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Aree interne dimenticata, azione politica superficiale e incapace. L’opportunità del Parco Nazionale del Matese

(di Sandrino Luigi Marra) – La politica definisce Aree Interne le zone d’Italia distanti almeno 20 minuti dai poli di attrazione, cioè i centri dove l’offerta dei servizi di cittadinanza ovvero scuola, assistenza sanitaria e trasporto ferroviario soddisfano gli standard del livello minimo indispensabile. Tale condizione in Italia riguarda 4.261 Comuni pari al 53% del totale, collocati in un territorio vasto oltre il 60% della superficie nazionale e dove, oggi risiedono 13,5 milioni di abitanti, pari al 23% della popolazione italiana. Tali centri sono poi stati suddivisi a loro volta in base alla distanza necessaria a raggiungere i poli: intermedi (20-40) minuti, periferici (40-75 minuti) e ultra periferici (più di 75 minuti).
Questo insieme di luoghi e comunità è oggetto, o perlomeno era oggetto di una strategia di coesione territoriale, secondo il trattato europeo di Lisbona del 2009 e di cui si occupa nel nostro paese la SNAI, la Strategia nazionale per le Aree interne. Questa dovrebbe promuovere progetti di sviluppo e interventi sui servizi rimettendo al centro delle scelte politiche e di spesa di questa parte d’ Italia, cercando di frenare il suo rapido ed inesorabile spopolamento e farne il motore di uno sviluppo economico diverso, più equilibrato e sostenibile, restituendo piena cittadinanza a chi vive in queste zone evitando la migrazione, offrendo null’altro che tre diritti fondamentali stabiliti dalla Costituzione: salute, lavoro e istruzione. La politica dovrebbe tenere in conto un concetto ben strutturato ovvero “La desertificazione umana delle aree interne ha un duplice costo, a monte la svalorizzazione di ecosistemi vitali e il declassamento civile; a valle l’abbassamento delle condizioni di sicurezza e della qualità della vita. Gli enormi costi economici, sociali ambientali dell’abbandono delle Aree interne sono davanti ai nostri occhi. Alluvioni e frane rovinose, degrado ambientale, desertificazione antropica e produttiva di ampi territori” dal volume L’Italia lontana. Una politica delle aree interne. È il disconoscimento dell’importanza delle aree interne la causa prima della marginalizzazione di queste, è tra i responsabili la classe politica, ed in particolare quella locale la quale per decenni ha svenduto ai poteri esterni il potere elettivo locale. È questo modo di operare che ha poi creato quelle faglie territoriali e addentellati di rabbia sociale, di sentimenti anti-istituzionale e rancori diffusi nelle nostre aree, le quali di fatto si sentono dei soggetti che non contano. In altri articoli abbiamo già descritto a grandi linee le possibilità per il rilancio delle aree interne come le nostre, e per realizzarle bisogna saper aggirare la burocrazia facendo squadra, squadra territoriale in simbiosi tra le varie realtà comunali. Se la mancanza di lavoro può essere sopperita in parte attraverso anche dall’intraprendenza individuale, sono i servizi di cura e prevenzione che hanno la necessità della simbiosi politica del territorio e dove occorrono fondi, dirigenti capaci e politici capaci. Esempi virtuosi da prendere ad esempio nel vasto delle aree marginali ce ne sono parecchi, ed hanno dimostrato che per arginare il declino della sanità bisogna fare squadra ed integrare i servizi sanitari e sociosanitari, trasferendo l’offerta dall’ospedale al territorio o anche a casa del paziente. E sono esempi virtuosi e non certo del Nord del paese che si sono impegnati facendo leva politica e sociale su nuovi modelli di medicina territoriale, attribuendo ai piccoli comuni nuove funzioni alle farmacie e alla rete dei medici di base, su servizi sanitari mobili, sull’assistenza domiciliare integrata e telemedicina. La cultura, l’identità dei luoghi, gli usi i costumi, sociali ed anche alimentari sono una delle chiavi che possono dare respiro e far partire altro e possono essere elementi di ricettività, di ristorazione, di momenti di conoscenza ed aggregazione. Si è spesso snobbato sagre e feste patronali, eppure nell’ambito demoetnoantropologico queste sono un elemento importantissimo di identità. Ed intorno a questo è possibile costruire economia e nelle nostre aree non mancano virtuosi esempi. Ed il dovere morale, sociale della politica è dare spinta ulteriore a tali elementi, “costringere” le istituzioni regionali a investire, a fornire quella base monetaria per far partire gli eventi, farli rinascere, dare visibilità locale ed extralocale. Difendere e appoggiare quella parte di cultura “lavorativa” del territorio, la pastorizia, gli allevamenti di particolari specie (solo per citare degli esempi la pecora lauticada, il maiale nero casertano, la coltivazione del grano tipo il Senatore Cappelli, la coltivazione delle ciliegie amarene, dei gelsi, delle varietà di meleed altro ancora), la difesa del prezzo del latte e degli allevamenti bovini e della produzione casearia. Ma anche l’incremento della produttività vinicola, della produzione di olio e della creazione di consorzi locali di area possono essere volano economico. Così come il lavoro in smart working che significa il poter vivere le aree interne permettendo soprattutto ai lavoratori del terzo settore il poter vivere o tornare a vivere nei luoghi di origine. Ed infine il diritto all’istruzione, poter fare fortemente leva sull’istituzione scolastica nella conservazione delle piccole scuole, e la leva politica deve essere fatta dalle istituzioni politiche territoriali da quei Deputati del territorio che prendano a carico le singole piccole realtà, visitando i luoghi recandosi ad osservare e capire. Deputare solo alle amministrazioni comunali la conservazione delle piccole scuole, significa semplicemente far perdere tempo, poiché a ben poco può un comune se il governo delle scuole è del Provveditorato Provinciale. La necessità per le aree interne di avere un turn over dei docenti ridotto quanto più possibile, determinare le assegnazioni di insegnanti di ruolo, spingendo verso i locali affinchè più giovani affiancati a docenti di età elevata. E lo SNAI puntava anche a questo “ investire una fetta delle risorse in ore di formazione per i docenti che decidono di trasferirsi e in didattica laboratoriale ed esperienziale per avvicinare la scuola alle tradizioni locali perché questa diventi fucina di memoria della comunità”. Oggi per le aree del Sannio Matese una opportunità di cambiamento esiste ed è quel Parco Nazionale del Matese che potrà essere il nome del nuovo corso economico dell’area del Matese. Ed è a mio avviso l’ora delle responsabilità, ma anche per la popolazione il momento di fare leva avendo di fatto la leva per poter chiedere a forte voce alla politica dei luoghi impegno serio. Oggi può avere la forza di mandare via chi da fuori giunge a vendere fumo, chi dall’interno ci svende a coloro che nel territorio ci vengono esclusivamente per “farci” visita in campagna elettorale, di sfiduciare coloro che a rappresentarci alle Camere fanno tutto tranne rappresentarci. Il logo oggi di Parco Nazionale ci permette di “pretendere” ciò che occorre e ci occorre, e lo possiamo pretendere in virtù anche dello spopolamento dei luoghi dovuto a decenni di mancata attenzione, di mancati investimenti, ad incapacità di protezione del territorio, delle genti, spesso mancanze da parte di quelle figure elette dal territorio che del territorio ne hanno fatto solo ed esclusivamente la propria carriera.  

 

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