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CASERTA – Arrestato Chianese, il “progettista” dell’ecomafia: “Commissionò l’omicidio di un magistrato” e in cambio offrì un milione di euro

CASERTA – Gestì il traffico di veleni nella Terra dei fuochi. Un pentito: voleva darmi 1 milione di euro per uccidere un magistrato.  Preso il «signore dell’ecomafia», o meglio l’ideatore del complesso sistema di smaltimento di veleni che per vent’anni ha reso una bomba ambientale vasti territori tra Caserta e Napoli. Si chiama Cipriano Chianese, 62 anni, avvocato-imprenditore legato al clan dei Casalesi per conto dei quali avrebbe inventato e gestito il traffico illecito dei rifiuti confluiti anche nella Terra dei Fuochi. È stato arrestato stamattina dagli uomini della Dia. L’accusa è di aver estorto quote e gestione di una società di trasporti. Chianese, già ai domiciliari, è stato portato in carcere.  Secondo quanto rivelato agli inquirenti da un pentito Chianese commissionò per un milione di euro l’omicidio di un magistrato della Dda di Napoli che stava indagando sul suo conto. Ad affermarlo è la persona incaricata dell’assassinio, nel frattempo diventato collaboratore di giustizia. Al pentito si rivolse, per conto di Chianese, Carlo Verde, 37 anni, collaboratore dell’avvocato, anche lui arrestato ora dalla Dia di Napoli per estorsione aggravata. Il pentito ha anche riferito agli inquirenti che l’avvocato intendeva liberarsi della pressione esercitata dal magistrato e incaricò Carlo Verde di commissionare l’omicidio, per 500mila euro. Per uccidere il pm, però, il pentito chiese un milione di euro che Chianese, sempre attraverso Verde, si disse pronto a pagare. Il progetto, riferisce ancora il collaboratore di giustizia, non andò in porto perchè Chianese, il 4 gennaio del 2006, venne arrestato. Il collaboratore di giustizia riferì agli inquirenti di non ricordare il nome del pm antimafia che avrebbe dovuto uccidere per conto di Chianese. L’inchiesta che ha portato all’arresto di Chianese era stata già archiviata, ma è stata riaperta nel 2011 sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, in precedenza affiliato ai Casalesi, che la Dda di Napoli e la Dia hanno analizzato alla luce di altre precedenti testimonianze di altre persone, di numerose intercettazioni e del contenuto di molti documenti. L’analisi di questo materiale, in precedenza non compiutamente interpretabile, ha portato alla riapertura delle indagini che erano state archiviate nel 2011. Nell’inchiesta, Chianese è considerato da Dda e Dia il mandante, il regista e, insieme ad altri, parziale esecutore delle attività che nel dicembre 2005 portarono il clan dei Casalesi, tramite il fratello di Chianese, ad acquisire quote e gestione della società di trasporto Mary Trans e del relativo complesso aziendale.  Nella medesima ordinanza emessa dal gip Francesca Ferrigno si legge delle minacce del fratello di Chianese, Francesco, al titolare di una ditta di trasporti. «Ti spengo come una candela» avrebbe detto Francesco Chianese all’imprenditore dell’azienda «Mery Trans» per costringerlo a cedergli le quote della società che gli aveva venduto solo due mesi prima. Gestendo la «Mery Trans», Francesco Chianese aveva accumulato debiti per centinaia di migliaia di euro. Si accordò con Salvatore Mondello, imprenditore torinese con il quale aveva avuto in precedenza contatti di lavoro, per cedergli le quote; in cambio, Mondello si sarebbe accollato debiti per 400.000 euro e gliene avrebbe versati altri 150.000. Dal momento che Mondello non poteva figurare come acquirente a causa di un problema legale, le quote furono intestate ad altre persone, tra cui Antonio Giusto. Nei giorni successivi alla vendita, tuttavia, Francesco e Cipriano Chianese contattarono l’imprenditore sollecitandolo ad accollarsi altri 500.000 euro di debiti firmando alcune cambiali. Al rifiuto di Mondello cominciarono le minacce: l’uomo fu addirittura prelevato a Torino da Francesco Della Corte, oggi collaboratore di giustizia, condotto nel Casertano e obbligato a tornare dal notaio per restituire l’azienda a Chianese. In realtà, evidenzia il gip, «i Chianese non avevano mai avuto la reale intenzione di dismettere la Mery Trans» e avevano «solo inteso formalmente intestare la società a terzi sui quali sarebbero dovuti ricadere i debiti». In un primo momento, Antonio Giusto denunciò le pressioni dei fratelli Chianese ai carabinieri; dopo le minacce, tuttavia, «ammorbidì» le dichiarazioni rese e il procedimento fu archiviato. L’inchiesta è stata riaperta in seguito alle dichiarazioni di Francesco Della Corte.  L’avvocato-imprenditore è considerato dagli investigatori come «colletto bianco» del clan dei Casalesi. La prima ordinanza d’arresto nei suoi riguardi è del 1993, quando fu accusato per associazione mafiosa, insieme ad altri 20 imprenditori del settore dei rifiuti. In quel contesto d’indagine venne accertato che i clan del Casertano e del Napoletano, nel 1987, avevano favorito alcuni candidati nelle elezioni politiche e amministrative che si erano detti favorevoli ad autorizzare gli impianti di smaltimento dei rifiuti del Napoletano a ricevere – in piena violazione delle norme – i rifiuti solidi urbani extraregionali. Chianese, in quell’occasione, venne assolto dal Tribunale di Napoli che, invece, condannò molti imprenditori e politici. Nel 2005 venne raggiunto da un’altra ordinanza d’arresto e da un provvedimento di sequestro beni con l’accusa di avere fornito sostegno ai Casalesi. Oltre ad aver subito il sequestro (nel dicembre 2006) e la confisca (nell’aprile 2013) di beni per 82 milioni di euro, Cipriano Chianese è stato sottoposto in passato all’obbligo di soggiorno nel comune di residenza per 3 anni e sei mesi.  Nell’agosto del 2006, le indagini della Dia hanno accertato che una società riconducibile a Chianese, qualche anno prima, aveva acquistato l’area sulla quale sorgeva un impianto di smaltimento dei rifiuti ottenuto grazie all’intermediazione dei due capizona dei Casalesi Dario Simone e Raffaele Ferrara. L’area e l’impianto vennero sequestrati: Chianese – primo caso in Italia – venne rinviato a giudizio per disastro ambientale ed avvelenamento delle falde acquifere. Il processo è ancora in corso.   Soddisfatti gli esponenti di Legambiente: «Con il suo arresto, dopo vent’anni, si riparte dove era arrivata senza concludersi, l’inchiesta Adelphi, la prima grande indagine sulla Rifiuti Spa. L’avvocato Chianese rappresenta l’anello centrale dell’ecomafia dei rifiuti perché per moltissimi anni ha gestito di fatti, come si evince dalle inchieste e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, come una sorta di ministro dell’ecologia il settore rifiuti per conto del clan dei casalesi. Diciamo si riparte perchè dietro il suo silenzio si celano i segreti ed i rapporti tra criminalità organizzata e le lobby – politiche, affaristiche, massoniche – che hanno designato la Terra dei Fuochi come capitale del business dei rifiuti».

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un commento

  1. Che schifo di gente! Ma il sistema, perchè non blocca questi energumeni, assassini, all’inizio della loro carriera criminale? Noi italioti siamo così intelligenti da farci prima male e poi prendere eventuali provvedimenti!