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CASERTA . Declino di imprese e uso sfrenato dei contratti a progetto: il caso Cepu Caserta

CASERTA (di Nando Silvestri) –  Le imprese italiane che negli ultimi 13 anni si sono adagiate e crogiolate su presunti allori di fatturato ed effimere rendite di posizione, senza cogliere di fatto i mutamenti del mercato, oggi, pagano conti molto salati per leggerezze e disattenzioni commesse. Lo screanzato criterio della massimizzazione indiscriminata dei profitti, aggravato dai privilegi erroneamente attribuiti a clientele, “rami secchi” e costi fissi, nel lungo periodo, non premia chi rifiuta di allinearsi alle accorte profezie manageriali protese alla razionalizzazione delle risorse. La miopia di imprenditori “padroncini” nei confronti del mutamento della domanda di beni e servizi e delle sue componenti conduce inesorabilmente al tracollo aziendale. Ed è così che strategiche variabili economiche e produttive, come il lavoro, iniziano a muoversi disordinatamente, ovvero senza una logica plausibile, invece di essere orientate a presupposti di premialità e fidelizzazione. Una delle maggiori disfunzioni delle imprese produttrici di beni e servizi è stata in Italia e, soprattutto in Campania, l’adozione spropositata ed anomala dei contratti a progetto. Nati col proposito di soppiantare i vecchi COCOCO, i contratti di collaborazione a progetto sono divenuti nell’ultimo decennio il mantra prevalente delle imprese locali, grazie al quale è stato possibile, solo algebricamente ridurre il numero dei disoccupati. Il contratto a progetto si è rivelato ben presto uno strumento predisposto dallo Stato per chiudere entrambi gli occhi, sulle proprie responsabilità in ordine al mondo del lavoro. In ogni caso il contratto a progetto si è tradotto in uno strumento sfrenato che, spesso, ha sottratto dignità ai lavoratori, specie se volenterosi, giovani e vulnerabili. Questi ultimi, indotti ad accettare supinamente le imposizioni tipiche del contratto di lavoro subordinato, pur essendo formalmente meri “collaboratori a progetto”, di fatto, venivano defraudati di qualunque considerazione umana e di ogni creanza giuridica. Lo sanno bene docenti e professionisti che hanno lavorato presso il Cepu di Caserta, i quali lamentano  di aver insegnato per anni, senza poter fruire della libertà e dell’autonomia necessarie, prescritte dall’ordinamento all’interno dei contratti a progetto che li legavano al noto istituto di preparazione universitaria. Essi lamentano di non aver mai potuto organizzare autonomamente i compiti lavorativi loro assegnati, a causa di invasive pretese aziendali e asfittiche ingerenze provenienti dalle maestranze Cepu. A parere dei tecnici, le succitate pressioni risultano più genericamente allineate alle spasmodiche ansie di lucro che agli intenti di efficacia ed efficienza produttiva. In ogni caso, alcuni ex tutor Cepu di Caserta si lagnano del fatto che le ingombranti influenze subite per anni da dirigenti e coordinatori Cepu, oltre a non incontrare riscontri all’interno dei contratti a progetto, ridimensionavano drasticamente le proprie attitudini, sacrificando peraltro la propria autodeterminazione, formalmente tutelata dalla legge. Lo dimostrano pile di scartoffie e documenti probatori tracimanti in possesso di allievi e docenti. I contratti a progetto dispongono, inoltre, che la scelta del “progetto” venga sempre anteposta a quella del lavoratore che deve condurlo a compimento concretizzandone gli obiettivi. Diversamente da quanto accadeva al Cepu di Caserta, dove l’ordine delle suddette scelte veniva puntualmente invertito, essendo i tutor scelti aprioristicamente. Come se si trattasse di lavoratori subordinati condannati ad uno stato di inferiorità economica e morale cronica. Saranno state queste asimmetrie cristallizzatesi nel tempo e nello spazio, unitamente ad altre scelte aziendali sconsiderate a spingere l’istituto a chiedere l’ammissione alla nota procedura concorsuale del concordato preventivo? Chi può dirlo! Intanto alcuni ex docenti Cepu che hanno documentato i succitati disagi, da creditori feriti nella tasca e nella dignità, hanno deciso di raccontare le proprie delusioni alla Procura della Repubblica, alle Forze dell’Ordine e alla Direzione Provinciale del Lavoro.

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