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CALVI RISORTA – L’Impero economico di D’Innocenzo, l’accusa: evasi oltre 20milioni di euro. Riciclaggio, evasione e pizzo, arrestati Benedetto e Diocrate D’Innocenzo

CALVI RISORTA –  Ecco come l’imprenditore D’Innocenzo costruiva il suo impero: prima aiutava le aziende in crisi, poi le acquisiva e chi non era d’accordo doveva “adeguarsi”.  Minacce a mano armata, fori di proiettile sulle portiere delle macchine, intimidazioni attuate mostrando la pistola infilata nella cinta dei pantaloni. Benedetto D’Innocenzo, 57 anni, imprenditore originario di Calvi Risorta ma da molti anni residente a Firenze, esercitava il suo potere nel nome di Antonio Bardellino, storico boss della camorra casertana, amico di vecchia data con il quale fu anche arrestato a metà degli anni ‘80. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Firenze, in collaborazione con la Guardia di Finanza di Formia, hanno consentito di appurare che attorno a lui si muoveva un vero e proprio sistema criminale attivo tra Toscana, Campania e Molise, dotato di collegamenti, più o meno diretti, con le famiglie camorristiche Bardellino, Ligata e Russo. In tutto sono trentuno gli indagati, sette le misure cautelari emesse dal gip di Firenze Antonio Angelo Pezzuti, su richiesta del pm Pietro Suchan. Nove i milioni di euro di beni sequestrati su richiesta della Dda fiorentina. In manette è finita l’intera famiglia D’Innocenzo e alcuni presunti fiancheggiatori. Partendo dai colletti bianchi.  Su tutti, il commercialista Francesco Brocco, 58 anni di Formia, titolare di un noto studio a Scauri, ora agli arresti domiciliari. Secondo gli inquirenti, Brocco era la mente contabile del gruppo capitanato da D’Innocenzo. Per anni il suo studio avrebbe fatto da incubatrice a generazioni di società cartiere, create ad arte per emettere fatture su operazioni inesistenti. E’ lui, secondo le carte dell’inchiesta, ad orchestrare l’imponente evasione fiscale che dal 2002 ad oggi avrebbe portato il gruppo ad evadere circa 20 milioni di euro di tasse. Il sistema è quello ormai classico delle maxi-truffe fiscali: le società cartiere emettono fatture false a beneficio di società operanti nel settore tessile che, attraverso la sistematica contabilizzazione, generano fittizi crediti d’imposta, impiegati poi per il pagamento dei tributi attraverso l’istituto della <compensazione>.  Il meccanismo consentiva al gruppo capitanato da D’Innocenzo di gestire <a costo zero> una serie di aziende, per le quali veniva omesso il versamento delle imposte che gravitano sul lavoro. Le società restavano in piedi per un massimo due-tre anni, trascorsi i quali venivano messe in liquidazione e sostituite da altrettanti contenitori societari, ugualmente intestati a prestanome che, per il <disturbo>, incassavano un compenso mensile variabile da 800 a 1500 euro.

Due indagini convergenti

calvi risorta. “Due inchieste diverse che convergono sullo stesso obiettivo. Da una parte la Squadra Mobile di Firenze che nel 2009 raccolse la denuncia di un imprenditore di Castelfiorentino taglieggiato da un gruppo di estorsori campani. Dall’altra la Guardia di Finanza del gruppo di Formia, insospettita dall’esito delle verifiche fiscali operate a carico di un gruppo di società con sede legale a Minturno, presso lo studio Brocco, e base operativa a Prato. Società strane (operanti nel settore tessile o in servizi e pubblicità), tutte intestate a parenti e conoscenti del ragioniere formiano, cinque dei quali indagati a piedi libero per intestazione fittizia di beni. Le <cartiere> fatturavano operazioni inesistenti, ricorrendo in via sistematica allo strumento della compensazione, tramite il quale, di fatto, lasciavano che lo Stato pagasse i tributi al posto loro. Le Fiamme Gialle al comando del maggiore Luca Brioschi appresero a quel punto dell’altra inchiesta, condotta dalla Squadra Mobile di Firenze e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia toscana. Si scoprì che alcune delle <cartiere> vendevano le fatture false a società compiacenti, monetizzando il 10% dell’importo. Una mega evasione che fruttò al gruppo una cifra attorno ai 20 milioni di euro. Soldi finiti nelle casse dei D’Innocenzo che poi pensarono a trasferirli all’estero. Tra i 31 indagati, non a caso, ci sono anche due funzionari di banca, uno dei quali operante nel Principato di Monaco. Se la Mobile di Firenze si è occupata delle misure personali, la Finanza di Formia ha pensato a mettere sotto chiave il patrimonio del gruppo. Tra i nove milioni di euro sottoposti a sequestro preventivo ci sono anche le quote delle società con sede legale presso lo studio del commercialista che è stato perquisito contestualmente all’arresto di Brocco. Colletti bianchi e criminalità organizzata. Oltre allo storico legame col boss defunto Antonio Bardellino, secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, Benedetto D’Innocenzo vantava collegamenti con i clan Ligato e Russo dei casalesi. La Dda aveva chiesto l’incriminazione per associazione mafiosa. Il gip Pezzuti ha concesso solo il vincolo associativo, aggravato però dall’articolo 7, quello che attribuisce la modalità mafiosa ai reati commessi nell’ambito del sodalizio.

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