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COSA ACCADE NEL NOSTRO CERVELLO DURANTE UN ATTACCO DI PANICO?

Ci siamo lasciati la scorsa settimana con i sintomi dell’attacco di panico. Oggi parleremo di cosa accade nel nostro cervello durante la crisi d’ansia. Nel vasto universo del nostro cervello esiste un sistema d’allarme regolato da un nucleo, grande quanto una mandorla, definito amigdala, in verità ne possediamo due: una a destra ed una a sinistra. L’amigdala si attiva quando percepiamo degli stimoli esterni (visivi, olfattivi, uditivi…) o interni (una sensazione fisica, un pensiero, un’immagine…) come pericolosi, dolorosi o sconosciuti anche se essi magari non lo sono realmente. Se lo stimolo viene interpretato come pericoloso, il nostro sistema d’allarme si attiva e l’amigdala invia l’informazione al sistema nervoso simpatico (che poi tanto simpatico non è!) che fa parte del sistema nervoso autonomo (cioè non regolato volontariamente da noi e dalla nostra ragione).   Tutte le volte che ci troviamo di fronte ad uno stimolo che è interpretato come minaccioso, parte una complessa reazione a catena: vengono rilasciati ormoni dello stress (adrenalina, noradrenalina, cortisolo…), si attiva il sistema nervoso simpatico (SNS) che è finalizzato a preparare l’organismo ad attaccare o a fuggire da una situazione di pericolo.  Il cervello entra in stato di allerta, il respiro accelera. Le pupille si dilatano. La frequenza cardiaca, la pressione ed il flusso sanguigno aumentano. Viene prodotto più glucosio ed inviato ai muscoli, mentre altri organi, come il sistema gastrointestinale, vengono messi in uno stato di ridotta attività. Insomma, tutto il corpo si prepara ad affrontare il potenziale pericolo, assorbendo la nostra attenzione. Contemporaneamente parte una valutazione della minaccia.   Facciamo un esempio per comprendere meglio: ricordate il ragazzo dello scorso articolo, che chiameremo L., che si è recato al PS perché aveva il cuore in gola e credeva di stare per morire? Ora vi spiego perché è accaduto: L. ha una sensazione di dolore al petto, la interpreta come pericolosa, a questo punto la sua amigdala si è attivata e ha trasmesso l’informazione al sistema nervoso simpatico che scatenerà nel suo corpo la cascata di sintomi descritti sopra per prepararlo alla difesa: tachicardia, tremore, dilatazione della pupilla, aumento degli atti respiratori, sudorazione… L., però, non percepirà questi sintomi come un normale processo fisiologico di attivazione del sistema d’allarme, quanto piuttosto come la conferma che sta per avere un infarto o un malore, confermando all’amigdala che deve restare attiva perché è in pericolo, così’ aumenteranno i sintomi dell’allerta, continuerà a convincersi di stare male finendo per scatenare un vero e proprio attacco di panico. In sintesi non riconoscerà i segni della paura, ma li interpreterà come una gravissima minaccia interna alla sua salute fisica o mentale (paura di morire o di impazzire) ed entrerà in quel loop di autorinforzo chiamato circolo di Clark, noto anche come la paura della paura (Clark, 1986 – Modificato da Wells, 1997).    Quello che sta accadendo, come ho detto precedentemente, è regolato dal nostro sistema nervoso autonomo, grazie al quale abbiamo la possibilità di reagire immediatamente ai pericoli. A questo punto vi starete chiedendo, ma perché si attiva anche quando il pericolo non è reale? L. non stava davvero per avere un infarto. E soprattutto, se la sua reazione di ansia è regolata da un sistema nervoso non volontario, cosa avrebbe potuto fare per intervenire?    Ebbene, nel nostro cervello abbiamo un’altra parte molto importante che rappresenta l’area più razionale e abile di tutte: la corteccia. Essa è regolata dal sistema nervoso volontario e quindi da noi.   La corteccia, nello specifico quella prefrontale, è coinvolta nella pianificazione esecutiva e ha lo scopo di rivalutare la minaccia, prestare attenzione, aiutare a controllare gli impulsi, risolvere i problemi, inibire risposte inappropriate. È lei che può disinnescare un falso allarme e quindi disattivare l’amigdala.   La corteccia, che ha il compito di rivalutare la minaccia, può, dunque, ridurre la possibilità di falsi allarmi e quindi l’ansia.   La parte “razionale” del nostro cervello dice alla parte “emotiva” se ci si trova di fronte ad un falso allarme (e allora disattiviamo la risposta) o di fronte da un pericolo reale (e allora la risposta continua ad essere attiva).   Avrete a questo punto inteso che gli attacchi di panico sono il risultato di interpretazioni “catastrofiche” di eventi fisici e mentali che vengono erroneamente considerati come segni di un imminente disastro.   Se la nostra prima reazione di fronte alla percezione di un pericolo è automatica (SNS), ovvero innata, la rivalutazione della minaccia è invece gestita dalla nostra parte razionale (corteccia), avendo così la possibilità di disattivare il sistema d’allarme interpretando correttamente lo stimolo.   Il modo in cui pensiamo determina il modo in cui ci sentiamo, di conseguenza se L. interpreterà il fastidio al petto come se fosse un infarto, avrà come conseguenza emotiva l’ansia, se invece, avesse dato ad esso un significato diverso come ad esempio …avrò un doloretto intercostale, ho una piccola fitta, nulla di preoccupante… avrebbe disattivato l’allarme e a seguire la reazione di ansia.   Dobbiamo ricordare che l’ansia è un’emozione primaria, ovvero innata, che ha una funzione adattativa ed evolutiva perché ci ha consentito di sopravvivere ad innumerevoli pericoli nel corso della nostra storia. Ed è lo stesso meccanismo che viene attivato di fronte a pericoli che minacciano la nostra sopravvivenza. Non possiamo, dunque, immaginare la nostra vita senza ansia.   Quello che è importante comprendere che non è la reazione di ansia il problema, quanto piuttosto i nostri pensieri disfunzionali e le nostre interpretazioni erronee degli eventi. Correggendo i pensieri disfunzionali avremo delle emozioni più positive.

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