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CASERTA – Camorra, ecco il “trucco” dei Casalesi per imperare

CASERTA – “Atteggiarsi a soggetto economico che, operando sul mercato legale, ma avvalendosi, rispetto agli altri operatori, della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, nello stesso si impone e, assai spesso, acquisisce una posizione dominante se non monopolistica” .
Lo scrivono i magistrati dell’Antimafia all’interno dell’ordinanza per l’arresto dell’imprenditore Claudio Schiavone. Dai primi anni ’80, una vastissima area che ha come epicentro il casertano, è controllata ed egemonizzata dalla organizzazione criminale casalese e che, nel corso degli anni, il sodalizio ha manifestato la capacità di gestire, sia in prima persona che attraverso soggetti consapevoli e compiacenti, quando non organici all’associazione, molte delle principali attività economiche svolte sul territorio controllato. In altri termini ciò che ha caratterizzato e caratterizza ancora l’organizzazione casalese, e che distingue tale sodalizio da una qualsiasi feroce banda criminale – sia pure in grado di controllare, attraverso l’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà il territorio di propria competenza è la sua capacità di compiere, non solo, e, si direbbe, non tanto, le attività illecite, quali le estorsioni, l’usura, il traffico di stupefacenti, il gioco d’azzardo, ecc, tipicamente e, per loro natura, dominio riservato della criminalità organizzata, quanto piuttosto quella di atteggiarsi a soggetto economico che, operando sul mercato legale, ma avvalendosi, rispetto agli altri operatori, della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, nello stesso si impone e, assai spesso, acquisisce una posizione dominante se non monopolistica.
L’Antimafia – attraverso l’ordinanza di arresto dell’imprenditore Claudio Schiavone – traccia un quadro preciso delle varie attività criminali che portavano fiumi di denaro nelle casse della malavita organizzata. Agricoltura, industria, cave e calcestruzzo sono settori in cui la camorra recita un ruolo di primo piano. I magistrati nel tracciare la mappa dell’attività criminale hanno utilizzato anche precedenti sentenze nelle quali venivano prese in considerazione anche le attività imprenditoriali riferibili direttamente al sodalizio perché svolte da imprenditori (edili e non) organicamente inseriti nell’organizzazione. Si tratta di soggetti che ricercavano ed ottenevano (grazie alla sua forza di intimidazione) la sponsorizzazione del sodalizio per avere appalti, lavori edili, commesse pubbliche e private, e che riversavano, nelle casse del clan, parte significativa dei relativi proventi. In particolare,
ex multis, venivano in considerazione le posizioni di Carmine Schiavone (cugino di Sandokan Francesco Schiavone e, in ordine di tempo, primo collaboratore di giustizia dell’area Casertana), titolare di una importante azienda produttrice di calcestruzzo, la BASCHI, che, peraltro, fino al 1988 era stata di proprietà di Antonio Bardellino e di Pasquale Pirolo; Statuto Rodolfo, Reccia Stefano, De Rosa Nicola, Iorio Gaetano, titolari di importanti impianti di produzione del calcestruzzo sempre nella provincia Casertana; Darione Gaetano che operava nel settore edile.

L’agricoltura (Aima):
Schiavone Saverio Paolo nel settore della contribuzione Aima e dell’allevamento di bestiame ( tutti i capi del sodalizio, peraltro, da Schiavone Francesco a Francesco Bidognetti , risultavano titolari di immense tenute con annessi allevamenti di centinaia di capi di bufale); Dante Passarelli che era titolare, per importanza, del quinto zuccherificio italiano “la IPAM” oltre che di tenute agricole, supermercati, ecc. Sempre la sentenza, infine, prendeva in esame il caso della contribuzione Aima in agricoltura e quello della distribuzione degli inerti e del calcestruzzo su tutti i cantieri pubblici e privati delle zone da loro controllate come esempio di gestione monopolistica di comparti economici, e cioè come caso nel quale era la stessa organizzazione che, sostituendosi alle leggi del libero mercato, regolava direttamente chiedeva ed offerta. In particolare, nel settore Aima, ciò avveniva attraverso la gestione delle cooperative agricole e dei centri di raccolta della frutta eccedentaria che veniva inviata al macero, da parte di uomini che erano la diretta emanazione del sodalizio che stabilivano chi, dove e quanto potesse conferire (anche e soprattutto in modo simulato) i prodotti al macero (i cd. scamazzi ). Si trattava di gestire contributi comunitari per quantità di prodotto (si ripete, spesso fasulle) che potevano raggiungevare 112.000.000 di chili all’anno (circa due chili per ogni abitante della penisola). Circa le indagini, le O.C.C. e le sentenze non ancora definitive che hanno ulteriormente ricostruito le attività del clan casalese,

Cave:
Nel settore degli inerti e del calcestruzzo attraverso la costituzione, ideata dallo stesso Bardellino, di consorzi (COVIN E CEDIC) cui aderivano tutti i produttori Casertani, gestiti da fiduciari del sodalizio, nei quali tutti i titolari delle cave e degli impianti di produzione dovevano conferire tutto il loro prodotto che poi veniva rivenduto dal consorzio stesso (e cioè dai casalesi, che trattenevano, per la loro cassa comune, una quota dei proventi) a tutti gli imprenditori che avevano cantieri, di qualsiasi specie e natura, nell’intero Casertano.

 

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