(di Nicole Cusano) Quando Maria è entrata nel mio studio aveva 18 anni, il volto scavato, spento e grigiastro. I suoi capelli sottili a nasconderle gli occhi tristi e le lacrime che le rigavano il viso. Ogni parola interrotta da un singhiozzo, la voce tremante, il corpo esile e fragile si perdeva nel jeans. L’accompagnò sua madre, che stringendomi la mano mi affidava quella “giovane anima persa” sperando di avere risposte e rassicurazioni. Osservai le mani di Maria, le nocche rotte dai denti per indursi il vomito, l’umore disilluso di chi è venuta forzatamente, ma già sa che nessuno potrà comprendere la sua sofferenza, i polsi nascosti da una felpa tre taglie più grandi, lasciava intravedere i segni dei graffi che si infliggeva quando non era in grado di tollerare l’angoscia. Perché il suo dolore mentale aveva invaso tutta la sua fisicità. Inizia così il nostro viaggio con l’anoressia, con la depressione, con i pensieri ossessivi, con le assenze a scuola, con l’isolamento, con le strategie di controllo… “La mia battaglia con l’anoressia non è iniziata da un giorno all’altro. È stata una lenta discesa verso l’oscurità, alimentata da un senso di inadeguatezza che mi accompagnava sin da bambina. Ho sempre cercato di essere perfetta agli occhi degli altri. E, man mano che crescevo, mi sembrava che l’unico modo per raggiungere la perfezione fosse avere un corpo sottile, che corrispondesse agli standard di bellezza imposti dalla società”. Maria, inizialmente aveva cominciato a sputare il cibo che le preparava la madre nel tovagliolo, per poi buttarlo di nascosto, facendole credere che aveva finito il piatto. Poi la situazione iniziò a peggiorare addirittura arrivando a mangiare una mela al giorno “la dividevo a spicchi e la mangiavo nell’arco della giornata”. il controllo sul cibo ed il body checking (pizzicotti sull’addome per valutare il grasso corporeo, la bilancia, l’osservazione allo specchio) diventarono la sua forma di controllo di se stessa e del mondo. “Il controllo sul cibo divenne la mia unica forma di potere in un mondo che mi sembrava fuori controllo. Ogni giorno il mio corpo diventava sempre più debole, ma la mente mi spingeva a non fermarmi mai. Non riuscivo a vedere la mia fragilità, né la sofferenza che stavo infliggendo a me stessa. Tutto ciò che vedevo era una ragazza che stava finalmente “prendendo il controllo”. Iniziò a ritirarsi da ogni occasione sociale, dagli amici, dai familiari, sola con i suoi fantasmi nella sua cameretta, la sua confort zone. Quell’anno Maria non fu ammessa all’esame di stato. “L’anoressia è una malattia che non si manifesta solo fisicamente, ma anche emotivamente e psicologicamente. Mi sentivo costantemente sola e distante da chiunque cercasse di aiutarmi. La paura di essere giudicata, la vergogna per non riuscire a “essere abbastanza”, mi isolavano sempre di più, a scuola non riuscivo più ad andare, avevo gli attacchi di panico ogni mattina. Non avrei avuto il coraggio di farmi più interrogare o di farmi vedere dai miei compagni” La sua mente era intrappolata in un circolo vizioso di paura, perfezione e autodistruzione. Ogni volta che mangiava, si sentiva in colpa. Ogni volta che si guardava allo specchio, la percezione di sé era distorta. Si vedeva sempre troppo grassa, anche quando il suo corpo era ormai così fragile che ogni passo le costava fatica. Il suo dimagrimento diventò sempre più grave e più lei scompariva più diventava visibile agli occhi dei suoi genitori, che decisero di imporle un percorso terapeutico. “Il punto di rottura è arrivato quando il mio corpo ha cominciato a lanciarmi segnali di allarme. I miei capelli sono iniziati a cadere, mi sentivo stanca tutto il tempo e la mia pelle era grigia e spenta, avevo sempre mal di testa ed erano ormai mesi che il ciclo non mi tornava. L’inizio della guarigione è stato il momento in cui ho deciso di farmi aiutare”. La strada verso la guarigione è lunga e complessa. Maria ha intrapreso un percorso con un’equipe multidisciplinare che ha previsto l’intervento dello psichiatra, del nutrizionista e del ginecologo. “Ho iniziato un percorso di psicoterapia, che mi ha aiutato a comprendere le radici emotive del mio disturbo alimentare. La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) è stata fondamentale nel mio trattamento. Questo approccio mi ha permesso di identificare e cambiare i pensieri disfunzionali che alimentavano il mio comportamento autolesionista. La terapia mi ha aiutato a riconoscere i miei meccanismi di coping distruttivi e a sviluppare strategie più sane per affrontare lo stress, l’ansia e la tristezza”. Maria ha imparato a ristrutturare il suo modo di pensare riguardo al corpo, al cibo e alla perfezione. Ho sviluppato una nuova visione di se stessa, più sana e realistica. Il supporto della sua famiglia e degli amici è stato cruciale, regalandole la forza di continuare il suo cammino verso la guarigione. Le sessioni di terapia familiare hanno aiutato anche i genitori a comprendere meglio la malattia e a essere più presenti nel suo percorso. “Guardandomi indietro, posso dire che la mia lotta contro l’anoressia non è finita, ma sono sulla strada giusta. La guarigione non è un processo lineare, ma fatto di alti e bassi. La mia speranza è che chiunque stia affrontando questo disturbo sappia che non è solo e che esistono soluzioni e aiuti concreti. L’importante è chiedere aiuto e dare il permesso a se stessi di guarire. La vita che desideriamo è possibile, basta avere la forza di percorrere il cammino, un passo alla volta. Ah! Mi sono diplomata con 100!” Affrontare l’anoressia è una lotta che richiede tempo, impegno e supporto. Tuttavia, con il giusto aiuto, è possibile uscire dal tunnel dell’autosabotaggio e intraprendere un percorso di guarigione. La chiave è avere il coraggio di riconoscere il problema e chiedere aiuto, affrontare i propri demoni e comprendere che la vera forza risiede nell’accettazione di sé.
Se ti riconosci in questa storia, non esitare a chiedere aiuto ad uno specialista!