PIGNATARO MAGGIORE (di Bartolo Mercone) – Pignataro definito da qualcuno comune fiorente in realtà è un paese che appassisce. Un paese appassito come l’albero di Natale che giace in piazza in attesa forse del Ferragosto. La dinamica demografica è negativa. Dopo mezzo secolo il paese conta meno di 6000 abitanti. Il rapporto tra giovani e persone anziane di 1 a 2. Un giovane per due persone anziane. Negli ultimi vent’anni si sono abbassate le saracinesche di tutte le sezioni e i circoli dei partiti. Tante associazioni hanno chiuso la porta. È di questi giorni la notizia della prossima chiusura del circolo Unione, uno storico sodalizio attivo in Piazza Umberto da 95 anni. Senza partiti, movimenti e con poche associazioni attive sul territorio il capitale sociale si svaluta. Il “capitale social” che fiorisce sui social impoverisce ancora di più la vita sociale di una comunità, che proprio nel capitale sociale ha il suo vantaggio competitivo. Una classe dirigente selezionata attraverso i like sui social difficilmente è in grado di interpretare la complessità della realtà, e ancora meno attrezzata per guidare fenomeni complessi. Il paese non si salva con il cemento e con una narrazione idilliaca. Occorre mettere in campo un progetto che sia politico, culturale e sociale. Basta con l’aritmetica elettorale buona solo ad assicurare la poltrona ai soliti noti. Lentamente muore chi non cambia. Pignataro lentamente sta morendo perché si cambia tutto in campagna elettorale per non cambiare nulla tra una campagna elettorale e l’altra. Per rianimare il paese occorre accettare la sfida del cambiamento, e mettere in lockdwon i “gattopardi”.
