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SESSA AURUNCA – Giovane deportato dai nazisti:  due anni di lavori, fame e botte: per lo Stato italiano non vale nulla. Giulio morto senza giustizia

SESSA AURUNCA (di Carmine Di Resta) – Fu catturato e deportato dai nazisti quando aveva appena 20 anni. Per due anni fu costretto ai lavori forzati, stenti, sacrifici, fame e violenze. Tornato in patria fece domanda per essere risarcito dal Governo Italiano che  – per  “sommo riconoscimento” – non gli ha mai riconosciuto nulla.  Così ad ogni celebrazione del giorno della memoria Giulio Di Resta voleva dimenticare tutto, anche il grave torto subito dalla sua Patria. E’ morto senza giustizia.
Il racconto è fatto, pochi mesi prima della sua morte, dal novantenne  Giulio che nel settembre del 1943  aveva appena vent’anni. Si trovava nel suo paese nativo,  Fontanaradina, insieme al padre Carmine e trasportavano su un carretto derrate alimentari quando furono catturati dai tedeschi e portati vicino la frazione Li Paoli, in un posto chiamato tutt’oggi Sipe. Inizia così il suo  racconto di due anni di prigionia. Il padre più anziano fu rilasciato e lui insieme ad altri amici  ebbero la sfortuna di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, ma  in seguito però ebbe la forza e la fortuna di sopportare il calvario della deportazione in Germania, della fame nei campi di concentramento, dei lavori forzati in fabbrica e dell’avventuroso viaggio di ritorno.  Si tratta di un racconto drammatico, poiché vengono messi in evidenza gli aspetti dolorosi della guerra, ma anche i momenti della vita di gruppo, i brevi istanti d’amore vagheggiati , le storie d’amicizia vecchie e nuove che forse sono stati i veri motori della forza di sopravvivenza. Tre giorni nel rifugio della Sipe e poi sul camion fu trasferito alla stazione ferroviaria di Frosinone.
“In ogni vagone vi erano 45 prigionieri ci fu data una scatoletta ed un pezzo di pane e come bestie abbiamo viaggiato tre giorni e tre notti ”. Furono fatti scendere nel campo di concentramento  di Memmingen nell’alta Bavaria. “Eravamo sempre controllati e si mangiava quando ce ne davano; l’acqua per lavarci ci dicevano era calda ed invece era sempre ghiacciata”. Poco cibo e la mattina andavano in un posto dove i camion scaricavano i rifiuti; si scavava con le mani e le bucce patate erano diventate un  piatto prelibato. Giulio ha raccontato l’aneddoto della gallina.” Trovai una gallina morta che emanava un odore sgradevole. La portai nella  baracca e tutti mi guardarono storto,  la misi a bollire in una vecchia casseruola  ed iniziò ad espandersi un profumo che piano piano fece avvicinare i miei commilitoni al posto di cottura. Iniziò un baraonda tra di noi  ed io non potetti assaggiare neanche un pezzo della gallina, loro malgrado tutto, lasciarono solo le ossa”.   Il giorno erano smistati nei campi a zappare il terreno,  nelle cave a fare i muratori e la sera insieme a tanti francesi, serbi, americani, polacchi ed altri italiani facevano ritorno  in baracca; una vita questa che durò 16 lunghi mesi. Poi un giorno furono caricati su un treno e fatti scendere  prima a Leipheimer e poi a Kizburg. In quel posto non c’erano neanche le baracche e per procurarsi un giaciglio andavano nel bosco a tagliare la  legna per costruirsi  le baracche; altri otto mesi di lavoro ed una mattina si svegliarono e videro una bandiera bianca sventolare dal campanile di una chiesa.  “Come animali fuggimmo nelle campagne e rimanemmo nascosti per giorni, poi fummo trovati dagli americani e fummo trasferiti  nel campo di Garmisch”. Capirono che la libertà era vicina e gli alleati li condussero a Bolzano e sempre in treno, vagone bestiame,  furono fermati a Forlì.  Dalla città romagnola senza mai fermarsi giunsero  alla stazione di Teano e verso le sei del mattino  il treno rallentò e si buttarono giu. La casa era vicina e a piedi camminarono fino a sera prima di arrivare  nella frazione di  Ponte. Era il mese di luglio del 1945 la notizia della liberazione  si diffuse e da Ponte camminarono fino a  Fontanaradina dove era ad attenderlo il padre Carmine e la mamma Maria; un grande abbraccio che rappresentò la fine di un incubo e della terribile guerra.

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un commento

  1. In questo mondo saturo di ingiustizie sembra normale averci fatto il callo.
    Grazie per avermi fatto emozionare e riflettere, magari anche solo 1 min…