TEVEROLA – Tra le contestazioni anche false relazioni di buona condotta per il boss, quando era sotto sorveglianza speciale, la mancata notifica delle misure cautelari e precautelari e anche il favoreggiamento della fuga e della latitanza per i suoi “benefattori”. Le vicende finite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti vanno dal 2015 al 2023. Agli indagati vengono contestati i reati di corruzione continuata in concorso aggravata dall’avere favorito una organizzazione malavitosa.
Secondo quanto emerso dall’indagine della Dda di Napoli al militare, all’epoca dei fatti contestati in servizio alla Tenenza di Arzano, sarebbero stati versati un migliaio di euro al mese, periodicamente somme di denaro tra 2mila e 3mila euro, e favori come interventi di manutenzione e di carrozzeria per le sue auto e per quelle dei suoi familiari.
Un carabiniere, Giuseppe Improta, 58enne di Teverola, è stato arrestato dai colleghi di Arzano nell’ambito di un’inchiesta che ha portato all’esecuzione di alcune ordinanze di custodia cautelare che hanno colpito il clan della 167. Le indagini sono state condotte dai suoi stessi colleghi, che gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Insieme ad Improta, 58enne luogotenente dei carabinieri, sono stati arrestati Giuseppe e Mariano Monfregolo, e Aldo Bianco.
Coinvolti anche due fratelli collaboratori di giustizia, per questi fatti indagati a piede libero. Si tratta di persone ritenute dagli investigatori ai vertici del clan della 167 di Arzano che avrebbero versato al carabiniere un mensile da circa mille euro e ulteriori extra in occasione di rivelazioni di segreti d’ufficio su indagini come l’imminenza delle notifiche delle misure cautelari per agevolare la fuga degli indagati oppure l’installazione di telecamere.

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