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AVERSA / FALCIANO DEL MASSICO – Rubavano auto di lusso, 35 anni di pena

Aversa/Falciano del Massico (Maria Giovanna Pellegrino) – Operazione “Nerone”  così battezzata per il nome del cane, un mastino napoletano, di proprietà di uno degli imputati, ieri le condannate a pene esemplari  di oltre 35 anni comminate dai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico dei tre capi promotori ed organizzatori della gang specializzata nei furti di auto di lusso e nelle estorsioni consumate con la famigerata tecnica del cavallo di ritorno in tutto il territorio dell’Agro aversano fino a Falciano del Massico. Ieri pomeriggio la lettura del dispositivo a chiusura della seconda tranche del processo che è stato celebrato dinanzi al collegio della prima sezione C presieduta dal dottor Giampaolo Guglielmi. Ad Onofrio Pagano di Trentola Ducenta, classe ‘55, sono stati inflitti 12 anni ed 11 mesi: 12 anni a Pasquale Russo di Aversa, classe ’77: e 10 anni ed 11 mesi a Nicola Russo di Trentola Ducenta, classe ‘66. La difesa, rappresentata dagli avvocati Rodolfo Ventriglia, Giovanni Cantelli, Carmine Mormile e Giuseppe Nespoli, aspetterà il deposito della sentenza, tra 90 giorni, per ricorrere in Appello. I giudici hanno accolto in pieno le richieste avanzate dalla Procura riconoscendo colpevoli i tre imputati di tutti i reati loro ascritti tra qui quello più grave di essere i capo promotori ed organizzatori dell’associazione a delinquere finalizzata ai furti, estorsioni e   ricettazioni delle vetture finite nei loro fortini. Nerone era il nome del mastino che gli investigatori furono costretti ad eludere e a bloccare per poter sistemare delle microspie su delle auto e nel rifugio dove la banda si incontrava per gli affari da trattare, presso un deposito nel comune di Casaluce dove venivano nascosti i bolidi rubati. Un capannone trasformato in un supermarket dell’illegalità, dove si poteva acquistare qualsiasi pezzo d’auto o la vettura stessa se ancora non era partita per altri porti. Dalle intercettazioni, gli investigatori riuscirono a capire che erano i due Russo insieme a Pagano coloro che maggiormente si davano da fare per la buona riuscita di tutti i loro loschi traffici e che contattavano le persone derubate, affinché pagassero un riscatto per riavere indietro la propria auto in cambio di somme che variavano in base alla stima della vettura trafugata, cifre che oscillavano dai due ai cinque mila euro se non di più. I Russo e Pagano inoltre per contattare le vittime facevano ricorso a manovalanza reclutata tra extracomunitari della zona che non usavano propri telefoni cellulari ma quelli pubblici per non essere intercettati non sapendo di avere il “morto in casa”. Per riuscire a rubare le auto utilizzavano centraline di decodificazione fornite dall’elettrauto della zona, grazie alle quali i criminali erano in grado di annullare facilmente gli antifurti di ogni genere. Il linguaggio era in codice, perché la gang non parlava mai di auto ma solo di pantaloni, ragazze, chiavi. L’organizzazione era suddivisa in sottogruppi, perché c’erano quelli che si occupavano esclusivamente dei furti e dei cavalli di ritorno, un altro gruppo si interessava ad ampliare il raggio d’azione per uscire dai confini dell’agro ed estendersi in tutta la Campania, il terzo gruppo si occupava di riciclare le auto rubate o i pezzi in base alle ordinazioni ricevute. Grazie alle intercettazioni gli investigatori non solo scoprirono il deposito di Casaluce ma anche quello di Napoli, di Gricignano d’Aversa e di Falciano del Massico.

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