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Capua – Placito Capuano 3a edizione: inaugurazione del cippo commemorativo del Placito di Capua

Capua (di Armando Cappelli) – Oggi, a Capua, presso la chiesa di S. Salvatore a Corte, si è tenuta la terza edizione de “Il Placito Capuano” e l’inaugurazione del suo cippo commemorativo. Ospite d’onore il prof. Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca. L’iniziativa è stata realizzata dal Touring club d’intesa con l’Accademia della Crusca e con il dipartimento di lettere e beni culturali dell’università della Campania Luigi Vanvitelli. Presenti autorità politiche, religiose ed istituzionali, provincia di Frosinone, rappresentanti della regione Sicilia e rappresentanti dei comuni di Sessa Aurunca e Teano. Il Placito Capuano è il primo documento scritto, in italiano volgare, su pergamena, tra il 960 e il 963, ed è una sentenza emessa dal giudice che riguarda una controversia tra i monaci Benedettini ed un piccolo feudatario riguardo la proprietà di alcuni terreni tra Capua, Sessa Aurunca e Teano. Probabilmente scritto in volgare e non in latino perché leggendolo tutti ne avrebbero compreso il significato. Il documento non è una semplice sentenza emessa da un giudice, ma segna il momento storico ed il luogo in cui nacque la lingua italiana, 1057 anni or sono; infatti Capua è consacrata come “città della lingua italiana”. Splendida cerimonia di apertura con corteo, musica e balli medievali a cui è seguito il convegno e premiazioni per il 1° concorso provinciale “Il placito Capuano” e lo scoprimento del cippo commemorativo. Il più famoso passaggio del Placito è: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti“, che in italiano moderno significa “So che quelle terre, entro quei confini di cui si parla, li ha posseduti per trent’anni l’abbazia di San Benedetto”. I Benedettini, il cui monastero era stato distrutto nell’885 dai Saraceni, in quegli anni vollero riappropiarsi di ciò che avevano perso, ma pare che in realtà ne abbiano approfittato per riprendersi più di quanto gli era stato tolto. Infatti sembra che le terre in questione fossero di proprietà del feudatario Rodelgrimo d’Aquino, a cui furono tolte dal giudice Arechisi in favore dei monaci Benedettini grazie alla “falsa” testimonianza di tre contadini che affermarono che per trenta anni i terreni erano stati di proprietà dei Benedettini ed erano stati illecitamente occupati dal feudatario a seguito della distruzione del’abbazia di Montecassino.

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