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SESSA AURUNCA – Rosario è morto: lo certifica il Dna. L’esame conferma l’identità del cadavere ritrovato a Pistoia, unico indagato per l’omicidio resta il fratello Luigi: avrebbe agito per interessi

SESSA AURUNCA –  Rosario Orefice è morto. E’ stato assassinato e fatto a pezzi. La conferma a quella che fino a ieri era soltanto un’ipotesi, anche se assai probabile, è arrivata dal risultato dell’esame del Dna sui campioni prelevati dal cadavere scoperto lo scorso 26 marzo nel capannone di Casalguidi di proprietà del fratello Luigi, già sotto processo in Corte d’assise con l’accusa di omicidio: la sua posizione, alla luce di tale novità, si fa senza dubbio più delicata.
Il profilo genetico isolato dalla polizia scientifica di Roma ha trovato piena corrispondenza con quello dell’artigiano, estratto dallo spazzolino da denti rinvenuto nella sua abitazione poco dopo la sua scomparsa, avvenuta il 30 aprile 2010.Già durante l’autopsia erano emersi concreti elementi che portavano alla conclusione che i resti ritrovati all’interno del bidone metallico in via Pierucciani erano quelli del 38enne svanito nel nulla quattro anni fa.
Infatti, il medico legale aveva rilevato una cicatrice sul torace e altre tracce di un’operazione chirurgica al cuore compatibile con quella alla quale era stato sottoposto Rosario Orefice.
Inoltre, il medico aveva accertato che il cadavere era stato fatto a pezzi con un utensile elettrico, probabilmente una sega o un flessibile, e che a tale operazione, alla luce della precisione con la quale era stata compiuta, potrebbe aver partecipato più di una sola persona, di cui almeno una abituata a maneggiare simili strumenti: da qui l’ipotesi che qualcuno potrebbe aver aiutato l’assassino quantomeno nel far sparire il cadavere.
È stato confermato infine che nel bidone scoperto sopra il forno di verniciatura nel capannone di Casalguidi non sono stati rinvenuti nè la testa nè gli avambracci: chi ha ucciso Rosario Orefice se ne è disfatto in altro modo, nel tentativo di rendere ancor più difficile l’identificazione del cadavere; e per lui, portare fuori dal capannone solo quelle parti anatomiche relativamente piccole, forse dentro una borsa, è stato assai più semplice che trasportare un intero corpo, magari con il rischio di farsi notare da qualcuno .
I risultati degli esami eseguiti sui campioni organici sono stati consegnati ieri mattina nelle mani del pm titolare delle indagini, Claudio Curreli, dai tecnici della polizia scientifica di Roma. Non sono invece ancora arrivati quelli sui campioni della sostanza chimica in cui, all’interno del bidone, il cadavere era stato immerso, probabilmente un solvente acido che, col tempo, avrebbe dovuto dissolvere il corpo di Rosario Orefice se non fosse stato per l’errore commesso dal suo assassino: sigillando il contenitore ha impedito all’ossigeno di innescare la reazione necessaria.
Originario di Sessa Aurunca, paese della provincia di Caserta, Rosario Orefice, da dieci anni in Toscana, prima a Firenze e poi a Pistoia, fu visto per l’ultima volta la mattina del 30 aprile 2010. A tre anni e mezzo dalla scomparsa, il gup del tribunale di Pistoia ha rinviato a giudizio, con l’accusa di omicidio premeditato e soppressione di cadavere il fratello. Contro Luigi Orefice, 45 anni, residente a Pistoia, è già iniziato il processo davanti alla seconda sezione della corte d’Assise.
Un processo per omicidio finora considerato “anomalo”, in quanto, appunto, della presunta vittima, del cadavere, non era mai stata trovata alcuna traccia nel corso delle approfondite e lunghe indagini portate avanti dagli investigatori della Squadra mobile della questura. Ma nonostante ciò, gli inquirenti sono sempre stati certi della colpevolezza di Luigi Orefice.
Il movente che lo avrebbe spinto ad uccidere il fratello sarebbe di natura economica. Rosario Orefice era solo di fatto il titolare della “Italverniciatura” di Casalguidi, a lui intestata per il fatto che Luigi Orefice non poteva per motivi legali. Rosario riceveva infatti dal fratello un regolare stipendio e tutta la gestione era in mano a Luigi.
L’attività, nel tempo, aveva accumulato però debiti con l’erario per circa 250mila euro, di cui, legalmente, era responsabile Rosario. Da qui le liti che avevano costellato negli ultimi tempi il rapporto tra i due fratelli. Luigi aveva proposto a Rosario di chiudere la ditta e fondarne una nuova a nome del proprio figlio, ma il fratello non aveva accettato, proprio perché quei debiti sarebbero rimasti sulle sue spalle: avrebbe firmato solo e debito estinto.
Luigi allora aveva concordato un piano di rientro con Equitalia, per un pagamento a rate mensili. Ma secondo gli inquirenti avrebbe pagato solo la prima rata, mettendo in piedi nel contempo una truffa ai danni del fratello attraverso i due conti correnti intestati alla ditta.
Presentando via via in banca fatture fasulle per lavori mai eseguiti a varie aziende, era riuscito a farsi anticipare e intascare nel tempo, attraverso il meccanismo delle ricevute bancarie, circa 120.000 euro. La prima ricevuta bancaria sarebbe andata in scadenza proprio il 30 aprile 2010, giorno della scomparsa di Rosario Orefice.

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