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Strage di migranti: le ragioni del fenomeno e chi si arricchisce sulla massa di disperarti

(di Sandrino Luigi Marra) – Oltre 70 vittime nel naufragio di Crotone, circa 70 persone che vanno ad unirsi ai 25.000 morti ufficiali nel Mediterraneo, che presumibilmente sono almeno 50.000 considerando i mai ritrovati. Un cimitero, il più grande cimitero del mondo e si ha il coraggio di speculare e fare osservazioni e proposte utopiche e irrealizzabili. Ma proviamo a comprendere il fenomeno nella sua interezza per quanto possibile, le motivazioni, i numeri, le statistiche delle vittime. Per cominciare esistono i percorsi migratori, poiché sono vari ed in continuo cambiamento, e più cambiano meno si sa chi e quanti perdono la vita. Le “rotte”, così vengono definite quei percorsi vari e svariati che in parte si fanno con un mezzo, in parte a piedi, via terra o via mare, o meglio, parte via terra parte via mare. E la morte la si può trovare si via terra che via mare. Si è calcolato che nelle varie rotte per attraversare il Sahara (ne esistono ben 7 conosciute ed almeno altrettante sconosciute) muoia 1 persona su 4, sistematicamente. Giunti sulle coste africane, in particolare in Libia, sistematicamente i migranti finiscono nei centri di raccolta, o per meglio dire le prigioni gestite dai miliziani di varie fazioni. Ne sono alla totale mercè, come se fossero oggetti, derubati di quei pochi spiccioli che hanno con se, privati dei documenti, costretti a lavori forzati, abusati psicologicamente e fisicamente, violentati, uccisi. Muoiono per mano dei miliziani solo in Libia almeno 30 persone al mese, uno per ogni giorno dell’anno. Durante il tragitto dall’Africa sub-sahariana alle coste, circa il 30% delle donne e delle bambine subisce violenza sessuale, anche più volte durante il viaggio e non solo dai trafficanti di essere umani ma anche da funzionari di polizia o militari, spesso in combutta con i trafficanti stessi. Per molte donne e bambine poi, da parte dei trafficanti subentrano periodi di prostituzione per incrementare le fonti di guadagno di questi, un ulteriore obolo per continuare il viaggio. I prezzi del viaggio variano dai 3000 agli 8000 Dollari o Euro, per i trafficanti ambedue la valute vanno bene. E ci si affida a questi mercanti di esseri umani, perchè non c’è un modo legale per raggiungere l’Europa. Le ambasciate ed i consolati “del democratico e civile occidente” non rilasciano visti di ingresso e lì dove esistono convenzioni tra i paesi si concedono con molta difficoltà, e solo per motivi di studio o per affari. E per affari è la ricchezza che fa la differenza nel ricevere un visto di ingresso, come sempre “pecunia non olet”, il denaro non puzza. Si perché i ricchi esistono anche in Africa, in India, in Sud America, nel sud-est asiatico, questi non hanno problemi nel viaggiare per affari o per diletto, il colore della pelle in questo caso non fa differenza alcuna perché è un altro il colore che interessa, quello del denaro. Di fatto chi parte non è neanche un povero nel proprio paese (povero secondo i nostri standard) sono persone che hanno spesso una casa di proprietà, un lavoro quasi sempre dignitoso, persone che portano in tavola 3 pasti al giorno, pagano le utenze, riescono a vestire i figli e se stessi, hanno il cellulare, la televisione ed il frigorifero, anche l’auto ma non hanno alcuna possibilità di crescita, di miglioramento, per se stessi e per i figli. Studiare costa, quasi sempre in Africa ed altrove dopo le elementari il percorso di studi è a pagamento, la sanità è a pagamento o per chi è più fortunato assicurativa, quella pubblica, universale, non esiste e se esiste garantisce in pratica nulla, i trasporti pubblici che pure esistono hanno un costo elevato e quindi c’è da fare una scelta, o comprare ad esempio le medicine o farsela a piedi, meglio farsela a piedi. Sono paesi economicamente deboli, non in grado di offrire i servizi che troviamo in occidente, non in grado di offrire stipendi sufficientemente adeguati, molto spesso le famiglie incrementano il reddito con la produzione e la vendita di prodotti ortofrutticoli, venduti al mercato o in strada dopo il lavoro. I nostri figli in occidente hanno una scelta: studiare e poter avere in futuro uno stipendio importante, non studiare ed avere uno stipendio più che dignitoso. In molti paesi la formula è, studiare ed avere uno stipendio quasi dignitoso, non studiare ed avere uno stipendio neanche lievemente dignitoso, quindi alla fine del discorso non avere futuro in nessuno dei due casi. Noi scegliamo ed in base alla nostra scelta sappiamo quale sarà il nostro futuro, in questi luoghi non c’è scelta e se eventualmente c’è una scelta il futuro comunque non c’è. Ed ognuno di noi cosa vorrebbe per i propri figli? Il meglio della vita, il benessere economico che li faccia vivere senza pensieri, la possibilità di studiare o scegliere un mestiere, una attività. La possibilità di viaggiare, di una vacanza, di una cena al ristorante, di una casetta o un appartamento come lo si desidera, dell’acquisto dell’auto che piace, del potersi vestire anche con qualcosa che poi può anche essere superfluo, la dignità di una vita vissuta nel piccolo o nel grande delle proprie possibilità e nei tempi delle proprie possibilità. Altrove non è purtroppo così, e quello descritto vale per i paesi politicamente tranquilli, stabili, non parliamo dei paesi instabili, dove imperversano milizie armate jihadiste, gruppi paramilitari corrotti che si contendono contro lo stato, miniere e terre, ricchezze naturali e quant’altro. Cose di cui nella rubrica abbiamo parlato più e più volte. E quindi infine cosa accade? Quello che accadeva ai nostri nonni e bisnonni, ai nostri genitori, a noi stessi: nella ricerca di un futuro migliore si parte e si va lì dove la vita appare migliore, dove la vita offre ai figli ed a se stessi un futuro dignitoso. E noi cosa facevamo un tempo? Vendevamo i nostri terreni, le nostre case, i nostri armenti, vendevamo quel che avevamo e con quei quattro spiccioli ci pagavamo il viaggio. Fosse esso in America Latina, negli USA, in Canada, in Europa, è questo quel che facevamo, né più né meno di quel che fanno oggi gli “altri”. E spesso lo facevamo senza visto, quando “partivano i bastimenti per terre lontane” le persone non avevano nessun visto tanto che negli Stati Uniti giungevano ad Ellis Island dove venivano “valutati” per essere eventualmente accolti. Ma anche quando siamo emigrati in tempi recenti (gli anni 50 e sessanta del 900) come lo abbiamo fatto? I fortunati avevano un contratto di lavoro venduto da una agenzia, dovevano avere una somma disponibile da dimostrare e quindi lavoravano per mettere da parte i denari necessari o vendevano il terreno o gli armenti. Pagavano così il viaggio e tenevano con se i denari che il paese di accoglienza pretendeva che si avessero a disposizione per le necessità basilari. E chi non aveva queste possibilità  si indebitava con lo strozzino del paese, e attraversava il mondo come si dice oggi “illegalmente”. Un trafficante di esseri umani, il passaggio su una nave o a piedi attraverso un confine, il rischio del furto, della morte nascosto nella stiva di una nave, dentro un container, dello sfruttamento da parte di faccendieri e trafficanti di esseri umani. Così era fino agli anni 70 del 900 per tanti italiani ed oggi lo abbiamo dimenticato, la classe politica neanche lo ha mai saputo, per questo parla dell’irresponsabilità di partire con i figli in viaggi così pericolosi. Come se a decidere il momento dell’imbarco fosse la singola persona, e non un miliziano armato che al primo tentennamento o ribellione ti spara addosso senza pensarci mezza volta, tanto i suoi guadagni li ha già ottenuti, tanto per questi non si è esseri umani ma merce vuota a perdere. Vi veniamo a prendere? Ma se non si concedono i visti per nessun motivo da parte in pratica di tutte le ambasciate di Europa (e più guardiamo verso le ambasciate dei paesi europei dell’est e peggio è) con un rifiuto sistematico senza ulteriore possibilità di altra richiesta, se per i flussi annuali di lavoro la burocrazia è ferraginosa e spesso incomprensibile per i più (fatta anche per scoraggiare e portare all’errore) di fatto si costringono le persone a tentare la sorte, e se si tenta la sorte nei modi che vediamo ogni giorno, allora vuol dire che nonostante i rischi ne vale la pena, vuol dire che nel proprio paese di origine quando va bene non vale la pena di restarci, e quando le cose nel proprio paese vanno male allora non c’è scelta, allora è solo tra la vita e la morte, tentare per non morire se non morire fisicamente morire di dolore guardando negli occhi i propri figli morire dentro, in povertà, in una vita di stenti e di fatica, in luoghi dove bisogna tacere dove fare una osservazione significa prigione, tortura e morte. Dove le tue/mie figlie non hanno diritti, sono merce, oggetti, in matrimoni combinati, in luoghi dove non possono esprimere un parere e debbono stare solo in silenzio. In luoghi dove non potranno mai aspirare ad una carriera o a un lavoro dignitoso, ad una vita con pochi o senza pensieri. In una di qualunque delle situazioni descritte, per i miei figli, per il loro futuro, per la loro dignità di esseri umani, sarei disposto a morire in mare, nel deserto, tra le montagne in mezzo alla neve, ucciso da un miliziano, a farmi a piedi 1500 chilometri di rotta balcanica, a viaggiare chiuso in un container, nella stiva di una bagnarola pur di vedere nei loro occhi un barlume di felicità e se morissi almeno  essi saprebbero che ci ho provato, per loro per il loro futuro. Ed ora non ditemi che non fareste tutto ciò.

 

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