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CANCELLO ED ARNONE – “Guardate e imparate come si uccide. Vamos! In un minuto li faccio fuori e torno”. Cos’ parlava il boss Setola. Dichiarazioni shock del pentito Spagnuolo in aula

di MARIA GIOVANNA PELLEGRINO

CANCELLO ED ARNONE. Setola boss stragista da chierichetto a spietato killer, dalle riunioni con i giovani dell’azione cattolica ai summit di camorra, per prendere spietate decisioni ed arrivare a dire ai suoi fiancheggiatori: “Guardate e imparate come si uccide. Vamos! in un minuto li faccio fuori e torno”. Queste le agghiaccianti dichiarazioni del collaboratore di giustizia Oreste Spagnuolo, fedelissimo di Setola rilasciate ieri nel corso del processo davanti alla corte d’assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che vede alla sbarra il boss sanguinario e il suo gruppo di fuoco per una serie di omicidi. Parole che hanno lasciato esterrefatti anche i giudici popolari che hanno sgranato gli occhi dinanzi a tanto orrore raccontato dal pentito di turno con molta freddezza nel considerare quanto poco vale la vita per chi ha sete di potere ed è disposto a spargere fiumi di sangue per raggiungere il proprio obiettivo. Un interrogatorio istruito sapientemente dal Pm distrettuale Cesare Sirignani che con domande suggestive fatte a Spagnuolo è riuscito a far capire alla corte, presieduta dalla dottoressa Maria Alaia, la crudeltà dei boss della camorra.    In assise, ieri, si è dibattuto sull’omicidio di Umberto Bidognetti, reo solo di essere il padre indifeso di un neo collaboratore di giustizia, e dei due albanesi massacrati per aver commesso dei furti e dei cavalli di ritorno nella zona Destra Volturno. Umberto Bidognetti era  padre del pentito Domenico Bidognetti e cugino di Cicciotto ‘e mezzanotte. Questi con il suo silenzio, in merito alla morte straziante del congiunto, parve avallare la decisione di Setola. Deduzione fatta da Spagnuolo e da altri accoliti di Setola quando si riunirono a commentare l’omicidio. I due albanesi erano Artur Gazani e Dani Zyber, puniti per aver fatto parte di una gang di extracomunitari che aveva  rubato il motore della pompa dell’acqua nei campi di Francesco Letizia, fratello del boss Giovanni, e l’auto del cognato di Antonio Alluce, chiedendo dei soldi per la restituzione. Delitti commessi tra il mese di maggio ed agosto del 2008 tra Cancello Arnone e Villa Literno.  La decisione di uccidere il padre del pentito maturò in Setola velocemente, dopo che Domenico Bidognetti, rilasciò un’ intervista alla trasmissione “Anno Zero” dicendo che i casalesi erano dei conigli ed invitava i commercianti ed altre vittime del racket della camorra a rivolgersi alle autorità giudiziarie per denunciare i fatti.  Spagnuolo ha riferito alla corte che seppe solo a fatto compiuto che si trattava del padre di Domenico Bidognetti la vittima designata, pur avendo partecipato alla riunione di preparazione. Spagnuolo ha rivelato che Setola aveva dato incarico a Massimo Alfiero di rintracciare la vittima e di segnalare la posizione al commando di fuoco. Ma Alfiero non se la sentì, poiché aveva scoperto che Umberto Bidognetti usciva di casa alle 5 del mattino per andare a lavoro nei campi insieme al figlio 15enne. Alfiero se avesse segnalato questo fatto a Setola di sicuro sarebbe stato ucciso anche il ragazzo. Quindi prese tempo. Setola invece non voleva più aspettare per cui dal suo nascondiglio di Giuliano, alle spalle del commissariato partì con l’Alfa 147, la stessa auto utilizzata per l’agguato mortale a Michele Orsi. Alla guida c’era Giovanni Letizia. Raggiunse Bidognetti nei pressi della sua masseria e lì lo freddò. “Così tuo figlio la finisce di fare altre interviste la prossima volta”. Questo è il commento che fece davanti ai suoi uomini dopo aver ucciso un innocente con l’intenzione anche di massacrare i lavoranti della masseria perché potevano parlare. Quando Setola e Letizia ritornarono nella masseria dove era appoggiati anche Spagnuolo, Luigi Tartarone, Metello Di Bona ed Antonio Alluce  quest’ultimo accese il televideo che già riportava la morte del familiare di un pentito. Oreste Spagnuolo si mise le mani in testa pensando che poteva scoppiare un putiferio invece dai Bidognettiani non vi fu alcun reclamo. Poi si decise anche la morte dei due albanesi. Il fratello di letizia si era lamentato del furto così come anche Luigi Spierto aveva segnalato al clan che c’erano degli albanesi che commettevano dei furti e che la gente si era lamentato per questi fatti. Setola con i suoi uomini era riunito in una masseria non molto distante da Villa Literno dove sapevano che c’erano i ladri. Tartarone e Di Bona referenti di Alfiero Massimo non se la sentirono di andare in avanscoperta per individuare al momento i due ladruncoli da punire con la morte. Setola, in pantaloncini e con gli infradito al piede, non perse tempo. “Vi faccio vedere io come si fa. In un minuto li uccido e torno”. Così fu. Salì in moto insieme a Letizia e con Spagnuolo e raggiunsero il bar dove al tavolino stavano seduti due albanesi. Letizia ne riconobbe uno. Questi notando Setola scappò ma riuscì  solo a percorrere una quarantina di metri prima di essere investito da una pioggia di piombo. L’altro giovane, estraneo ai fatti, venne punito lo stesso solo per essere stato in compagnia del ladro.

Dopo il lungo esame del pm l’udienza è stata rinviata per il controesame da parte della difesa al prossimo 9 novembre anche per trattare l’omicidio di Ramis Doda, avvenuto a San Marcellino il 18 agosto del 2008. Poi a seguire quello di Raffaele Granata, padre dell’ex sindaco di Calvizzano; Antonio Celiento; Lorenzo Riccio; Stanislao Cantelli, zio dei pentiti Luigi e Alfonso Diana. Per questi fatti alla sbarra sono finiti: Giuseppe Setola, Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia, Davide Granato, Oreste Spagnuolo, ma l’ordinanza fu emessa anche nei confronti di Giovanni Tessitore, Giuseppe Gagliardi, Massimo Amatruri, Carlo Di Raffaele, Ferdinando Russo, Giuseppe Guerra, Salvatore Santoro, Massimo Napolano e Gabriele Brusciano.

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