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Pietramelara – Spaccio di droga, bocciato il ricorso: 4 indagati restano ai domiciliari

Pietramelara – I giudici del riesame hanno respinto il ricorso presentato dai quattro indagati. Chiedevo la loro liberazione respingendo ogni accusa, precisando di non aver mai spacciato ma solo fatto uso di stupefacenti. I giudici del Tribunale della Libertà di Napoli non hanno creduto a questa tesi confermando quanto stabilito nella misura cautelare. Armando De Rosa (detto Ciccillo), i coniugi Bruno Muoio e Veronica Quadara, Marco Ricci, tutti difesi dall’avvocato Michele Mozzi, restano ai domiciliari. L’operazione, oltre ai quattro indagati di Pietramelara ha coinvolto anche Enzo Rinaldi e Giuseppe Testa di Napoli, anche loro finiti ai domiciliari, e ritenuti i fornitori del gruppo di Pietramelara. L’operazione nasce da indagini partite circa due anni fa e condotte in sinergia dai carabinieri della stazione di Vairano Scalo (guidata dal maresciallo Palazzo) e da quella di Pietramelara (allora guidata dal maresciallo Silvestri).
Secondo l’accusa gestivano nel piccolo comune dell’Alto Casertano, collocato ai piedi del Montemaggiore, linea di confine fra l’Agro Caleno il Caiatino e l’Alto Casertano, due piazze di spaccio diventate in breve tempo punti di riferimento per i consumatori provenienti da tutto l’Alto-Casertano ed anche dal vicino basso Molise. Le due piazze sono state smantellate dai carabinieri che hanno arrestato e posto ai domiciliari sei persone su ordine del Gip di Santa Maria Capua Vetere; tre degli indagati – è emerso – percepivano il reddito di cittadinanza.
In manette sono finite due coniugi 40enni (lui era percettore di reddito), che spacciavano hashish e coca a casa, nonostante avessero tre figli minori, per le vie cittadine previo appuntamento telefonico o a domicilio; la loro “piazza”, hanno accertato i carabinieri della Compagnia di Capua, era piuttosto florida e serviva consumatori residenti nei vicini comuni di Presenzano, Pietravairano, Vairano Patenora e la frazione Scalo. Un ruolo di primo piano lo svolgeva la donna, che si occupava oltre che di vendere, anche dell’approvvigionamento della droga; era lei a recarsi a Napoli per rifornirsi o a incontrare i due fornitori, entrambi arrestati, in posti ritenuti sicuri per evitare controlli, in particolare nei pressi del casello dell’A1 di Caianello o lungo la statale Appia nel comune di Pastorano. I due “grossisti” risiedevano nel quartiere napoletano di Secondigliano, e uno percepiva il reddito. L’altra piazza era gestita da due uomini, entrambi arrestati, tra cui un appartenente ad una famiglia di nomadi stanziali da anni residente a Pietramelara, che percepiva il sussidio al reddito.

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