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Reggio Emilia – Antibiotici e soda nel Parmigiano e Grana falsi. 27 indagati. Ma non è Caserta, quindi tutti zitti!

Reggio Emilia – «Utilizzavano latte per la produzione di formaggio atto a divenire Parmigiano Reggiano Dop e Grana Padano Dop contenente residui di antibiotici, aflatossine, nonché immettevano nella panna della soda (idrossido di Sodio), detenendo tali prodotti per la loro successiva commercializzazione». 
Non accade in una qualsiasi Terra del Sud Italia (come afferma anche la teoria di Lombroso popolata di “imbroglioni e truffatori), accade, invece,  nel cuore dell’opulento e perfettissimo Nord dove tutto è bello ed efficiente. Si delinea uno scandalo che sembra essere stato copiato, paro paro, dalla “tremenda” Terra Casertana, dove “improvvisati” e “spregiudicati” imprenditori producono mozzarella “velenosa”. Sembra tutto simile, tranne un piccolo dettaglio: lo scandalo del Grana e del Parmigiano non riesce a trovare il giusto “lancio” mediatico. Sembra quasi non interessare nessuno. Nemmeno quei tanti giornalisti casertani che sono capaci di lanciarsi sui “guai” della mozzarella, ferocemente. Lo scandalo che sta emergendo su uno dei prodotti più osannati d’Italia mette in chiaro una cosa: gli imbrogli e gli imbroglioni esistono ovunque. Non c’è differenza fra Nord e Sud, fra colore della pelle o colore politico. C’è solo un comune denominatore: i soldi. 

La storia dello scandalo:
Le pesantissime accuse mosse dalla procura di Reggio: c’è anche l’associazione a delinquere perché «Utilizzavano latte per la produzione di formaggio atto a divenire Parmigiano Reggiano Dop e Grana Padano Dop contenente residui di antibiotici, aflatossine, nonché immettevano nella panna della soda (idrossido di Sodio), detenendo tali prodotti per la loro successiva commercializzazione».
Sono pesantissime le accuse mosse dal sostituto procuratore Maria Rita Pantani, a vario titolo e in concorso tra loro, verso i 27 indagati dell’inchiesta che ruota attorno a un presunto giro di formaggio contraffatto.  Iscritti sul registro – a vario titolo – gli ex vertici della ditta con sede in via Galimberti 4, principale esportatore italiano di Parmigiano Reggiano; ma anche dipendenti della ditta, semplici casari e i due rappresentanti dei consorzi di tutela del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano all’epoca dei fatti contestati: Giuseppe Alai e Stefano Berni.
Tra loro, 12 sono accusati di associazione a delinquere «gravitante intorno alla Nuova Castelli spa, con società sia nazionali che internazionali a essa collegate», finalizzata a «commettere sul territorio nazionale e internazionale i reati di frode nell’esercizio del commercio, contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, commercio di sostanze alimentari nocive ed emissione di fatture per operazioni parzialmente o totalmente inesistenti».
Si tratta di del fondatore reggiano della Nuova Castelli, Dante Bigi, già presidente del cda, dell’ex amministratore delegato Luigi Fici, di Firenze, e del mantovano Mario Panazza, amministratore di società riconducibili alla Nuova Castelli, tra cui la Casearia Castelli, con sede sempre in via Galimberti, Casearia Tricolore e Casearia Gentile di Rolo; sempre accusati di associazione a delinquere: Romano Conti (impiegato amministrativo Nuova Castelli), Alberto Morlini (60enne di Rubiera, espertizzatore della Nuova Castelli), Francesco Ghidorsi (mantovano di 53 anni, funzionario del Consorzio Grana Padano), Marco Soldati (piacentino di 58 anni, tecnico del consorzio Grana Padano), Angelo Maria Strazzanti (47 anni, di Rubiera, mediatore libero professionista della Nuova Castelli), Tommaso Cibrario (47enne di Imperia, direttore amministrativo e consigliere Nuova Castelli), Sergio Raglio (cremonese di 57 anni, procuratore della Nuova Castelli), Giuliano Menozzi (57enne di Cavriago, direttore amministrativo della Nuova Castelli) e Livio Bondavalli (53enne di Correggio, responsabile vendite esteri Nuova Castelli).
Il pm parla di «fraudolenta produzione e commercializzazione, nonché contraffazione di ingenti quantitativi di formaggio Parmigiano Reggiano Dop, mediante la miscelazione con prodotti similari, appositamente creati utilizzando le specifiche di caseificazione adottate per il prodotto originale». Non solo: «Utilizzo di fermenti lattici anche in numero superiore a quello consentito nella produzione di Grana Padano Dop e vietati nella produzione del formaggio Parmigiano Reggiano Dop, nonché utilizzo di latte con residui di antibiotici e presenza superiore ai limiti di aflatossine (altamente tossiche e ritenute essere tra le sostanze più cancerogene esistenti)». E ancora: «Ottenimento della certificazione Dop ‘Grana padano’ per ingenti quantitativi di formaggio risultati sprovvisti dei requisiti previsti dal disciplinare di produzione (forme gonfie, orlate o vuote alla cosiddetta battitura ‘a martello’), procedendo comunque nella illegittima marchiatura a fuoco al fine di trarre un ingiusto profitto dalla lavorazione di dette forme e dalla successiva commercializzazione come grattugiato o porzionato».
Nelle carte dell’accusa si parla poi di «false dichiarazioni delle giacenze, false registrazioni tali da evidenziare incongruenze tra giacenze fisiche e contabili; fatturazione di buste di fermenti cosiddetti ‘starter o startup’ alla controllata società lattiero-casearia ungherese Magyar Sajt Kft utilizzate invece in Italia nella produzione di formaggio Grana Padano Dop e ciò al solo scopo di eludere i controlli». Infine, «registrazione di false fatture facendo così coincidere la contabilità inerente i citati fermenti per poter giustificarne l’impiego sul quantitativo regolamentato dal disciplinare di produzione del Grana Padano, nonché ingannando quanti erano tenuti a valutarne la correttezza».
Tra i reati contestati, a vario titolo per le diverse posizioni, anche: adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, colposa messa in commercio di sostanze alimentari nocive, frode nell’esercizio del commercio e contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, falsa perizia o interpretazione (per «aver indotto in errore il perito del gip nel corso dell’incidente probatorio fornendo falsa fattura contabile di fermenti lattici di rinforzo»), falsità materiale e in scrittura privata, abuso d’ufficio e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale.
Per queste contestazioni, iscritti sul registro degli indagati a vario titolo: Massimo Bertoni (responsabile qualità della Nuova Castelli), Claudia Cadonici (addetta alla qualità Nuova Castelli), Artico Iori (responsabile di produzione Nuova Castelli), Paola Alessandra Maria Pozzi (addetta alla qualità Casearia Castelli srl), Giuseppe Omassi (casaro della Casearia Castelli srl), Villiam Chiari (casaro del caseificio di San Polo di Torrile, Parma), Simone Paraluppi (casaro della Casearia Tricolore), Emily Anselmi (responsabile di laboratorio della Casearia Tricolore), Davide Vietta (casaro di Tizzano Val Parma), Giuseppe Alai (ex presidente del consorzio Parmigiano Reggiano), Stefano Berni (direttore del consorzio Grana Padano), Paolo Guerriero (legale rappresentante della Alce International srl), Federico Bruno (legale rappresentante Alce srl), Vanessa e Luca Bonazzi (soci dell’omonimo laboratorio di analisi di Novellara).
(tratto da IlRestodelCarlino)

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