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Luigi Orefice e Rosario Orefice

SESSA AURUNCA / CELLOLE – Delitto Orefice, per i giudici è stato ucciso dal fratello: condannato all’ergastolo

Sessa Aurunca / Cellole – Delitto Rosario Orefice, per i giudici è stato il fratello. Il tribunale di primo grado ha condanto Luigi Orefice all’ergastolo.  Nel 2014 i resti della vittima furono ritrovati e la procura avanzò una tesi che, inizialmente, sembrò assurda e scioccante. Ma che invece ha spinto i giudici a condannare il fratello. L’imputato era in aula, in compagnia della moglie, e alla lettura del dispositivo ha reagito in maniera composta. Non andrà in carcere: aspetterà da uomo libero il processo in Appello.

Due mani diverse sezionarono il cadavere:
Due mani diverse hanno sezionato, per mezzo di un flessibile, il cadavere di Rosario Orefice: a sostenerlo è la nuova perizia di parte, commissionata dalla difesa di Luigi Orefice, il fratello maggiore della vittima, oggi unico imputato per il suo omicidio. Secondo quanto riferito, pochi giorni fa, in aula dal medico legale di Pieve a Nievole, Giuliano Piliero, le ossa del trentottene scomparso nel marzo del 2010 (e il cui cadavere fu rinvenuto un anno fa, in un bidone, all’interno dell’azienda di verniciature di Casalguidi che conduceva assieme al fratello, grazie alla casuale scoperta fatta dai nuovi affittuari dell’immobile), sarebbero state tagliate in più punti in maniera diversa.
«A fronte di parti sezionate in maniera irregolare, con tanto di dentellatura del flessibile lasciata sul rispettivo tessuto cutaneo – ha sottolineato Piliero – ve ne sono altre, come è ad esempio l’osso peronale, in cui possiamo riscontrare un sezionamento perfetto».
La prova, per Piliero, della presenza di due mani diverse che hanno operato sul cadavere prima di inserirlo, immerso in una soluzione di solventi chimici, nel bidone in cui è stato ritrovato: «In alcuni punti – ha continuato il medico legale – si può sì supporre che una stessa mano abbia prima operato in maniera decisa, per poi produrre via via sezionamenti sempre più irregolari; ma in altre la diversa inclinazione del taglio lascerebbe piuttosto ipotizzare la presenza di una seconda mano coinvolta nell’operazione di sezionamento del cadavere».
Il successivo inserimento del fusto, contenente i resti di Rosario Orefice, nello spazio presente fra la canna fumaria del forno di verniciatura e la parete esterna del capannone, sarebbe stato poi effettuato, secondo Piliero, per mezzo di un camion-gru dotato di un braccio meccanico: «Sulla base del bidone – ha riferito nella sua relazione, alla quale non ha voluto assistere, per non imbattersi nelle immagini dell’autopsia, l’imputato Luigi Orefice – sono stati rinvenuti dei tessuti utilizzati per rendere maggiormente stabile la base del fusto. Non credo, per il suo peso – ha aggiunto Piliero – che sia stato lì posizionato calpestando il fragile tetto del forno di verniciatura: a inserirlo nell’intercapedine potrebbero essere state due persone, o anche una soltanto, purché capace di ben manovrare il braccio meccanico». Piliero ha poi fornito anche una propria versione della dinamica dell’uccisione di Orefice. «La frattura della sua parete toracica anteriore – ha detto – lascerebbe supporre un suo schiacciamento verso terra, operato dall’assassino, che è montato con le ginocchia sulla schiena dalla vittima, da dove poi l’ha finita sparando un colpo di proiettile, come lascia ipotizzare la presenza del foro rinvenuto sul collo del maglione addosso alla vittima». Un’ipotesi quindi piuttosto lontana da quella avanzata dal medico legale della procura che aveva ipotizzato un’immobilizzazione della vittima (precedente al colpo di grazia con un proiettile) per mezzo dei pali del muletto, di cui l’ex Italverniciature era dotata all’interno del suo capannone.

La Storia:
È un uomo tranquillo Rosario Orefice. Serio, responsabile, rispettoso, dicono di lui. Uno stile di vita sobrio, pensa solo al lavoro. D’altra parte è per il lavoro che, dieci anni prima, da disoccupato, ha lasciato il suo paese, Sessa Aurunca, nella provincia di Caserta. Prima Firenze, poi Pistoia. Insomma, nessun vizio, non frequenta locali, vive in una piccola mansarda di 30 metri quadrati, ha un’auto scassata che spesso lo lascia a piedi perché non ha i soldi per ripararla. E a Pistoia, Rosario, 38 anni, non ha nemmeno amici. L’unica persona con cui spesso si telefona e che qualche volta va a trovare è una vecchia compagna d’infanzia, che abita a Bologna. In città le uniche sue relazioni sociali sono con i parenti: un cugino suo omonimo e il fratello maggiore Luigi, che in Toscana invece era arrivato all’età di sei anni, affidato dai genitori alle cure di una zia. È nella piccola azienda artigianale di Luigi che Rosario ha trovato lavoro. Una verniciatura industriale, a Casalguidi, nel comune di Serravalle Pistoiese. Tutti i mesi Luigi riceve dal fratello un regolare stipendio, anche se è lui stesso, di fatto, a guidare l’attività. Però non può intestarsela perchè nel 2001 è stato interdetto per un fallimento. E allora da quell’anno l’ha intestata al fratello Rosario. Lui aveva accettato, ma adesso è proprio quel sì a scombussolare la sua vita tranquilla. Negli ultimi mesi Rosario è sempre più preoccupato. L’azienda va male, i debiti si accumulano, e sono debiti a suo nome: Equitalia esige 250.000 euro per tasse non pagate. Rosario è disperato, confida alla sua amica di Bologna, le liti col fratello Luigi sono sempre più frequenti: vuole uscire dall’azienda ma ne vuole uscire pulito.

La scomparsa. E all’improvviso Rosario Orefice sparisce nel nulla. È il 30 aprile 2010. A denunciarne la scomparsa, anzi, l’allontanamento volontario, è, una settimana dopo, il fratello Luigi, oggi 45enne. Proprio colui che, venerdì scorso, il gup del tribunale di Pistoia ha rinviato a giudizio davanti alla Corte d’assise: l’accusa è quella di omicidio premeditato, di aver ucciso Rosario e di averne fatto sparire il cadavere. Un classico esempio di processo indiziario quello che si aprirà il 3 dicembre a Firenze. Niente cadavere, niente arma del delitto, ma una montagna di “gravi indizi di colpevolezza”. Procura e investigatori della Squadra mobile sono certi della colpevolezza di Luigi Orefice: ha ucciso per i soldi, per non dover ripagare tutti quei debiti, aumentati di altri 120mila euro negli ultimi mesi, che gravavano sulle spalle del fratello. Una convinzione maturata man mano che le indagini sulla scomparsa di Rosario andavano avanti.

La denuncia. Rosario Orefice svanisce il 30 aprile di tre anni fa. Così dice il fratello Luigi, il 7 maggio successivo, quando si presenta alla polizia. Si dice preoccupato, Rosario sarebbe dovuto rientrare al lavoro il 2 maggio. Dice che il fratello gli aveva manifestato l’intenzione di trascorrere il ponte del Primo Maggio a Bologna, dalla sua amica. Non sa che quell’amica, in realtà, da mesi si è trasferita in un’altra città del nord. E all’inizio non lo sanno nemmeno i poliziotti, che credono di trovarsi davanti ad uno dei tanti casi di persone scomparse. Tant’è che il caso finisce anche in televisione, a “Chi l’ha visto?”. Una, due, tre volte. La trasmissione televisiva invia a Pistoia una troupe. È lo stesso Luigi, nel dicembre successivo, a guidare gli inviati sui luoghi frequentati dal fratello, a raccontare davanti alle telecamere dell’ultima volta che lo ha incontrato. La Rai va anche cinquecento chilometri più a sud, a Cellole, la piccola frazione dove vivono i genitori, per testimoniare l’angoscia della madre Gaetana.

I sospetti. Ma sono passati quasi otto mesi da quando Rosario non ha dato più notizie di sé. Mesi in cui i poliziotti della Squadra mobile non sono rimasti con le mani in mano. Al capo degli investigatori, il vicequestore aggiunto Antonio Fusco, qualcosa non quadra fin dall’inizio, ritiene le dichiarazioni di Luigi contraddittorie rispetto a ciò che gli dicono altre persone, a ciò che gli suggeriscono gli elementi che via via emergono scavando nella vita dei due fratelli. È convinto che Luigi Orefice si comporti come se sapesse con certezza che il fratello non tornerà mai più: getta via alcuni suoi documenti bancari, gli disdice l’affitto di casa, smette di pagargli i contributi… Le carte vengono messe definitivamente in tavola quando la polizia si presenta all’azienda di Casalguidi e comincia a scavare lì attorno alla ricerca del cadavere di Rosario, della pistola che lo avrebbe ucciso. Ma la terra restituisce solo il corpo di un cane sepolto là da anni.

Il processo. Gli inquirenti non si danno però per vinti. Tanto che il pm titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore Francesco Sottosanti, chiede per tre volte l’arresto di Luigi Orefice: per due volte il gip del tribunale gli nega la custodia cautelare in carcere, la terza è il tribunale del riesame a dirgli no. Ma le sue certezze non vacillano e chiede il rinvio a giudizio per omicidio, che arriva venerdì mattina al termine dell’udienza preliminare. A tre anni e mezzo da quando il giallo della scomparsa di Rosario Orefice ha avuto inizio. Le ipotesi. Fin qui la cronaca. Ora le ipotesi. Secondo il pm, il movente che avrebbe spinto Luigi Orefice ad uccidere il fratello sarebbe di natura economica. Come detto, quando scompare nel nulla Rosario Orefice è solo di fatto il titolare della “Italverniciatura” di Casalguidi, tutta la gestione è in mano a Luigi. L’attività, nel tempo, accumula però debiti con l’erario per circa 250mila euro, dei quali, legalmente, è responsabile Rosario. Da qui le liti che costellano negli ultimi tempi il rapporto tra i due fratelli. Ad un certo punto Luigi propone a Rosario di chiudere la ditta per fondarne una nuova a nome del proprio figlio, ma il fratello non accetta, proprio perché quei debiti rimarrebbero sulle sue spalle: firmerà solo a debito estinto. Luigi allora concorda un piano di rientro con Equitalia, per un pagamento a rate mensili. Ma nel contempo architetta una truffa ai danni del fratello attraverso i due conti correnti intestati alla ditta. Presentando via via in banca fatture fasulle per lavori mai eseguiti a varie aziende, riesce a farsi anticipare e ad intascare nel tempo, attraverso il meccanismo degli anticipi sulle ricevute bancarie, circa 120.000 euro.

Il movente. Ed ecco qui il movente: la prima ricevuta bancaria arriva in scadenza proprio il 30 aprile 2010, giorno della scomparsa di Rosario Orefice che, nel momento in cui le banche lo chiameranno per contestargli i mancati versamenti, scoprirà ciò che il fratello ha fatto. Ed oggi gli inquirenti sono convinti che Luigi abbia premeditato l’omicidio del fratello. Anche in forza della testimonianza di una giovane rumena a cui l’imputato aveva confidato quel suo progetto.

La difesa. Luigi Orefice, all’uscita dall’aula  ha ribadito la propria innocenza. «Non ho ucciso mio fratello, perché avrei dovuto ucciderlo? I soldi nell’azienda ce li mettevo io, i clienti reano miei: se avessi voluto aprire un’altra azienda a nome di mio figlio avrei potuto farlo in ogni momento».

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