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foto di repertorio

LA PIAGA – Il bracconaggio: un mercato molto fiorente che distrugge l’ecosistema

Esiste un prezziario orientativo dei “prodotti” di queste attività illegali: un verzellino da 25 a 50 euro, un verdone da 25 a 50 euro, un cardellino fino a 50 euro. Un piccolo passeriforme vivo, come allodole o tordi, se appena catturato va d 50 a 100 euro ciascuno, invece se già da tempo è ambientato alla cattività, quindi con minor rischio di non sopravvivere, il prezzo va da 100 fino ad alcune migliaia di euro a seconda anche delle abilità canore. L’affitto mensile in Campania di un bunker illegale con relativo stagno artificiale per sparare ai migratori da 7.500 a 15.000 euro; la modifica o la realizzazione di un’arma vietata per effettuare bracconaggio, dotata di silenziatore e puntatore laser, da 2.000 a 5.000 euro; un certificato Cites riciclato da un esemplare di rapace morto viene pagato anche 2.000 euro”. Sono questi i dati analizzati da Legambiente e presentati in occasione del trentennale della legge, la n.157/1992, che tutela la fauna selvatica omeoterma (mammiferi e uccelli) e disciplina l’attività venatoria. L’unica legge, sottolinea l’associazione, che, “sull’intero territorio nazionale, tutela in minima parte la fauna selvatica” e “figlia del compromesso seguito alla bruciante sconfitta referendaria del 1990 che chiedeva l’abolizione della caccia in Italia, ma che ad oggi a distanza di 30 anni risulta ormai datata e non più rispondente alle urgenze connesse con la crisi della biodiversità”.
I dati sviscerati da Legambiente sono contenuti nel report “La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia” in cui fa un’analisi accurata sulla legge in questione e sulla sua genesi, ma anche sull’attività e la popolazione venatoria – che dal 1992, anno di approvazione della legge quadro, si è più che dimezzata passando da un milione di praticanti a circa 500.000 ma, soprattutto, è drasticamente invecchiata andando da oltre il 60% dei praticanti con meno di 40 anni di età all’attuale 9% dei praticanti nella medesima fascia età – e sulla piaga del bracconaggio. “Di fronte a questo quadro – commenta Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania – ribadiamo l’urgenza di modificare, adeguandola alle urgenti crisi di oggi, la legge quadro per tutelare tutte le specie animali selvatiche, inserendo anche i delitti per gli illeciti contro gli animali selvatici nel codice penale, regolamentando la coesistenza con le tante attività umane che quotidianamente hanno relazione con la fauna selvatica; prevedendo inoltre adeguati strumenti e risorse affinché ciò si realizzi, compreso il rafforzamento del sistema sanitario veterinario per la prevenzione di zoonosi e patologie animali che possano avere pesanti ricadute sociali”. L’associazione ambientalista, oltre a chiedere un aggiornamento della legge quadro, ribadisce inoltre l’importanza di: ripensare la pianificazione del territorio agro-silvo-pastorale per la tutela della biodiversità e di tutte le specie animali selvatiche; impedire che sia una sola categoria sociale a “guidare” le scelte di gestione della fauna selvatica omeoterma; rafforzare, in personale, strumenti e risorse, e specializzare il personale degli organi inquirenti; approntare un sistema pubblico trasparente, digitale, regolarmente alimentato e accessibile a tutti di pubblicazione dei dati sulla gestione della fauna selvatica. “In Campania dal 2009 al 2020, anni a cui si riferiscono i dati analizzati e ricevuti dalle forze di polizia, sono stati riscontrati 2937 illeciti contro la fauna selvatica, con 2202 sequestri e l’arresto di 18 persone. Maglia nera per la Provincia di Napoli con 1297 illeciti, 1136 sequestri e 13 persone arrestate, segue Salerno con 569 illeciti, 352 sequestri e 1 persona arrestata; in Provincia di Caserta sono stati 535 gli illeciti con 381 sequestri e 3 arresti”. Non si salvano “le coste pontino-campane e le piccole isole nelle province di Latina, Caserta e Napoli, dove vengono uccisi migliaia di uccelli migratori.

 

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