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Nagorno Karabakh: il conflitto si riaccende, l’Armenia abbandona i propri connazionali

(di Sandrino Luigi Marra) – Per l’ennesima volta qualche settimana fa si era riaccesa la fiamma del conflitto nel Nagorno Karabakh, con un massiccio intervento armato dell’Azerbaigian che accusava gli indipendentisti Armeni di aver violato non solo il cessate il fuoco ma gli accordi precedenti. L’accusa di aver posizionato mine antiuomo che avrebbero causato la morte di civili e militari è stato il “casus belli” per l’intervento, anche se da settimane l’Azerbaigian stava spostando truppe e mezzi lungo la frontiera. Fatto sta che scattata l’operazione il tutto si è concluso nel giro di 24 ore, con la morte di 200 armeni della forza locale di autodifesa e la definitiva resa e consegna delle armi di quest’ultima. L’Armenia di per sé non è intervenuta militarmente a sostegno dei compatrioti del Nagorno Karabakh, decidendo di abbandonare al proprio destino i propri connazionali. Questo ha significato una serie di manifestazioni in Armenia contro il Primo Ministro Nikol Pashinyan, la popolazione lo accusa di aver abbandonato i propri connazionali e di non aver mosso un dito per evitare l’escalation. Eppure i presupposti per un forte intervento diplomatico c’erano tutti, se non altro per il mancato rispetto, da parte dell’Azerbaigian dell’apertura del corridoio di Lacin che negli accordi sarebbe dovuto essere il collegamento con l’Armenia affinchè ci fossero scambi commerciali e quanto altro necessario per la vita e la sopravvivenza della popolazione Armena dell’indipendente Nagorno Karabakh. Bloccato il corridoio vi erano tutti i presupposti per una crisi umanitaria, poi l’ultimo intervento armato ha decretato la fine dell’Oblast. Anche se il 21 Settembre vi è stato un incontro tra i rappresentanti della comunità Armena del Karabakh e le autorità azerbaigiane dove queste ultime hanno presentato un piano di reintegrazione della popolazione armena e la ricostruzione delle infrastrutture, da qualche giorno è iniziato l’esodo dei cittadini Armeni. Si contano 120.000 profughi, ovvero l’intera popolazione Armena del Karabakh che non potrà essere ospitata nella madre patria, poiché le dichiarazioni governative dicono che non saranno in grado di ospitare ed accogliere un tale numero di popolazione. Anche se il Primo Ministro Pashinyan tempo addietro si era detto in grado di accogliere ed includere nel paese 40.000 famiglie, nella realtà dei fatti non sarà possibile, poiché l’Armenia non ha la possibilità economica di affrontare un tale esodo, perchè di esodo si tratta. A livello internazionale, come sempre da 30 anni a questa parte si è posta scarsa attenzione agli eventi dell’area, che con la situazione in atto da qualche giorno ancora una volta dimostra che l’esodo delle popolazioni Armene non toccano quasi nessuno, d’altronde “sono abituati” agli esodi, uno più uno meno che volete che sia. Ancor più grave è il silenzio del nostro paese, il quale con l’Azerbaigian ha un importante accordo per l’acquisto di gas naturale, che copre il 10% del fabbisogno nazionale, e rifornisce di armamenti le forze armate del paese. In questo caso bisogna proprio dire che “il Gas non puzza”.
Concludo con una amara nota: lo scorso anno il primo consigliere dell’Ambasciata dell’Azerbaigian  a Roma, volle fare una precisazione ad un nostro articolo (articolo del 22 Aprile 2022 “Solidarietà a due facce”) a cui rispondemmo direi con moderazione e diplomazia. In sintesi nello stesso si prospettava la ricostruzione dei territori, una serie di accordi che avrebbero cambiato il volto dei territori ed un futuro di integrazione, inclusione e pace. Con l’esodo avviatosi da qualche giorno debbo dire che tutto ciò che era stato detto erano belle parole, solo belle parole. Ma d’altronde gli interessi erano altri, riprendere i territori annesi e “normalizzare l’area”. Infatti così è stato soprattutto la normalizzazione dell’area attraverso un esodo.