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Mignano Montelungo – La campagna elettorale è impegnativa, dimenticata Michelina: uccisa a 27 anni per difendere la sua Terra

Mignano Montelungo Nessuna commemorazione per ricordare la partigiana di Caspoli. Michelina De Cesare, nata il 28 Ottobre 1841 a Mignano, in Terra di Lavoro  in una famiglia poverissima e che, rimasta vedova del primo marito, si sposò con Francesco Guerra nel 1862 o 1863, un soldato borbonico che, come tanti altri, non volle tradire il giuramento di soldato e passare in un esercito nemico, capo di una banda di cui faceva parte anche Michelina e dove, pur essendo donna, ricopriva un ruolo di comando, come dimostrano le armi da lei possedute: una pistola e un fucile a due colpi. Visto che l’Esercito Italiano non riusciva a sconfiggere i briganti, che controllavano vasti territori, rischiando seriamente di essere ricacciato, fu di nuovo intrapresa un’operazione di corruzione attraverso denaro e privilegi, lo stesso metodo che portò al tradimento di vari ufficiali, soldati e politici borbonici nel 1860/1861. A tradire Michelina Di Cesare fu il cugino Giovanni, che portava il suo stesso cognome e condusse i soldati al loro nascondiglio. Lì furono sorpresi nel sonno e uccisi Francesco Guerra e Michelina, e i loro corpi furono denudati, fotografati e messi in mostra nella piazza principale della città. Dai documenti fotografici si può guardare il corpo di Michelina con evidenti tumefazioni e segni di percosse, tanto da poter essere ipotizzabile che ella sia stata ammazzata dopo aver subìto delle torture.
“Aveva un cuore di donna e della donna, per quel che poteva in quella vita randagia, assecondava qualche vanità. Le piaceva anche farsi fotografare. Portava con sé una foto che la ritraeva seduta su uno sgabello, con indosso l’abito tradizionale della sua terra, il fucile in una mano, il revolver nell’altra e un lungo pugnale alla cintola, ma con un viso che, pur serio, non aveva niente di barbaro o feroce, il viso grazioso e fresco di una ventenne che sembrava stesse recitando la parte della brigantessa al teatro della parrocchia. E ne aveva anche un’altra, scattata nella stessa occasione e con lo stesso abito, in cui se ne stava in piedi con un avambraccio appoggiato alla canna del fucile, l’altra mano su un fianco e il corpo atteggiato a sciantosa”.
Queste le parole di Silvino Gonzato tratte da “Briganti romantici” che ci danno un breve ma significativo ritratto di Michelina Di Cesare, uccisa giovanissima e fatta passare dalla storia (scritta dal vincitore) per brigante. Michelina, invece, fu semplicemente una donna morta per inseguire la sua libertà e quella del suo popolo.
Lo scorso 30 agosto ricorreva l’anniversario dell’assassinio di Michelina Di Cesare e di quanti si ribellarono all’“invasore” dopo l’Unità d’Italia. Nessuno ha pensato a Michelina De Cesare, nella sua Caspoli nessuna commemorazione, niente di niente. Forse la campagna elettorale è troppo impegnativa per ricordare un’eroina perdente, uccisa due volte: dall’invasore e dalle bugie storiche che ogni giorno ne infangano la memoria.
Quella che Michelina combatté, e purtroppo perse, fu una guerra autentica, per cinque anni i piemontesi o sardo-garibaldini, come li definivano sprezzantemente gli insorti, agirono al Sud con mentalità precoloniale. Prese corpo una specie di guerra civile tra italiani, che si protrasse fino al 1866. I metodi repressivi adottati dall’esercito al Sud suscitarono nel Parlamento italiano e all’estero critiche e condanne fino a far emergere poi precise accuse di aver compiuto, ante litteram, i primi crimini di guerra o crimini contro l’umanità”. Da razzisti e delinquenti quali erano, i piemontesi invasori avevano peso gusto ad ammazzare chiunque non si allineava. Ammazzarono così tanti meridionali che anche a Torino rimasero nauseati e bloccarono le stragi. Tutto nascosto dalla storia ufficiale.  Se la storia avesse preso una piega differente, Pontelandolfo, Casalduni e gli altri trenta paesi rasi al suolo dalle fiamme dei piemontesi porterebbero, in prima fila, i loro gonfaloni, gonfi di orgoglio e di medaglie, e meriterebbero gli onori che, per altre circostanze e in altri contesti, sono attribuiti a Marzabotto e alle vittime del nazismo.

 

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