENORA – Truffe immobiliare, due costruttori sotto processo

VAIRANO PATENORA – Due costruttori accusati di truffa a danno di alcuni clienti.  Nei panni delle parti offese Bovenzi Giuseppe, Fera Massimo e Concetta Carbone. Gli imputati, invece, sono i costruttori Antonio Orabona e Nicola Feroce, entrambi difesi dagli avvocati Vincenzo Cortellessa e Luca Geremia. L’ultima udienza è stato sentito il proprietario che cedette il terreno per la realizzazione del fabbricato. Nella precedente furono ascoltate le due famiglie vittime della truffa.  Il giudice ha deciso di aggiornare il procedimento alla prossima udienza che si svolgerà a febbraio 2011. In quella data saranno ascoltati i carabinieri che hanno condotto le indagini e altri testimoni.  Due famiglie truffate denunciano la società di costruzioni per truffa. Alla sbarra due imprenditori, uno di Vairano Patenora, l’altro di Marzano Appio. I due, avrebbero venduto la stessa abitazione alle due vittime, incassando – a titolo di acconto – oltre 190mila euro. Davanti al giudice sono finite  le vittime e i soci della Mega Costruzioni, accusata di truffa aggravata.  Detta società, come risulta da una serie di documenti prodotti dalle parti offese, avrebbe costruito il locale, senza pagare alcun onore di urbanizzazione – pare senza alcuna licenza edilizia –  senza retribuire alcun direttore dei lavori e senza aver mai ultimato la stessa costruzione.   La storia parte nel 2005 quando la società di costruzione – amministrata da Nicola Feroce, 40enne di Tora e Piccilli coadiuvato dal socio Antonio Oravona, di Vairano Patenora –  vende ai coniugi Fera lo stabile ancora in costruzione per una somma di 107mila euro. Al momento della stipula del contratto, la società pretende ed ottiene un acconto di 70mila euro.  L’abitazione non viene consegnata nei tempi previsti e i coniugi Fera, dopo aver accertato una serie di incongruità, decidono di tutelarsi, facendo scattare le prime denunce.  La situazione si complica ancor più quando la Mega Costruzioni – siamo nel settembre del 2006 – decide di vendere lo stesso stabile ai coniugi Bovenzi. Il prezzo della casa sale però vertiginosamente: 170mila euro.  Bovenzi, convinto di aver fatto un affare, versa una caparra di 100mila euro e dopo qualche mese – su pressioni della società costruttrice – versa ulteriore acconto di 20mila euro.  Intanto i lavori restano fermi e gli acquirenti si rivolgono al presunto direttore dei lavoro.

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un commento

  1. Caro scrittore, dovresti pubblicare che i due “TRUFFATORI”, come li hai dipinti tu già condannandoli, in data 13 aprile 2012, sono stati assolti con formula piena, “PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE” dal giudice monocratico di Carinola Sergio ENEA.
    Quanto alla truffa, è bene sapere che i primi acquirenti a un certo punto non hanno voluto più pagare le rate dovute e ,la MEGA COSTRUZIONI, ha inviato numerose lettere di intimazione del pagamento prima di inviare quella di rescissione contrattuale per grave inadempimento. Solo dopo aver rescisso il contratto con i primi promittenti acquirenti, ha rivenduto l’immobile ai coniugi Bovenzi, che erano perfettamente a conoscenza di quanto era accaduto con i coniugi FERA.
    Poi, caro scrittore, è vero che c’è stato un flusso di 192.000€ quali acconti dei Fera 72.000€ e Bovenzi 120.000€, ma sappi che il CTU nominato dal Giudice per verificare quali erano i costi sostenuti per realizzare l’immobile fino ad oggi, ha certificato che di “SOLI COSTI” la M;EGA ha sborsato 186.000€ a cui vanno aggiunti la mano d’opera e le spese generali, quindi, ben al di sopra della cifra percepita con gli acconti e, pertanto, vorrei capire quale truffa ha commesso la MEGA se i soldi percepiti li ha spesi tutti, anzi molti di più, per la realizzazione dell’immobile.
    Ma tutto questo ed altro ancora è stato recepito dal giudice, che ha messo fine a questo continuo e ridicolo sparare addosso alla MEGA da parte di sedicenti bravi e onesti cittadini che, non avendo potuto loro stessi fare l’affare della vita alle spalle della MEGA, hanno cercato in tutti i modi di arrivare ai loro fini attraverso la coercizione di un procedimento penale che, però, li ha fatti restare con un puglo di mosche in mano.