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ALIFE – Diocesi, le cadute di stile del vescovo Di Cerbo e dei suoi cortigiani

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ALIFE – Il silenzio è d’oro; la parola è d’argento. In particolare, quando si parla a sproposito, si perde sempre una nuova occasione per stare zitti e si finisce per mostrare una volta in più il vero volto delle persone inclini a cadute di stile. L’editoriale dal titolo “Gioco di squadra”, apparso sul portale ufficiale della diocesi Alife-Caiazzo, ha messo in evidenza, ancora una volta, un aspetto morale fondamentale per comprendere a pieno ciò che è accaduto nelle stanze diocesane in questi ultimi tempi. Soprattutto, ciò che si palesa nuovamente agli occhi dei più è la differenza di stile tra quel prete rispedito in Colombia e loro. Sì, perchè, francamente, viene difficile pensare che il vescovo Valentino Di Cerbo abbia potuto acconsentire che venissero scritte parole così denigratorie e offensive verso un sacerdote. Piuttosto si ha la conferma – ancor più dopo aver avuto un confronto di persona con lo stesso vescovo (uno scambio di opinioni civile ed educato dove ognuno ha espresso il proprio punto di vista) – che il vero marcio sta soprattutto nelle azioni di quei cortigiani al servizio del pastore. Loro sì, gente di parte e senza scrupoli.
Basta dare un’occhiata ad alcuni passaggi  dell’editoriale (che definire allucinanti è un eufemismo) pubblicato dall’organo di comunicazione del vescovo per rendersene conto:  <<Talvolta – e spesso in buona fede – si corre il rischio di esaltare preti che, anche se dotati di buone qualità, “ballano da soli”, fuori dalla comunione diocesana, ignorando le linee programmatiche della Chiesa locale, esaltando sé stessi a discapito dei Confratelli, senza preoccuparsi di aiutarli,  accontentando le richieste della gente senza educarla e incrementando la propria popolarità con iniziative estemporanee ed estranee alle regole della Chiesa. Con questi comportamenti, che non portano ad una comunione più grande, ma alla divisione e all’isolamento delle comunità, tali sacerdoti nuocciono al Popolo di Dio. Infatti, quale crescita nella fede e nella vita cristiana si promuove, celebrando Sacramenti a buon mercato e – persino in minuscole parrocchie – Messe a volontà, solo per accontentare le richieste della gente, rendendo il Sacrificio di Cristo quasi un omaggio ai defunti, più che un’esperienza di incontro con il Signore, che trasforma la vita? Quale incontro con il Mistero di Dio si realizza, inserendo nei riti – in barba alle direttive del Papa e dei Vescovi – elementi folkloristici ed estemporanei, che snaturano lo spirito della Liturgia?  Come si può essere autentici padri nella fede, quando si è preoccupati di apparire soprattutto amiconi e piacevoli convitati?  Come ci si può ritenere legittimamente nella fede della Chiesa, quando di fatto si inducono i fedeli a minimizzare il ruolo del Vescovo, a rifiutare i suoi interventi e, invece di scegliere la via maestra del dialogo e attenersi al “gioco di squadra”,  persino a tollerare che venga diffamato, attraverso  media gestiti da gente senza scrupoli e senza volto?>>
Avete letto bene, è tutto vero, nero su bianco. Pur senza nominarlo, ma il riferimento a don Ovidio del Rio è chiaro, il parroco colombiano viene accusato di aver esaltato se stesso, di nuocere al Popolo di Dio, di aver celebrato a buon mercato, di non essere un autentico padre nella fede. In più, una parrocchia – quella di Totari, naturalmente – viene definita minuscola. Segno evidente di disprezzo. Roba da far tremare i polsi, in pratica. Don Ovidio del Rio, al contrario, prima di lasciare l’Italia per tornare nella sua patria, si rivolgeva al vescovo e al suo popolo con parole diverse. Ringraziava innanzitutto Di Cerbo per averlo mandato a Totari e per avergli permesso di imparare una nuova cultura. Invitava i fedeli a lottare per tenere una chiesa unita, dove poter vivere la fratellanza nella fede. Esortava la sua gente a vivere una chiesa nella quotidianità per non dimenticare il senso della stessa chiesa. “Non dimenticare la chiesa – diceva don Ovidio – non è solo preghiera, ma imparare giorno per giorno a condividere tutto quello che abbiamo, il lavoro, lo studio, la vita spirituale”.
Queste erano le parole pronunciate da don Ovidio. Non occorre un esercizio intellettuale così complicato per notare la differenza di stile e di educazione. Ma come può un organo di comunicazione esprimersi in questo modo? Come può arrivare ad arrogarsi il diritto di misurare la fede di un sacerdote o di accusarlo di nuocere al popolo di Dio? Perchè invece non si dice con onestà intellettuale che don Ovidio del Rio ha convertito chi si professava ateo? O che ha avvicinato alla chiesa di Cristo chi da essa era stato sempre distante? Perchè non si racconta di quando don Ovidio partiva di notte per dare l’estrema unzione a chi aveva appena lasciato la vita terrena (a differenza di chi lo aveva preceduto che al contrario preferiva assistere i vivi e non i morti)? Perchè ci si accanisce contro una comunità che seppur piccola ha fornito un autentico esempio di dignità? Se c’è qualcuno che allontana i fedeli dalla chiesa, perdonateci, non è certamente don Ovidio, ma tutti quei cortigiani che per quattro spicci vendono la loro dignità e continuano a gettare benzina sul fuoco con accuse inconsistenti e meschine nei confronti di chi, ora come ora, non può difendersi. E anche chi dà fiato a queste persone, naturalmente, non fornisce un esempio di misericordia.  Quanto tempo ancora dovrà passare prima che il vescovo intervenga di persona per riportare la dialettica su un livello più caritatevole?
Non avremmo mai voluto intervenire ancora su questa vicenda, ma restare impassibili al cospetto di simili nefandezze e cattiverie era un esercizio troppo complicato anche per noi, additati di essere gente “senza scrupoli e senza volto”. Noi che invece il volto lo mostriamo come abbiamo sempre fatto. Per una semplice ragione: perchè a differenza di quei cortigiani che non fanno altro che deturpare il volto della chiesa, noi siamo uomini liberi. E, soprattutto, non abbiamo padroni cui obbedire. Rispondiamo semplicemente alle nostre coscienze come dovrebbero fare tutti. Pubblichiamo notizie con documenti alla mano. Senza arrogarci il diritto morale di giudicare nessuno. Raccontando solo fatti e non chiacchiere.

Francesco Mantovani

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6 commenti

  1. Caro Francesco – penso che l’articolo lo abbia scritto tu – non hai capito nulla. Il Vescovo ha cercato di dare una lezione di stile e se vuoi di comportamenti ecclesiali corretti a chi in questi ultimi mesi lo ha messo ingiustamente alla gogna, con calunnie e affermazioni degne del codice panale. Invece di prendertela con lui o con presunti cortigiani, cerca di capire come funzionano correttamente le cose per salvare la pace in una comunità che don Ovidio facendo la vittima, e voi scrittori di blog locali pescando nel torbido e nell’ignoranza di povera gente, avete dilaniato. Un prete non può fare di testa sua per anni, disattendendo ripetutamente i richiami del vescovo e diseducando tanta gente (ma di questo non tutti sono in grado di accorgersi), e, quando il vescovo è costretto ad intervenire per garantire la pace e i diritti di tutti (presentando le sue motivazioni al suo corrispettivo, che le ha condivise pienamente), fare “Gesù” crocifisso e perdonare da una croce mediatica che si è costruita lui e solo lui.
    Se non ce la fai a capire le logiche di rispetto e di lealtà che la chiesa chiede ai suoi preti, evita di pronunciarti e non arrogarti diritti superiori al papa, canonizzando i viventi. So che chi ti paga apprezza questo tuo travisare le cose, che fa audience. Ma ci dovrebbe essere anche per te un’etica. E poi un po’ di umiltà e di confronto serio può far bene anche ai giornalisti promettenti come te.
    Con stima e auguri.

  2. Leggendo l’articolo noto che la chiesa di Alife Caiazzo, fa tutto il contrario di quello che il Ns. Santo Padre tutti i giorni enuncia, povertà, presenza in mezzo alla gente, non essere superiori, ma essere l’ultimo dei fratelli, via i listini dalle chiese (leggevo qualche mese fa che il Vescovo obbligava gli sposi ad offrire il pranzo al prete e sagrestano!!!! altrimenti non si potevano sposare), aiutare i poveri. Essendo il nostro Papa venuto dalla fine del mondo e vivendo tutti i giorni a contatto con le persone conosce la vera realtà delle popolazioni, quello che i ns. preti e vescovi non capiscono e non vogliono fare, si ritengono superiori a tutto e tutti, per questo le ns. chiese si stanno spopolando per il loro comportamento poco “religioso”. Poi colorare le funzioni con canti anche se folcloristici non penso che possa danneggiare la ns. religiosità. personalmente sono cattolico praticante perchè credo in Gesu’ Cristo in Dio e non nei preti o vescovi e soprattutto i cardinali, vera macchia della nostra religione.

  3. ” E pur si muove… “, Filippo ( Giordano ) Bruno, … e forse è meglio che mi fermi qui. Anime nere più della tonaca che indossano, la quale, al confronto con le prime, è persino candida di bucato. La verità è una e sempre e solo una: ben presto essa verrà fuori e sarà fatta giustizia… Amen.

  4. Vorrei sapere come questo prete ha speso gli oltre 200mila euro a Ruviano per lavori alla Chiesa. E mi risulta che il Vescovo lo avesse nominato cappellano dell’Ospedale Civile di Piedimonte Matese, percependo un’ulteriore stipendio di 1800 euro mal mese. E fu lui a chiedere d’essere trasferito da Ruviano ad altra parrocchia, è il Vescovo lo accontentò. Ma la gente di Ruviano di questi fatti non ne è a conoscenza. Infatti reclamò con il Vescovo per averlo trasferito. Insomma, bisognerebbe approfondire i fatti.

  5. E approfonditeli questi fatti una volta per tutte! Povero Don Ovidio…
    Com’è facile condannare una persona senza sapere i fatti.
    Se non si ha la certezza di colpevolezza, si ha la presunzione di innocenza.

  6. Voi, preti e Vescovi pensate a come fare bene il vostro lavoro invece di inciuciare contro chi lo ha fatto molto prima riuscendoci meravigliosamente.
    Vergognatevi! Gente come voi dovrebbero essere eliminate.