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CARINOLA – Santa Maria in Foro Claudio: uno dei patrimoni nascosti della provincia di Caserta

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CARINOLA  (di Adele Iasimone) –  I patrimoni nascosti della provincia di Caserta sono molteplici, negati alla conoscenza per diversi motivi (organizzazione, interessi, possibilità).  Ho il piacere di portarvi nella chiesa di santa Maria in Foro Claudio, situata nella frazione di Ventaroli (luogo natio di Matilde Serao), nel comune di Carinola, in provincia di Caserta.  Il paese è situato lungo il percorso della via Appia, la regina viarum e lungo l’asse della via Longobardorum che portava alla chiesa di san Michele sul Gargano e, quindi, meta di pellegrinaggio.  Chiamata Episcopio per essere stata sede vescovile fino al 1099, la basilica di origine paleocristiana (V-VI sec) è sempre chiusa, tranne in occasione di cerimonie o funzioni. L’aspetto esteriore è tipico delle basiliche a capanna, la cui austerità e semplicità sono interrotte da un doppio ordine di bifore in alto e un portale d’ingresso con lunetta rinascimentale, il cui disegno è solo intuibile (è stata derubata nel 2007).  Non mi soffermo sulla qualità architettonica e il contesto in cui si sviluppa la chiesa; mi limiterò solo a dire che il nome “Foro Claudio”, deriva dalla considerazione che in quel luogo in epoca romana ci fosse stato un foro, appunto Claudio. I materiali di spoglio della chiesa e i resti architettonici esterni sono chiaramente romani, ma non ci sono studi ad hoc e analisi che confermano di cosa si tratti (si dibatte tra foro e terme, vista la presenza delle acque).

Varcata la soglia, ci si trova davanti ad uno spettacolo incredibile.

La chiesa, a tre navate e completamente in pietra e tufo (in parte reintegrata perchè versava in condizioni di abbandono fino agli anni ’80), è uno spaccato pittorico della civiltà medievale e le pitture vanno dal XI al XVI secolo.  L’affresco più importante è quello dell’abside, di chiara matrice bizantina, che ricorda le maestranze dell’abate Desiderio che avevano lavorato per l’abbazia di Montecassino .Al centro, nella calotta, vediamo una Madonna col Bambino e due angeli laterali, mentre nella fascia inferiore sono raffigurati i dodici apostoli con un angelo centrale (san Michele Arcangelo). Lo schema è quello dell’abbazia di sant’Angelo in Formis e gli angeli richiamano lo stesso stile. Noto però una resa più “popolare” che dimostra l’adesione ad una pittura che anticiperà le rivoluzioni occidentali del duecento fino a toccare l’apice con Cimabue e Giotto. L’umanità che attraversa queste figure è frutto di quell’ascendenza devozionale e popolare tipica della pittura del XI-XII secolo nel sud

Italia e che risponde di fatto alla funzione di punto di sosta lungo la via di pellegrinaggio.

La scelta di raffigurare Maria e non Cristo in trono (tema più ricorrente e che si ritrova anche nella già citata san Angelo in Formis) a chi entrava in chiesa è un chiaro segno di questo detto sopra. Il tema mariano in questo periodo è al centro di un’indagine iconografica importante e le icone mariane di ascendenza bizantina furono fonte di ispirazione per i pittori dell’epoca.  Le decorazioni nella fascia più in basso e quella più in alto sono dei veri capolavori decorativi: in alto motivi floreali e vegetali; in basso una processione di piccoli elefanti (che richiamano alla funzione di sede vescovile) circondati da trame decorative sottili e finemente rifinite.

Accanto a questa decorazione principe lungo le navate si susseguono lacerti di altri cicli pittorici afferenti ad epoche diverse. La mia attenzione ricade sui resti di un giudizio universale sulla parete di destra (guardando verso l’abside) che richiama schemi giotteschi  impianti architettonici ormai ampiamente acquisiti e che già aprono alla modernità. Sono datati tra il XV e XVI secolo, ma non sono di facile interpretazione poiché non sono affatto leggibili. Si riconosce una figura mostruosa in basso (il Diavolo?) e una serie di mestieri sul lato opposto (altro tema caro al medioevo e che in queste terre assume un valore ancora più alto in merito alla storia delle corporazioni).

Nella navata sinistra vi sono una serie di figure di santi di coevi al Giudizio Universale, ma la qualità e la  resa pittorica non sono all’altezza di quelli dell’epoca precedente.  Il tema iconografico prevalente, tuttavia, è quello della Madonna col Bambino, che si ripete per ben cinque volte, quasi come se fossero un ex-voto alle pareti. Segnalo anche che sulla navata di sinistra vi era la raffigurazione della Madonna della Libera, un tema devozionale che è molto venerato nei paesi circostanti come ben sappiamo. L’affresco è perduto dopo secoli di incuria e neanche il restauro è riuscito a recuperarlo.

Qual è la ragione di questo costante riproporsi? Sappiamo bene che si tratta di un tema comunissimo, soprattutto nei secoli a cui ci riferiamo, ma non conosco molti esempi in cui si ripete con tanta costanza in un unico monumento.  Altro punto da valutare sono i numerosi santi raffigurati, in particolare san Leonardo di Noblac, san Bernardo e san Martino del Massico, altro riferimento alle tradizioni locali.

Ricostruire le vicende storico-artistiche di questo luogo vuol dire far luce su un ciclo pittorico che per qualità non può rimanere nel silenzio e che ci restituisce uno spaccato di storia di una regione che è stata fulcro di numerosi avvenimenti, nonché luogo di scambio, passaggio e commerci. La mia analisi vuole essere uno spunto a focalizzare l’attenzione su questo patrimonio che non va assolutamente messo nel dimenticatoio. Mi chiedo se il comune, gli enti locali e la chiesa siano interessati a lavorare su questo patrimonio.

La cultura ha bisogno di emergere da queste situazioni e far conoscere un territorio che di fatto arranca dal punto di vista della promozione turistica (e non solo) potrebbe essere una via d’uscita.  Ignorare simili patrimoni è gettare via la propria storia. Interrogarsi, invece, su ciò che è stato e capire l’origine e la storia dei nostri territori è un inizio che potrebbe portare lontano.  Io ci sono.

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