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CALVI RISORTA – Occupazione di suolo senza “giusto” esproprio, comune condannato. Accolto il ricorso della Agricola Milite

CALVI RISORTA – I giudici del Tar hanno emessa sentenza sul ricorso n. 6077 del 2008 proposto dai Sigg. Tescione Rosa in proprio e quale legale rappresentante p.t. della Soc. Agricola Milite Albino & C., Milite Maria Teresa, Milite Albino, Milite Gennaro e Milite Romeo, rappresentati e difesi dall’avv. Girolamo Izzo contro  il Comune di Calvi Risorta in persona dei legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Abbate ed elettivamente domiciliato presso lo studio Prisco-Soprano-Sasso in Napoli, Via Toledo n.156; per l’accertamento della illegittima occupazione dei suoli e per il risarcimento del danno. Espongono in fatto i ricorrenti di essere eredi del sig. Milite Carmine, già proprietario di terreno in Calvi Risorta loc. Riello fl.7 p.lle 62, 63 e 64– riportato in PRG come “Zona Verde Attrezzato” – di cui la soc. Agricola Milite Albino & C. è affittuaria, oggetto di occupazione sin dal 2000 e di immissione in possesso dal 5/4/2000 per la costruzione di un campo di calcio e relativi servizi; la indennità offerta non veniva accettata dai ricorrenti e mai è intervenuto il decreto di esproprio. E’ stata adita anche l’Autorità Giudiziaria Ordinaria, ma con sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. n.1438 del 2008 è stato dichiarato il difetto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo.  Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara il diritto di parte ricorrente con relative statuizioni di cui in premessa. Condanna il Comune di Calvi Risorta al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 2.000,00 oltre IVA, CNAP, onere di cui all’art.13 del DPR n.115/2002 come successivamente modificato e rimborso per spese generali come per legge, nonché di CTU, definitivamente determinate in € 4.000,00 oltre IVA ed oneri previdenziali ed anticipate da parte ricorrente quanto a € 3.000,00. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del giorno 27/6/2013 con l’intervento dei magistrati.

Il Comune si è costituito per dedurre circa l’inammissibilità ed infondatezza della richiesta di indennità di occupazione.

Con ordinanza il Tribunale ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio che, con riguardo alle vicende in contestazione, previa esatta ricostruzione dei fatti ed individuazione dell’area di cui al presente gravame, quantificasse i danni a vario titolo provocati e relativi sia al valore per anno di occupazione per ogni singola superficie, sia all’occupazione illegittima, anche con riferimento ad altre perizie di stima per suoli vicini a quelli oggetto di occupazione, ciò al fine della stima del valore del fondo in contestazione; successivamente è stata depositata la relazione di consulenza.

Alla udienza pubblica del 27 giugno 2013 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione come da verbale.

DIRITTO

1.Con il ricorso in esame parte ricorrente lamenta la mancata adozione del decreto di esproprio e di altri adempimenti consequenziali al procedimento espropriativo in epigrafe.

2. In punto di giurisdizione la Sezione ritiene di non aver motivo per discostarsi nella circostanza dall’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui l’Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas agendi vincolata o discrezionale di elidere o comprimere detto diritto – devolute come tali alla giurisdizione ordinaria, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione – anche ai fini complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi, purchè vi sia un collegamento all’esercizio della pubblica funzione (Cons. Stato, IV, 4.4.2011, n.2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n.1796; 1.6.2007, n.466; Cons. Stato, A.P. 30.7.2007, n.9 e 22.10.2007, n. 12; T.A.R. Basilicata, 22.2.2007, n.75; T.A.R. Puglia, Bari, III, 9.2.2007, n.404; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n.6676; T.A.R. Lazio, Roma, II, 3.7.2007, n.5985; T.A.R. Toscana, I, 14.9.2006, n.3976; Cass. Civ., SS.UU., 20.12.2006, nn. 27190, 27191 e 27193). Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa rientrano nella giurisdizione ordinaria, così come il giudice amministrativo – nello stabilire l’importo del danno da ablazione illegittima – non può includervi anche quanto dovuto per il periodo di occupazione legittima, la cui valutazione pure è di spettanza del giudice ordinario a norma degli artt. 53, comma 3 e 54 T.U. 8 giugno 2001, n. 327, viceversa sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e, in generale, di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità.

2.1 Chiarito che in materia di espropriazione sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ogni qualvolta la richiesta risarcitoria oggetto del giudizio tragga origine da una procedura espropriativa avviata e non conclusa, va ricordato che ancora di recente si è affermato (Cons. Stato, IV, 2.3.2010, n.1222) che l’art.53 del DPR n.327/2001, per come ispirato al principio di concentrazione dei giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai provvedimenti che impongono il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che dispongono la dichiarazione di pubblica utilità: una volta attivato il procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi, anche quando trattasi di procedimenti espropriativi diretti alla esecuzione dei lavori per la realizzazione o la modificazione di un’opera pubblica e di atti strumentali alla realizzazione di detta finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU., ord.za 16.12.2010, n.25393). Si è dunque in presenza di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per come derivante da esercizio di un pubblico potere, anche nel caso in cui si lamenti formalmente l’occupazione di aree non comprese nell’ambito della procedura espropriativa, ma in realtà si abbia riguardo al decreto di esproprio, cioè alla determinazione del suo effettivo contenuto, per la dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza, poiché ai fini della liceità o meno va verificato lo specifico contenuto degli atti e degli accordi posti in essere nel corso del procedimento ablatorio.

2.2 Ritenuta dunque la giurisdizione sulla domanda di reintegra nel possesso proposta da parte ricorrente, resta da stabilire se le forme di tutela siano quelle previste dall’art 703 c.p.c., che rinvia agli art. 669 bis e ss. c.p.c., oppure quelle proprie del processo amministrativo. Ritiene il Collegio di seguire la seconda impostazione, poiché, come ha rilevato la Corte Costituzionale – investita di una questione di legittimità con riferimento all’inesistenza di un tutela cautelare ante causam avanti al g.a. – l’applicazione di istituti processual-civilistici non è giustificabile qualora le esigenze ad essi sottese vengano effettivamente tutelate da istituti propri del processo amministrativo (idem T.A.R. Umbria, 4.9.2002, n. 652). Nel caso in esame l’esigenza di tutela immediata, soddisfatta dagli artt. 703-669 bis e ss. c.p.c., è efficacemente garantita mediante il procedimento di cui all’art 23-bis della Legge n.1034/1971 (ora art.119 del Decr. Legisl. 2/7/2010, n.104 di riordino del processo amministrativo), di cui sussistono tutti i presupposti applicativi (essendo, in particolare, la controversia oggetto del presente giudizio contemplata dalla lettera b) del medesimo articolo).

Il comportamento tenuto dalla Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere, poi, qualificato come “illecito permanente”, nella cui vigenza non decorre la prescrizione, ciò perché in questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi. Per questo motivo, salva restando la possibilità di optare per le differenti forme “risarcitorie” che l’ordinamento appresta (restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del possesso può agire nei confronti dell’ente pubblico senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall’ente pubblico (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, 1.2.2011, n. 175).

Tali principi sono stati peraltro codificati in termini di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. f) del Codice del processo amministrativo (allegato 1 del D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104) nell’ipotesi di comportamento dell’Amministrazione riconducibile all’esercizio del pubblico potere che si sia manifestato per il tramite della dichiarazione di pubblica utilità della quale non risulta dimostrata la perdita d’efficacia, nonché nelle controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti e comportamenti della P.A. in materia di espropriazioni per pubblica utilità di cui alla successiva lett.g) del citato art. 133 ove si è espressamente contemplata la giurisdizione esclusiva di questo giudice, ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le ipotesi di determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

3. Quanto al merito della controversia in esame, la Sezione osserva che, come evidenziato in sede di relazione di CTU dalle cui conclusioni non sussistono motivi per discostarsi, nella fattispecie si ha riguardo al bene di cui al fl.7 p.lla 62 su cui insiste il campo di calcio ed alle porzioni di particelle di cui al fl.7 p.lle 63 e 64 interessate dalla realizzazione del Viale Delle Palme. Secondo il PRG approvato con Decreto del Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Caserta n° 1102/87 del 29.12.1987, la p.lla 62 è individuata come area destinata agli standards e più precisamente a verde attrezzato e sport; la p.lla 63 è area destinata agli standards per circa l’84% della superficie totale di cui il 69% per verde attrezzato e sport ed il 15% per parcheggio pubblico, un altro 15% della superficie totale è area destinata a sede viaria, mentre la restante parte è Zona Agricola E2; la p.lla 64 per il 70% della superficie totale è classificata a verde attrezzato e sport ed il restante 30% come Zona residenziale destinata all’edilizia economica e popolare.

In data 3.2.2000, con delibera n. 14, la Giunta Comunale approvava il piano particellare grafico e descrittivo per la costruzione di un campo di calcio e servizi alla località S. Nicola, con contestuale dichiarazione di pubblica utilità, notificando poi al Sig. Milite Carmine l’occupazione temporanea di urgenza degli immobili occorrenti alla esecuzione dei lavori di costruzione di un campo di calcio e servizi in Loc. Riello; in data 13.3.2000 il Sindaco emanava un decreto per l’occupazione d’urgenza degli immobili necessari all’esecuzione dei lavori, stabilendo la durata dell’occupazione in anni due dalla data di immissione in possesso nonchè i termini per la redazione del verbale di immissione in possesso e dello stato di consistenza degli immobili. Dopo che in data 04.08.2001 il Sig. Milite Carmine trasmetteva la mancata accettazione dell’indennità provvisoria di espropriazione, il 22.4.2002 la Sig.ra Tescione Rosa n.q. di legale rapp.te della Soc. Agricola Milite Albino & c. chiedeva il ripristino dello stato dei luoghi, la reintegra nel possesso del bene in oggetto, il pagamento della indennità di occupazione ed il risarcimento del danno per la illegittima ed abusiva occupazione del terreno. Solo in data 28.4.2006 la Giunta Comunale approvava il progetto preliminare dei lavori di completamento e messa in sicurezza del campo di calcio; il processo verbale di immissione in possesso veniva redatto il 5.4.2000, mentre è verosimile che all’8/10/2001 il suolo sia stato irreversibilmente trasformato.

3.1 Quanto alla realizzazione di Viale delle Palme, in data 6.3.2003 il Comune resistente comunicava alla Sig.ra Tescione Rosa l’avvio della occupazione temporanea di urgenza e dell’iter della procedura espropriativa su parte dei suoli di proprietà eredi Milite Carmine per la sistemazione della viabilità e degli spazi di sosta e tempo libero; in data 29.1.2004 veniva poi decretata l’occupazione degli immobili al fine di realizzare il viale Delle Palme ed in data 1.3.2004 si redigeva il verbale dello stato di consistenza ed immissione in possesso. Si approvava successivamente la perizia di variante in corso d’opera e suppletiva ai lavori di completamento del viale Delle Palme; comunque l’irreversibile trasformazione dei luoghi può essere ricondotta al 22/2/2005, mentre i lavori si concludevano il 27/2/2006.

3.2 Ora, atteso quanto esposto in sede di CTU e non smentito agli atti del giudizio, ritenuta l’irrilevanza del deposito da ultimo del provvedimento di acquisizione ex art.42-bis in disparte i profili che saranno eventualmente oggetto di separata impugnazione, il ricorso è fondato in maniera assorbente sotto il profilo dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, ove si consideri che l’Ente comunale non ha emesso il decreto di esproprio, né determinato l’indennità definitiva, né provveduto al deposito dell’indennità provvisoria presso la Cassa Depositi e Prestiti e non ha emesso nessuna proroga, facendo decadere i termini indicati nel decreto di occupazione temporanea ed urgente; al riguardo è appena il caso di ribadire (10.6.2009, n.3192) che l’art.13, comma 3, della Legge n.2359/1865 ha riguardo all’inutile spirare del termine entro cui deve compiersi l’espropriazione ed al venir meno del potere dell’Amministrazione nel caso di inosservanza di tale necessario presupposto. Tale quadro normativo non è stato modificato dal DPR n.327/2001, il cui art.13, al comma 6, contempla la sanzione dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità nel caso di omessa emanazione del decreto di esproprio entro il termine di cinque anni dalla data in cui è diventato efficace l’atto che aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera.

L’operato di parte resistente va pertanto censurato proprio perché la citata previsione di cui all’art.13 costituisce un precetto posto dalla legge ed indirizzato all’Amministrazione al fine di porre un vincolo alla discrezionalità dei suoi poteri, la cui violazione integra gli estremi della violazione di legge in quanto vizio di legittimità dell’atto amministrativo; la mancata adozione da parte dell’Amministrazione di un provvedimento di esproprio ha come conseguenza che l’originaria pubblica utilità è certamente scaduta, ragion per cui il potere ablatorio, validamente sorto, è stato colpito da un’inefficacia sopravvenuta che sanziona ex nunc un vizio dell’iter procedimentale, integrandosi una fattispecie di cattivo esercizio del potere.

4. Ciò considerato ai fini dell’annullamento del decreto di esproprio oggetto di impugnazione con il ricorso introduttivo e di parziale riforma nel quantum dell’atto di acquisizione gravato con motivi aggiunti, occorre poi tener conto dell’orientamento comunitario (Corte Europea Diritti Uomo, 6.3.2007, n.43662) che preclude di ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale” in assenza di un idoneo titolo previsto dalla legge.

4.1 Il T.U. n.327/2001, attraverso la disciplina contenuta nell’art.43, aveva originariamente introdotto un meccanismo che attribuiva all’Amministrazione il potere di acquisire la proprietà dell’area con un atto formale di natura ablatoria e discrezionale al termine del procedimento nel corso del quale vanno motivatamente valutati gli interessi in conflitto; il citato art. 43 era stato in definitiva emesso dal Legislatore delegato per consentire all’Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto quando il bene fosse stato <modificato per scopi di interesse pubblico> (fermo restando il diritto del proprietario di ottenere il risarcimento del danno). Da un lato vi era un’interpretazione garantista, ma minoritaria, che richiedeva una motivazione esauriente delle ragioni della disposta sanatoria che provasse la sua inevitabilità (Cons. Stato, VI, 9.6.2010, n.3655); dall’altro, in maniera prevalente, si ammetteva l’applicabilità dell’istituto anche in presenza di un giudicato che riconosceva al privato il diritto alla restituzione dell’area (ex multis, Cons. Stato, IV, 22.10.2010, n.7619; V, 13.10.2010, n.7472). La Corte Costituzionale, però, con sentenza n.293 dell’8 ottobre 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cennato art.43: muovendo dalla contrapposizione tra la Corte di Cassazione, che esclude l’ammissibilità dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e il Consiglio di Stato, secondo il quale «la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma», la Consulta ha affrontato la possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza occupato e modificato per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, anche nel caso in cui l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del suo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione. Preso atto che la delega riguardava il «riordino» delle norme elencate nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997 ed, in particolare, il «procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865», il giudice delle leggi ha affermato la necessità che, in ogni caso, si faccia riferimento alla ratio della delega, si tenga conto della possibilità di introdurre norme che siano un coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato e detta discrezionalità venga esercitata nell’ambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi.

In definitiva l’istituto previsto e disciplinato dall’art.43 era connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale, specie nel momento in cui si era introdotta la possibilità per l’Amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione; nel regime risultante dalla norma impugnata, inoltre, si era previsto un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che aveva commesso l’illecito, a dispetto di un giudicato che disponeva il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato. Il Legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto e derogare ad ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega, dovendo piuttosto limitarsi a disciplinare in modi diversi la materia e ad espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato in analogia con altri ordinamenti europei.

4.2 A seguito dell’eliminazione dal mondo giuridico dell’istituto della cd. “acquisizione sanante” di cui all’art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, la Sezione (a partire dalle pronunce nn.261 e 262 del 18 gennaio 2011) ha ritenuto che in siffatte ipotesi il comportamento tenuto dall’Amministrazione dovesse essere qualificato non già come illecito, bensì come illegittimo; si trattava di un’illegittimità a cui non poteva porsi rimedio neppure riesumando l’istituto di origine giurisprudenziale della cosiddetta “espropriazione sostanziale” – nelle due ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa – perché tale istituto era stato ritenuto in contrasto con l’ordinamento comunitario (cfr.: T.A.R. Sicilia Palermo I, 1.2.2011 n. 175; idem III, 21.1.2011 n. 115). Del resto in nessun caso – neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica – era possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presupponeva in ogni caso l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica di parte ricorrente, originaria proprietaria, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo, non consentito dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1.7.2010, n. 1418). Pertanto, ricorrendone i presupposti le Amministrazioni sono state condannate alla restituzione a parte ricorrente degli immobili in ragione dell’accertato utilizzo degli stessi per come materialmente appresi sia pure per fini pubblicistici, atteso l’irrilevanza, nell’ottica di una eventuale traslazione della proprietà della res, che fosse stata realizzata l’opera pubblica nella misura in cui questa aveva modificato la destinazione originaria del cespite e recato un pregiudizio patrimoniale e non a carico di parte ricorrente. Tale statuizione era peraltro compatibile con la restituzione dei cespiti e facoltà dello ius tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle condizioni previste dall’art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., laddove il diritto al risarcimento e l’applicabilità dell’art.2058 c.c. sarebbero entrati in discussione ove si fosse rientrati nella materia risarcitoria.

4.3 In costanza di vuoto normativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (31.5.2011, n.11963) hanno affermato che l’irreversibile trasformazione, anche parziale, del fondo determina l’acquisto della proprietà del bene, nei limiti della parte trasformata, da parte dell’Amministrazione che aveva dato corso al processo espropriativo, mentre l’eventuale domanda di risarcimento in forma specifica sarebbe ordinariamente destinata ad avere esito negativo, dovendo trovare prioritario soddisfacimento l’interesse posto a base della realizzazione dell’opera pubblica. Da canto suo, a titolo esemplificativo, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, I, 12.7.2011, n.245) ha ritenuto che, proprio a seguito del citato vuoto normativo, ove il privato avesse chiesto unicamente il risarcimento del danno per equivalente in ragione dell’irreversibile trasformazione del bene, detta richiesta andava considerata come rinuncia alla restituito in integrum; comunque la richiesta del solo risarcimento per equivalente non determinerebbe un effetto abdicativo della proprietà all’Amministrazione occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti (Cons. Stato, IV, 13.6.2011, n.3561; 1.6.2011, n.3331; 28.1.2011, n.676), mentre se il privato dovesse insistere per la tutela restitutoria la stessa andrebbe disposta eccezion fatta per la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli artt.2933, comma 2 o 2058 c.c. Di recente si è poi affermato (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833) che, essendo venuto meno il procedimento espropriativo accelerato di cui al citato art.43, la P.A. avrebbe potuto apprendere il bene facendo uso unicamente del contratto tramite l’acquisizione del consenso della controparte, ovvero del provvedimento anche in assenza del consenso ma con riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie.

4.4 Ad oltre nove mesi dalla sentenza di incostituzionalità dell’originario art.43, con l’art.34 del Decreto-Legge 6.7.2011, n.98 convertito in Legge 15.7.2011, n.111 (in materia di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stato reintrodotto attraverso l’art.42-bis l’istituto dell’acquisizione coattiva dell’immobile del privato utilizzato dall’Amministrazione per fini di interesse pubblico, potendosi acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene del privato allorchè la sua utilizzazione risponde a “scopi di interesse pubblico” nonostante difetti un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità. L’obbligo motivazionale ai sensi del nuovo comma 4 impone di dare conto dell’assenza di ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento, che entro trenta giorni va anche comunicato alla Corte dei Conti (comma 7); ancora nella nuova versione (commi 1, 2, 3 e 4) si fa riferimento all’indennizzo, piuttosto che al risarcimento del danno, quale corrispettivo dell’attività posta in essere dall’Amministrazione, ciò forse per la liceità dell’attività, non retroattiva, posta in essere dall’Autorità agente. Laddove prima, anche in sede di contenziosi diretti alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, la P.A. poteva chiedere che il giudice amministrativo disponesse la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione, e successiva adozione del provvedimento sanante dall’Amministrazione interessata, ora (comma 2) il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche in corso di giudizio di annullamento previo ritiro dell’atto impugnato; il potere acquisitivo dell’Amministrazione è esercitabile anche in presenza di una pronunzia giurisdizionale passata in giudicato che abbia annullato il provvedimento che costituiva titolo per l’utilizzazione dell’immobile da parte della stessa Amministrazione, atteso che il giudicato è intervenuto sull’atto annullato e non sul rapporto tra privato ed Amministrazione. Il nuovo atto, che l’Amministrazione è legittimata ad adottare finchè perdura lo stato di utilizzazione pur se illegittima del bene del privato, è distinto da quello annullato, tant’è che non opera con efficacia retroattiva e non ha una funzione sanante del provvedimento annullato; in ogni caso la P.A. deve porre in essere tutte le iniziative necessarie per porre fine alla perdurante situazione di illiceità, restituendo il bene al privato solo quando siano cessate le ragioni di pubblico interesse che avevano comportato l’utilizzazione del suolo, dovendo in caso contrario acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene su cui insiste o dovrà essere realizzata l’opera pubblica o di pubblico interesse.

Premesso che in ogni caso non sarà possibile la restituzione della nuda proprietà superficiaria al privato, atteso che ciò che rileva è appunto l’idoneità del bene del privato a soddisfare, attraverso la sua trasformazione fisica, l’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione, la prima giurisprudenza (T.A.R. Sicilia, Catania, III, 19.8.2001, n.2102) successiva all’entrata in vigore del nuovo art.42-bis ha ritenuto che il giudice amministrativo, anche nell’esercizio dei propri poteri equitativi e nella logica di valorizzare la ratio della novella legislativa di far sì che l’espropriazione della proprietà privata per scopi di pubblica utilità non si trasformi in un danno ingiusto a carico del cittadino e che gli effetti indennitari e/o risarcitori conseguano necessariamente ad un formale provvedimento della PA, possa accogliere la domanda risarcitoria derivante dall’occupazione senza titolo di un bene privato per scopi di interesse pubblico, se irreversibilmente trasformato, differendone però gli effetti all’emissione di un formale provvedimento acquisitivo ai sensi dello stesso art.42-bis.

Si potrebbe obiettare che si prescinde in tal modo dalle problematiche di carattere applicativo e che l’acquisizione sanante è inidonea a fungere da strumento di giuridico di tutela del principio di legalità, ma è un dato che la previsione di una “legale via d’uscita” con l’esercizio di un potere basato sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli interessi in conflitto (che di fatto trasforma un comportamento in un’attività amministrativa supportata dalla presunzione di legittimità) è già stata ritenuta immune da questioni di costituzionalità (Cons. Stato, VI, 15.3.2012, n.1438) in quanto conforme alle disposizioni della CEDU ed alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che in passato ha condannato la Repubblica italiana proprio perché i giudici nazionali avevano riscontrato la perdita della proprietà in assenza di un valido provvedimento motivato. L’art. 42-bis, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla P.A., non ripropone lo schema processuale previsto dal comma 2 dell’originario art.43, che attribuiva all’Amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione. Ciò nonostante, il potere discrezionale dell’Amministrazione di disporre l’acquisizione sanante è conservato (Cons. Stato, IV, 16.3.2012, n.1514): l’art.42-bis infatti regola i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia, consentendo l’emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti citati, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira”; non regola più invece, come innanzi accennato, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attività dell’Amministrazione, sicchè ove il giudice, in applicazione dei principi generali condannasse l’Amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell’Amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore. L’ordinamento sovranazionale che lo Stato ha recepito, anche a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione di un’opera pubblica astrattamente riconducibile al compendio demaniale necessario e nonostante l’espressa domanda in tal senso di parte ricorrente, esclude la possibilità di una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia postula l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene, per fatto illecito, dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Umbria, 22.10.2012, n.451; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5189).

5. Il Collegio ritiene dunque che, atteso che non può più essere azionato il meccanismo procedimentale accelerato previsto dal citato art.43 (Cons. Stato, IV, 29.8.2012, n.4650) e che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833; 28.1.2011, n.676), l’Amministrazione possa divenire proprietaria o al termine del procedimento, che si conclude sul piano fisiologico con il decreto di esproprio o con la cessione del bene espropriando, oppure quando, essendovi una patologia per cui il bene è stato modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, viene emesso il decreto di acquisizione al patrimonio indisponibile ai sensi dell’art. 42-bis, indennizzando il proprietario per il mancato utilizzo del bene (5% di interesse annuo sul valore venale del bene alla data di immissione in possesso), per il lamentato danno patrimoniale (al valore venale attuale) e non patrimoniale (10% del valore venale attuale salvo casi particolari in cui è il 20%).

In verità deve ritenersi possibile (T.A.R. Sicilia, Palermo, 5.7.2012, n.1402) l’usucapione da parte della Pubblica Amministrazione in presenza dei presupposti di cui all’art.1158 c.c. (possesso ininterrotto, non violento, non clandestino, da oltre un ventennio) ed alle condizioni di cui al D. Lgs. n.28/2010, con possibilità di un risparmio di spesa dovendosi corrispondere solo danno non patrimoniale e da mancato utilizzo. Sul punto la giurisprudenza ha precisato che “Il Tribunale Amministrativo é competente a decidere circa l’eccezione di intervenuta usucapione in materia espropriativa ricondotta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34 D. Lg. n.80 del 1998 ed oggi ai sensi dell’art.53 del T.U. espropriazioni” (Tar Catania, II, 14.7.2009, n. 1283). Ove poi si ritenga che la pronuncia sull’usucapione non rientra nell’ambito rimesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, primo comma, lett g) c.p.a. in quanto la specifica questione non è riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio del pubblico potere, si deve affermare che, se il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di tutte le questioni pregiudiziali relative a diritti ai sensi dell’art. 8 c.p.a. nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, a maggior ragione ne può conoscere alla stessa stregua nelle materie in cui ha giurisdizione esclusiva; al giudice ordinario, per contro, sono devolute tutte le controversie relative all’accertamento del possesso ventennale ininterrotto necessario per l’usucapione in quanto, ove l’interesse di parte ricorrente fosse da correlarsi unicamente al dedotto diritto di proprietà derivante dall’acquisto a titolo originario per intervenuta usucapione, sulla controversia deve pronunciarsi il giudice ordinario. In sede di conferma della citata pronuncia n.1402 del 2012 del TAR Palermo, si è ancora affermato (Cons. Giust. Ammin., 14.1.2013, n.9) che l’avvenuta usucapione estingue non solo ogni sorta di tutela reale spettante al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al risarcimento dei danni subiti poiché, retroagendo gli effetti dell’usucapione – quale acquisto a titolo originario – al momento dell’iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, “viene meno ab origine” il connotato di illiceità del comportamento della PA che occupava “sine titulo” il bene poi usucapito.

5.1 Quando si accerta l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione e la rilevanza nel giudizio dei principi quali desumibili dal menzionato art.42-bis, l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’Ente al risarcimento pongono il problema dell’eventuale applicazione dell’art.5-bis del D.L. n.333 del 1992, convertito in Legge n.359 del 1992; al riguardo occorre precisare che, con riguardo al comma 7-bis di tale articolo come introdotto dall’art.3, comma 65, della Legge n.662 del 1996, la Corte Costituzionale di recente (24.10.2007, n.349) ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto non prevederebbe un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della Pubblica Amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, dunque in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU e con lo stesso art.117, primo comma, Cost. Quanto alla misura dell’indennizzo, nella giurisprudenza della Corte europea (29.3.2006, Scordino) è ormai costante l’affermazione secondo cui “una misura che costituisce interferenza nel diritto al rispetto dei beni deve trovare il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e le esigenze imperative di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”, non potendosi garantire in tutti i casi il diritto dell’espropriato al risarcimento integrale in quanto obiettivi legittimi di pubblica utilità possono giustificare un rimborso inferiore al valore commerciale effettivo. In ogni caso la liquidazione del danno per l’occupazione acquisitiva stabilita in misura superiore a quella stabilita per l’indennità di espropriazione, ma in una percentuale non apprezzabilmente significativa, non permette di escludere la violazione del diritto di proprietà come garantito dalla norma convenzionale. Il danno subito da parte ricorrente va dunque liquidato tenendo conto non della rendita catastale quale è un mero valore fiscale impresso dall’Amministrazione agli immobili a meri fini tributari, bensì del valore di mercato (o venale) del bene ablato, da determinarsi attraverso la valutazione delle caratteristiche intrinseche dell’immobile e delle sue eventuali potenzialità edificatorie, la verifica dei prezzi risultanti da atti di compravendita di immobili finitimi con analoghe caratteristiche ed il valore accertato dal Ministero delle Finanze rivalutato alla data dell’irreversibile trasformazione, mentre sulla somma così determinata andranno calcolate la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale. Quanto al danno non patrimoniale, premesso che le disposizioni di cui al comma 1 del citato art.42-bis sono rivolte non al giudice bensì all’Amministrazione che procederà o meno alla liquidazione dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale subito – mentre il giudice potrà valutare la legittimità dell’attività amministrativa solo ex post ove sia chiamato a sindacare l’operato della P.A., esso è risarcibile (Cons. Stato, IV, 9.1.2013, n.76; Cass. Civ., SS. UU., 11.11.2008, n.26972) nei soli casi “previsti dalla legge” e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c., a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale); b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di un’ipotesi di reato (ad es. nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. Occorrerà dunque verificare la sussistenza di un pregiudizio non patrimoniale derivante da attività o comportamenti illegittimi o illeciti della P.A., a ciò provvedendo il giudice in quanto ne venga investito a domanda di parte atteso che il diritto al risarcimento del danno è un diritto disponibile.

Ai sensi dell’ultima parte del secondo comma dell’art.42-bis, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, devono essere detratte da quelle dovute ai sensi del nuovo atto. Ove invece venga disposta l’acquisizione ai sensi del citato art.42-bis, atteso che ai sensi del comma 3 della stessa norma l’indennizzo deve tener conto della misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità – mentre se l’occupazione riguarda un terreno edificabile occorre aver riguardo ai commi 3, 4, 5, 6 e 7 dell’art.37, andrà risarcito il danno relativo al periodo della utilizzazione senza titolo, nonché l’importo spettante in base alle vigenti disposizioni oltre interessi moratori. Per il periodo di occupazione illegittima il danno da risarcire deve essere forfettariamente determinato nella misura fissa dell’interesse del 5% annuo sul valore venale del bene alla data di immissione in possesso.

5.2 Nella fattispecie la Sezione, rilevata per i motivi dianzi esposti la illegittimità dell’operato del Comune di Calvi Risorta, ritiene, anche in ragione della ratio dell’art.42-bis e della tardività del deposito da ultimo del provvedimento di acquisizione ex art.42-bis in disparte i profili che saranno eventualmente oggetto di separata impugnazione, di disporre che l’acquisizione del bene avvenga previa liquidazione in favore di parte ricorrente del valore venale del bene come di seguito specificato. In particolare, come evidenziato in sede di relazione di CTU, appare abbastanza chiaro che, quanto all’area interessata dal campo di calcio, la determinazione del valore del suolo può avvenire con riguardo al disposto di cui all’art.36, comma 7, del D.L. n.223 del 04.07.2006, conv. in Legge n.248 del 4/8/2006, avente finalità di contrasto all’evasione fiscale; difatti detta normativa reca disposizioni per il calcolo delle quote di ammortamento deducibili e definisce che il costo dei fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il costo delle predette aree e’ quantificato in misura pari al maggiore tra quello esposto in bilancio e quello corrispondente al 20% del costo complessivo dell’immobile; quest’ultimo è determinato attraverso l’applicazione dei costi medi per tipologie definiti dalla Commissione impianti sportivi del CONI, utilizzati nelle valutazioni di congruità economica preliminari al rilascio dei pareri per gli interventi sottoposti a finanziamento delle opere.

Avuto riguardo ai più recenti orientamenti giurisprudenziali, a parziale modifica di quanto riportato in sede di relazione di CTU, il Collegio ritiene che il danno patrimoniale calcolato all’anno 2000 vada riportato alla data della sentenza attraverso l’applicazione degli indici riportati sul Grafico dell’andamento del mercato immobiliare pubblicato dalla rivista Economia; in particolare dal diagramma si desumono gli indici di riferimento da utilizzare per la riconduzione riferiti alle annualità 2000 – 2013: al 2000 l’indice era pari a 173 mentre al 2013 è pari a 225, per cui al fine di ricondurre il valore del 2000 (€ 491.077,62) all’anno 2013 (X) occorre impostare una proporzione matematica (€ 491.077,62 : 173 = X : 225) = € 638.728,08. Conseguentemente il danno patrimoniale è pari ad € 638.728,08, il danno non patrimoniale (corrispondente al 10% del valore venale del bene in conformità al comma 1 dell’art. 42-bis del DPR 327/2001) è pari ad € 63.872,81, mentre l’indennità da corrispondere per l’occupazione temporanea è pari al 5% del valore del suolo al 2000 e per l’intero periodo di occupazione, dunque € 491.077,62 x 5% x 4829/365 = € 324.851,21. Inoltre all’imprenditore agricolo spetta l’indennità aggiuntiva, determinata in € 27.798,50 su cui, detratti gli importi eventualmente erogati, saranno calcolati i rituali interessi legali, fino al soddisfo.

5.2.1 Circa i beni interessati dai lavori di realizzazione di Viale delle Palme, il valore dei beni in questione è dato dalla sommatoria del valore di un terreno agricolo ordinario situato nella medesima località e del valore del soprassuolo successivo agli interventi di urbanizzazione primaria, che è pari al costo degli stessi interventi; anche qui, a parziale modifica di quanto riportato in sede di relazione di CTU, il Collegio ritiene che il danno patrimoniale calcolato all’anno 2000 vada riportato alla data della sentenza attraverso l’applicazione degli indici riportati sul Grafico dell’andamento del mercato immobiliare pubblicato dalla rivista Economia. Dal diagramma si desumono gli indici di riferimento da utilizzare per la riconduzione riferiti alle annualità 2005 – 2013, per cui al 2005 l’indice è pari a 268 mentre al 2013 è pari a 225; pertanto per ricondurre il valore del 2005 (€ 56.625,00) all’anno 2013 (X) occorre impostare una proporzione matematica (€ 56.625,00 : 268 = X : 225) = € 47.539,64 che è il danno patrimoniale. Il danno non patrimoniale (corrispondente al 10% del valore venale del bene in conformità al comma 1 dell’art. 42-bis del DPR 327/2001) è pari ad € 4.753,96; l’indennità da corrispondere per l’occupazione temporanea è pari al 5% del valore del suolo al 2005, per l’intero periodo di occupazione, dunque € 56.625,00 x 5% x 3405/365 = € 26.412,07 più € 365,13 per le porzioni di suolo occupate temporaneamente nel periodo dal 27/2/2004 al 27/2/2006. Inoltre all’imprenditore agricolo spetta l’indennità aggiuntiva, determinata in € 4.544,72 su cui, detratti gli importi eventualmente erogati, saranno calcolati i rituali interessi legali fino al soddisfo.

5.2.2 Quanto alle osservazioni formulate alla relazione del CTU, il Collegio reputa non fondata l’eccezione sollevata circa la potenzialità edificatoria ai fini residenziali; inoltre, laddove il Comune asserisce che il terreno andrebbe valutato come suolo inedificabile, va osservato che, dovendosi ristorare i ricorrenti del danno ricevuto attraverso la ricerca del valore venale del bene e poiché la normativa urbanistica consente l’edificazione di costruzioni ai fini sportivi (avvalendosi anche dell’intervento dei privati e non solamente dell’Ente comunale), va da sé che un qualsiasi privato, attraverso l’intervento diretto, ha la possibilità di realizzare una struttura di tipo sportiva con la maggiore volumetria possibile e ciò nell’intento di massimizzare i profitti imprenditoriali; di conseguenza il valore degli immobili realizzabili sul fondo risulta maggiore e quindi anche il valore del suolo con tutte le conseguenze del caso.

5.3 In definitiva l’unico potenziale ostacolo al pieno esplicarsi della tutela restitutoria è costituito dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione interessata, dello speciale “potere sanante” previsto dal citato art.42-bis come applicabile anche “a fatti anteriori” alla sua entrata in vigore in virtù dell’espressa previsione contenuta al comma 8 (cfr., al riguardo, T.A.R. Sardegna, 24.10.2012, n.874; Cons. Stato, n.5844/2011). Affinché l’interesse primario della parte lesa possa essere soddisfatto, deve imporsi all’Amministrazione di rinnovare, entro trenta giorni dalla notificazione della presente sentenza, la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione dei beni per cui è causa, adottando un provvedimento col quale gli stessi siano acquisiti non retroattivamente al patrimonio indisponibile comunale, prevedendo che, entro il termine di trenta giorni, ai proprietari in solido siano corrisposti i valori come prima specificati e recando l’indicazione delle circostanze che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e la data dalla quale essa ha avuto inizio. Detto provvedimento dovrà essere notificato ai proprietari e comporterà il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’art.20, comma 14, del D.P.R. n.327 del 2001, sarà soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’Amministrazione procedente e sarà trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’art. 14, comma 2, del D.P.R. n.327 del 2001, nonché comunicato, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.

Resta inteso che i predetti termini, disposti nell’esclusivo interesse di parte ricorrente, potranno essere aumentati su autorizzazione scritta da parte di questi ed inoltre che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di incidente di esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta. La Sezione si riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione. Gli atti andranno poi trasmessi alla Procura Regionale della Corte dei Conti per l’accertamento di eventuali profili di responsabilità contabile nei fatti che avranno condotto a questa fase di giudizio.

6. Alla luce di quanto sopra deve ritenersi che il ricorso in esame vada accolto come da motivazione con declaratoria di illegittimità dell’occupazione in questione e di obbligo del Comune di Calvi Risorta a determinarsi come da motivazione con indicazione del risarcimento dovuto a parte ricorrente.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara il diritto di parte ricorrente con relative statuizioni di cui in premessa. Condanna il Comune di Calvi Risorta al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 2.000,00 oltre IVA, CNAP, onere di cui all’art.13 del DPR n.115/2002 come successivamente modificato e rimborso per spese generali come per legge, nonché di CTU, definitivamente determinate in € 4.000,00 oltre IVA ed oneri previdenziali ed anticipate da parte ricorrente quanto a € 3.000,00. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa. La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del giorno 27/6/2013 con l’intervento dei magistrati

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