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STORIA E CULTURA – Parco Roccamonfina: percorsi culturali

Percorsi culturali nei sette comuni del “ Parco di Roccamonfina – Foce del Garigliano 

(di Nicolina Moretta)

Galluccio –  Il Comune di Galluccio candidato per le dieci Mete d’Eccellenza d’Italia. Rientra il Comune di Galluccio tra le 100 Mete più ambite d’Italia grazie alle migliori esperienze di sviluppo e per il miglioramento concreto della qualità della vita dei cittadini. Giovedì 16 novembre 2017, alle ore 16.30, presso Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica Italiana, il sindaco Giuseppe Galluccio parteciperà all’evento ‘100 Mete d’Italia’, in tale occasione sarà assegnato il premio ‘Mete d’Italia’ ai 10 Comuni che si saranno contraddistinti tra i cento. Inoltre, sarà realizzato un volume sulle 100 Mete d’Italia, all’interno del quale saranno dedicate due pagine alla descrizioni delle ricchezze del territorio del Comune. Il territorio di Galluccio, adagiato ai piedi del vulcano Monte Santa Croce, ha un paesaggio ricco di verdi colline di castagni, querce secolari e rigogliosi vigneti. Sono quest’ultimi, i vigneti, che hanno fatto sviluppare sul territorio un’economia fiorente con vini di ottima qualità che hanno raccolto riconoscimenti anche internazionali. Non mancano suggestivi agriturismi che possono incantare i visitatori nel gusto, nella bellezza e  per la cortesia. Punto d’incontro di antiche civiltà e scrigno di una storia millenaria. Una realtà autentica e ricca di elementi storici (incanta il borgo di Sipicciano) e naturali peculiari, sita all’interno del Parco di Roccamonfina – Foce del Garigliano. Non mancano feste e sagre per allietare i visitatori. E’ di sabato 11 prossimo la ‘Sagra dell’Uva e del Vino’, che celebra il vino di Galluccio D.O.C., ottenuto dagli antichi vitigni autoctoni falangina (bianco) e aglianico (rosso).

Un percorso, senza la pretesa di essere esaustivi, fra le ricchezze culturali e naturali del Parco, nei sette comuni del “ Parco di Roccamonfina – Foce del Garigliano : Teano, Sessa Aurunca, Roccamonfina, Marzano Appio, Tora e Piccilli, San Clemente e Conca della Campania.

 

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Conca della Campania: Castel Pilano e le Cascate del Rivo, immersi un una natura lussureggiante

Conca della Campania nasce sul versante settentrionale del vulcano spento di Roccamonfina. A partire dal periodo preromano il paese costituì uno snodo strategico fondamentale per le comunicazioni tra Lazio e Campania. I primi abitanti furono Ausoni, seguirono gli Aurunci, sostituiti dalla stirpe dei Sidicini di Teano e dai Romani, in seguito alle Guerre Sannitiche. Conca fu per molto tempo possedimento dell’Abbazia di Montecassino. Il territorio fu bonificato dai Padri Benedettini, i quali si insediarono probabilmente nella rocca denominata Castel Pilano. Il Castello ha ospitato personaggi illustri, tra i quali Torquato Tasso. Di Castel Pilano oggi restano solo alcuni ambienti e torri di pianta quadrata, che dimostrano il passaggio dell’edificio da militare a palazzo rinascimentale. Di grande pregio è la scala, che porta al cortile al piano superiore, dove si trova la Cappella che custodisce la statua in legno della Madonna della Libera del 1600. Verso la parte terminale del paese è situato il Santuario di San Salvatore Seus Santa Maria della Libera. La chiesa di San Pietro Apostolo, risale al XV secolo, a tre navate, è nota per l’interessante pala d’altare raffigurante”L’Ultima Cena”. Nel cuore dell’antico borgo ha inizio il sentiero che conduce alle cascate di Conca. Dopo i suggestivi archi dell’antica casa del mugnaio, un’esplosione di verde introduce alla parte sterrata del tragitto che, attraverso il percorso dei mulini, conduce alla Cascata. Domina il luogo il fiume Rivo di Conca, che nasce alle falde del cratere spento del Vulcano di Roccamonfina, a nord di Conca e si butta in un dirupo di circa 50 metri, dando vita alle spettacolari Cascate di Conca che con grande portata, a secondo della stagione, si rompono fragorosamente sugli affioramenti di roccia vulcanica. Storicamente bisogna ricordare l’atroce strage nazista del ’43, presso la frazione di Orchi. Una terribile rappresaglia mise a soqquadro il paese con incendi e saccheggi. Fu fatto un rastrellamento che continuò anche a Cave. Ne seguirono uccisioni impietose a gruppi di tre persone. Oggi Conca della Campania è parte integrante del Parco di Roccamonfina- Foce del Garigliano, offre scorci incantevoli e natura lussureggiante, i suoi sapori sono quelli delle castagne, noccioline, funghi porcini, ricotta di pecora, maiale nero casertano e castagne sciroppate.

Roccamonfina –  Il Parco di Roccamonfina ha restaurato la neviera della pineta Monte Santa Croce.  Il Parco di Roccamonfina – Foce del Garigliano ha ultimato il restauro, avvenuto con i fondi europei del PSR 2007/13, della neviera della pineta Monte Santa Croce, nel comune di Roccamonfina, sita nei pressi della torre di controllo dell’ENAV. Le neviere per gran parte perfettamente riconoscibili nei boschi, dei territori circostanti Roccamonfina, sono state impiegate fino a qualche decennio fa. Diffuse anche in altre zone dell’Appennino Meridionale. Sono delle vere e proprie costruzioni in materiali locali che venivano riempite di neve fresca e quindi utilizzate come fabbriche di ghiaccio per il periodo estivo. Nelle neviere la raccolta di neve iniziava d’inverno, quando iniziava a nevicare. All’interno delle neviere operavano gli “insaccaneve”. Il congelato veniva tagliato in blocchi con un’accetta e avvolto in sacchi di tela, veniva trasportato sui carretti o a dorso di mulo, durante le ore più fredde della notte, per essere distribuito ai titolari dei depositi delle città più vicine, dai quali si servivano i bottegai. Il ghiaccio acquistato nelle botteghe, veniva impiegato nelle famiglie più abbienti per raffreddare le bevande o curare la febbre, le infiammazioni e le contusioni.

 

Tora e Piccilli.  Le “ Ciampate “ e L’ Oralità conosciuta.

Tora. Piazza Umberto primo. Dico all’uomo seduto su di una sedia di paglia, accostata al muro di una casa a me familiare.

–         Scusate. Da fastidio qua la macchina?

Di contro lui mi chiede i fatti miei:

–         Scusate, ma voi tricate (tardate) molto?

–         No, sto aspettando il vicesindaco, Pasqualina Lepore.

E continuiamo a raccontarci i fatti nostri.

–         Ah! Va bene, perché io sto aspettando il camion che mi porta la mobilia e lo faccio fermare qua.

–         Grazie.

Lui sorride, ancora, come prima.

Anche Pasqualina sorride nel vedermi e nell’abbracciarmi. – Allora Pasqualina, al comune di Tora e Piccilli si è insediata la prima lista di maggioranza amministrativa prevalentemente rosa (3m. 5f.) del Parco di Roccamonfina- Foce del Garigliano.

–         Sì, certo, è stata una bella soddisfazione.

–         Bene. Allora così come eravamo d’accordo, andiamo a vedere queste “ Ciampate ru’ riavvulo. Impronte del diavolo.

Direzione Foresta. Secondo la tradizione orale popolare le impronte degli uomini primitivi, erano le impronte lasciate dal diavolo, passato di là, sulla roccia viva. Giunte al borgo della Foresta, scendiamo dall’auto, e facciamo quattro passi. Sulla nostra destra c’è una chiesetta del 1300; alla nostra sinistra le case attaccate e allineate su una lunga e ampia via che si conclude alla vista con un arco che l’attraversa. Noi passiamo davanti alla chiesetta che ha un timpano triangolare, nel quale è dipinto il volto di un Santo. Proseguiamo dritto, tagliando fuori dalla nostra vista il borgo. Entriamo in una via furella, ombrosa e tortuosa; che alla fine si apre alla luce del giorno su un pendio di roccia viva. L’emozione di vedere le impronte dei nostri progenitori più lontani è grande. Le impronte sono 56. Gli Homo habilis o già erectus erano due e stavano camminando su un genere di lava quasi fredda in superficie, ma faticavano a mantenere l’equilibrio. La lava fluida faceva scivolare i loro piedi, di piccola misura, rendendo le impronte più ampie, lunghe e profonde. Chissà, forse si sono tenuti per mano nel tentativo di sorreggersi l’un l’altro, lungo il difficile cammino. Uno di loro ha anche poggiato la mano nella lava. Forse per sorreggersi o per sorreggere l’altro o l’altra, e l’impronta della mano è rimasta anch’essa incisa nella Storia. Anche se il Paleolitico appartiene alla Preistoria. Sono emozionata di fronte a questo primo incerto cammino preistorico e mi chiedo se anche gli uomini primitivi provassero emozioni nel tempo impiegato a fare il percorso. Solidarietà. Amore. Speranza.   Sicuramente ebbero paura di cadere.

Io e Pasqualina, ritorniamo alla mia macchina. Le chiedo:- Cosa mi dici del riconoscimento che il Comune di Tora e Piccilli ha ricevuto nel 2004, con la Medaglia d’argento al Merito Civile per gli atti di abnegazione compiuti durante il Secondo Conflitto Mondiale?- Sì. I cittadini del Comune di Tora e Piccilli diedero rifugio a famiglie ebree salvandole dalla persecuzione nazista. Una signora della Foresta, madre di sei figli, toglieva il pane alla sua famiglia per dividerlo con la famiglia di ebrei, che aveva nascosto.
Mia zia Maria Montanaro, mi ha raccontato che quando lei era piccola, una famiglia di ebrei con quattro figli, fu ospitata in un cellaio di via Rufi, a Piccilli. Lei racconta che l’ultimo figlio rimasto ha raccontato come furono accolti e aiutati, anche con prodotti alimentari dei campi dei piccillesi. I piccillesi provvedevano a nascondere: grano, fagioli, olio, vino, in cantine e in piccole e basse stallucce prima utilizzate per il ricovero per la notte delle galline; celarono gli ingressi con balle di fieno. E sempre nell’ultimo Conflitto – Mentre guido le sorrido. Stiamo attraversando il Tuoro – Continua tu; voglio sentire se sei preparata. Sorride anch’ella e ricomincia a parlare. – Ho letto che i cittadini del nostro comune a seguito di feroci razzie delle truppe tedesche, molti uomini vennero deportati in Germania e numerosi altri furono destinati a completare i lavori di fortificazione della linea Gustav.- Sì. Ma mia nonna Carmina, mi ebbe raccontato che il suo primo figlio, Aurelio, si trovò con altri uomini sulla camionetta di rastrellamento, già pronta per partire. La camionetta dei tedeschi era già avviata verso la discesa della piazza Ferraria. Un po’ prima del tuo garage. Quando dalla folla paesana attonita, un vecchio gridò:- Fai vedere l’orologio da ferroviere! Così mio zio Aurelio mostrò l’orologio da ferroviere ai tedeschi, e si salvò. Pensa a Renzi che li vuole rottamare, i vecchi! I tedeschi volevano che le ferrovie funzionassero. Poi, non ricordo più chi, forse la mia amica e collega, Marilena, mi ha raccontato che un uomo saltò come un felino dalla camionetta dei tedeschi e con astuzia si nascose sotto la gonna lunga della moglie, e così, si salvò. Anzi, ora che ci penso, Marilena mi ha anche raccontato un’altra storia che ha come protagonista una donna con la gonna lunga. Marilena mi ha raccontato che lei quando era bambina ha sentito raccontare, nella frescura estiva dei portoni di Tora, che i fascisti radunavano tante persone, uomini e donne, li portavano alla stazione di san Felice, li facevano salire su di un treno che li portava a Napoli, forse in piazza Plebiscito. C’era il duce e loro dovevano gridare:- Viva il Duce! Viva il Duce! E la donna con la gonna lunga, mentre gridava , approfittando della gonna lunga face la pipì. Un uomo al suo fianco avvertì gli schizzi a terra, alzò lo sguardo al cielo e chiese:- Sta piovendo? Ride divertita Pasqualina. D’atronde la donna con la gonna lunga, diversamente non avrebbe potuto fare. Non avrebbe saputo trovare un bagno. Così come non avrebbero saputo tornare a Tora senza i fascisti che la portavano alla stazione,di Napoli.

Ora ci troviamo a Tora. Parcheggiamo di nuovo in piazza Umberto primo. Ci dirigiamo verso la Torre Normanna. Costruzione dichiarata nel 1939, monumento Nazionale. E’ nel punto più alto dell’antico Castello fortificato dei Normanni, con mura di cinta imponenti e con porte d’accesso. La Torre dei Normanni è   datata 1100. E’ a forma quadrangolare. E fu costruita con funzioni strategiche e militari. Da essa e dal bel vedere sottostante, si può ammirare tutta la vallata a cielo aperto. Il visitatore può ammirare nella valle le case e la stazione di San Felice. I profili collinari di Presenzano e al lato opposto di Piccilli. Irta come incisa nella roccia , Presenzano. Dolce e declinante il profilo di Piccilli con su la chiesa alta e bianca, dalla grande cupola . Mentre ritorniamo alla macchina, Pasqualina tiene a ricordarmi che in questo borgo medioevale il 26 luglio viene organizzata dall’associazione le “Orme “ in gemellaggio con la cittadina di Arce (Fr.), una festa medievale in costume di notevole suggestione. Tutti i figuranti sono vestiti con costumi davvero medievali e il borgo è medievale. Ci avviamo verso Piccilli. Ora passiamo sotto il convento di Sant’Antonio, sito su di una piccola collinetta, luogo di culto sia dei Torani che per i Piccillesi.Fu anche ricovero per i garibaldini nel periodo storico dell’Unità dell’ Unità d’Italia. Adesso incomincio a raccontare a Pasqualina, la storia dell’arrivo degli americani. Raccontatami da mio padre, allora ragazzino. Egli si adoperò ad attrezzarsi da parrucchiere. Si procurò forbici e rasoio. Si recava spesso nell’accampamento americano e faceva loro barba e capelli. – Ci regalavano le caramelle e la cioccolata. Chi le aveva mai viste! Una volta mi regalarono anche un vestito. Lo indossai prima di tornare a casa, volevo fare   una bella sorpresa ai miei genitori e a Margherita, mia sorella. Papà, appena mi vide mi fece un paliatone, pensò che il vestito l’avessi rubato. Ancora una volta, ride Pasqualina. La storia passa anche attraverso il sorriso. Il ricordo è vivo attraverso il canale visivo delle persone che amiamo. Ascolta. C’è una immagine che m’appartiene e che mi è entrata dentro.

Ci sono due ragazzini, in campagna. Corrono felici dietro un cerchio che fanno roteare spingendolo all’interno con una mazza. Corrono, corrono felici i due fratelli tra l’erba verde e le foglie di castagno secche. Nella radura gli alberi si aprono davanti a loro a imbuto capovolto. Quel mattino si erano alzati prima dell’alba, per recarsi a lavoro. Facevano i taglia boschi e i loro nonni erano stati carbonari. Al mattino si erano recati al lavoro. Prima, però, avevano preparato due merende con i peperoni fritti della sera prima. Avevano legato ‘u maccaturo (tovagliolo che nella tradizione contadina veniva usato come sacchetto legandone i quattro angoli incrociati) con dentro a ‘mbostarella, ma la matrigna gliele aveva sottratte, per darle ai figli suoi che rimanevano a casa con lei. E sempre in quest’altro mio paese, Campagnola, il pittore, Elia Lepore,  dipinse il soffitto della mia chiesa della Parrocchia Santi Pietro e Paolo, disteso e sospeso su delle tavole, a faccia in su, come Michelangelo, fino ad ammalarsi e morirne. Ma occorrono gli occhi dei bambini per comprenderne a primo acchito la bellezza. Emma L.,mia alunna di terza elementare, scrisse in un testo:- La mia chiesa ha un soffitto che mi sembra il Mantello della Madonna.

Siamo al bivio di Piccilli, venendo da Tora. Sulla mia sinistra la statua di Padre Pio e Mpieri Piccilli. Di fronte l’edificio della scuola dell’Infanzia e della scuola Primaria. Svolto a destra e sulla mia sinistra incontro la cappella con le cinque croci della Missione. Saliamo alla piazza Ferraria, passando davanti alla casa di mio padre e mia madre. Parcheggio in piazza Ferraria. Pasqualina m’invita a salire a casa sua, dove c’è il marito che l’aspetta. Le dico che vado di fretta, ma in realtà: voglio fare un giro dentro Piccilli. Passare sotto alla mia casa vecchia. Dove ho trascorso tutta la mia infanzia, fino all’età di dieci anni. Prima di partire con la mia famiglia per Colle Sannita, nel beneventano. E ripassare sotto la mia casa nuova, per risalire alla piazza Ferraria e giungere ‘Ncoppa Piccilli. Per me Piccilli non è il luogo geografico, anche, ma è il luogo dell’anima. Certo i racconti e i luoghi dell’infanzia un po’ si idealizzano, ma contengono e racchiudono l’identità dei cittadini, di un popolo, dei luoghi. Eppoi è proprio l’idealizzazione che rende il Ricordo Esempio.

Nell’oralità dei luoghi e della famiglia, vi è la vera Storia. La voce rassicurante e affettuosa di Ziettà, che tutte le sere mi portava a messa. Le prediche di don Tito Timpani, che hanno sviluppato la mia fantasia, più della lettura dei libri, più dei programmi televisivi. Ricordo l’omelia sulla torre di Babele. Dio mi appariva come un bambino dispettoso dell’asilo, che distruggeva con una manata la mia torre costruita con i bastoncini “Lego”. E il primo giallo della storia che mi ha tenuta con il fiato sospeso. Il Padre Abramo che ascolta la Voce De Il Signore che gli chiede di sacrificare suo figlio. La Misericordia di Dio che salva il figlio di Abramo. E invia a noi , umili servi, Suo Figlio concepito senza Peccato. Ma la novella che m’incantava e intrigava più delle altre era quella della pecorella smarrita. Don Tito si dilungava lungamente sull’amore del Pastore che lascia tutto il suo gregge per cercare una sola pecorella smarrita. Non ricordo se abbia mai detto che il Pastore ha ritrovato la sua pecorella smarrita. Anche perché la mia mente iniziava a spaziare nel contesto del racconto. E mi chiedevo:- Avrà mai saputo la pecorella che il suo Pastore la stava cercando? Così, almeno, si sarebbe sentita meno sola. Tutto rapportato all’età, ma era un gioco affascinante che mi ha aiutata a crescere nella Fede Cristiana.
Quando ero piccola, mio padre salutava un compaesano chiamandolo:- Mio nome, e con un bel sorriso. Egli aveva i capelli arruffati, gli occhi cerchiati da un livido violaceo e lo sguardo come fisso, come chi guarda nel vuoto. Un vuoto che gli altri non vedono.- Papà, perché lo chiami:- Mio nome? – Perché anche lui si chiama Plinio.- Allora perché non lo chiami Plinio? – Perché lui è una persona sola ed è questo il modo di dirgli che sono suo amico. Entrambi i miei genitori mi dicevano:- Guarda chi è meglio di te. Io chiedevo specificatamente:- Chi devo guardare? La risposta era come l’affermazione che aveva suscitato la mia domanda:- Guarda chi è meglio di te. Allora incominciai ad osservare ciascuno ad uno ad uno, senza escludere alcuno. Non sempre le mie considerazioni intime e personali sono state positive, ma ho imparato che in ciascuno c’è qualcosa della quale bisogna apprendere o valorizzare. Le signore di Piccilli, sedute al fresco, nelle serate estive, guardavano giocare i bambini loro e quelli delle altre madri e risolvevano le nostre questioni infantili, quando richiedevamo il loro giudizio, che era per noi bambini : insindacabile, e ritornava l’accordo nel gioco. Mentre le madri commentavano:- Ai vagliuni s’adda insegnà u buono, accussì sanno fa u buono. Ai bambini bisogna insegnare il bene, così sapranno fare il bene e del bene.

Gli apprendimenti, soprattutto dei valori, passano attraverso l’Oralità espressiva del viso. Il sorriso. La dolcezza dello sguardo o la severità dell’adulto verso il bambino. La memoria storica orale delle volte è più attendibile di quella dei libri. Su qualche testo ho letto che gli abitanti del luoghi circostanti la Foresta, hanno definito le impronte, le “ Ciampate del diavolo “,perché pensassero che solo il diavolo potesse camminare sulla lava ardente. Non è vero. E’ vero che le donne anziane raccontavano a bassa voce, quasi bisbigliando, perché non bisognava farsi sentire dal “male”, si sarebbe sempre potuto risvegliare, che il maligno esisteva, dato che aveva lasciato l’impronta dei piedi e anche di una mano sulla viva roccia, e la roccia solo il diavolo, venuto dagli inferi, la poteva sciogliere. Comunque, noi abitanti di Piccilli, avendo la “prova”” provata” dell’esistenza de diavolo, possedevamo anche la certezza dell’esistenza di Dio.

Dal canto mio. Anch’io,bambina, feci l’esperienza che la magia esiste davvero nella realtà. In una calda serata estiva mia madre allertò noi bambini che giocavamo:- Guardate, guardate: le lucciole! Ci guardammo tutti intorno e nell’oscurità verso la via Palate, che allora portava solo nei campi, vedemmo tante, tantissime piccole luci che si accendevano e si spegnevano. Tutte come una nuvola soffice, disegnavano l’oscurità, in uno spettacolo magico. Mai visto in precedenza. – Mamma, mamma. Chiedevo a mia madre:- Como sono fatte? Ella mi rispondeva:- Non le vedi, sono là. No. Non vedevo come erano fatte. Vedevo solo la soffice nuvola di luci delle lucciole, ma tutto attorno c’era l’oscurità. Comunque, noi bambini cominciammo a correre festosi, con le braccia aperte in quel nugolo di stelle caduto dal cielo e fermatosi ad un passo dalla Terra.

Svaniscono i ricordi. Ricompare la realtà. Mi trovo nella piazza alta di Piccilli. Mi accingo a salire i gradini in pietra bianca della mia chiesa. La chiesa di San Giovanni Apostolo che è inaspettatamente grande, rispetto al paese che la ospita, ma ancora più stupore suscita la luce che la penetra dai tanti finestroni della grande cupola, fino a illuminarla a dì, quando è dì. Essenziale nella forma e nello stile elegante. Di notevole bellezza i suoi tre altari, di cui i due laterali ospitano ciascuno un grande e suggestivo dipinto, con ai lati due colonne in marmo. Il grande altare centrale è illuminato, come tutta la chiesa, dalla luce del sole e la prospettiva dell’ampiezza è resa ancora più ampia dalla grandezza della sagrestia, che si apre sui rispettivi lati dell’altare maggiore. Mi dirigo, quasi senza accorgemene, verso i banchi della cappella di destra, là trovo, come sempre, la mia amica Lea e sua madre Immacolata. Tutte le signore recitano il rosario sotto la guida della mia amica Concettina. La madre di Lea s’interrompe solo per salutarmi e poi riprende a pregare. Io e Lea incominciamo a chiacchierare.

-Lea, ma è possibile. La statua che vedo là giù, nella sagrestia, è la statua di San Giovanni Paolo?

-Sì. Sembra un po’ vecchietto.

-Sì. Non ha lo sguardo che guarda lontano, né il suo sorriso schietto e lieve. La mano sinistra non impugna     il Bastone Pastorale, quasi sembra cercarvi appoggio; il braccio destro non è alzato come se volesse cingere le folle in un abbraccio ideale.

– Sss … Mi sussurra Lea all’orecchio – Don Pietro sta iniziando a dire messa.

MARZANO APPIO. IL LAGO DELLE CORREE E IL CASTELLO DI TERRACORPO.

Marzano Appio, sorge sulla falda nord-est del vulcano di Roccamonfina. Il nome Marzano deriva dal nome proprio latino Marcius a cui fu aggiunto il temine Appio, perché probabilmente la fondazione del centro abitato fu opera di Appio Claudio. A partire dall’alto Medioevo, Marzano Appio risulta compresa nella Diocesi e e nella Contea Longobarda di Teano. Dal 1180 al 1464, quando fu confiscato e devoluto al Demanio regio , il centro diventa feudo della famiglia Marzano. La famiglia Marzano fu una famiglia potente. Marchesi e duchi, le loro vicende furono fortemente intrecciate con la storia. Grandi guerrieri, ottennero grandi glorie, ma anche sconfitte dalle quali seppero riprendersi, dominarono vari territori. Tuttavia, come raccontatomi da un mio collega, il maestro Domenico Crudale, l’ultimo della famiglia Marzano, Marino, fu calato nel sotterraneo di un palazzo con una fune e con una fune gli venivano calati pane e acqua, a causa di una congiura da lui tramata, e così giunse la sua morte. Sulla vetta del suggestivo colle di Terracorpo si erge il Castello di Marzano, a pianta rettangolare, fu progettato per scopi militari. Oggi la facciata è quasi intatta e i particolari ornamentali delle finestre ricordano la produzione architettonica napoletana del quindicesimo secolo. Nei pressi della struttura vi è un cavalcavia, usato dalle nobildonne come passaggio per raggiungere la Chiesa di S. Maria Maggiore, dal Castello. In Marzano Appio vi sono le chiese di San Sebastiano e la Chiesa dell’Annunziata. La prima possiede anche uno stupendo teatro, ristrutturato da poco.

Nello stesso comune di Marzano Appio, in località Sarcioni sono presenti tratti della via Latina, mentre più in là, oltre la via Casilina si trova il lago delle Corree, dalla caratteristica forma conica,incastonato tra rocce granitiche, ha una vegetazione lussureggiante, ricco di biodiversità. La sua origine e la sua conformazione sono di natura tipicamente vulcanica e il lago rientra nella categoria dei crateri che dopo l’estinzione vulcanica convogliano le acque divenendo laghi. Ma vi è una leggenda popolare davvero suggestiva sull’origine del lago delle Corree. Si racconta che vi fosse in quel luogo un’aia, nella quale il 26 giugno, giorno sacro a Sant’Anna, si trebbiava in spregio del riposo festivo dedicato alla Santa. La Santa, alla quale la leggenda popolare non attribuisce alcun che della morale Cristiana, sdegnata fece sprofondare l’aia, che inghiottì uomini, animali e messi. La stessa leggenda vuole che la notte di Sant’Anna, ancora oggi, si oda dal fondo del lago, salire il rumore del trotto dei buoi e dei cavalli, i canti e i pianti dei trebbiatori.

Le due vie di accesso al comune di Marzano Appio, sono anche due delle principali vie d’accesso al Parco di Roccamonfina – Foce del Garigliano, ed entrambe portano anche a Roccamonfina. L’una è il bivio di Marzano Appio, sulla Casilina. L’altra è la via che sale in senso inverso all’uscita autostradale di Caianello. Entrambe introducono al mondo dei castagneti ricchi di funghi e frescura e a piccoli centri caratteristici, come Campagnola che vista dall’alto, dalle colline che la cingono, sembra davvero una piccola Italia in miniatura.

ROCCAMONFINA   “ TERRA REGIA “

Roccamonfina è immersa in un paesaggio di castagneti secolari. Sorge a più di 600 mt. S.l.m.; sul versante meridionale del cratere spento del Complesso vulcanico campano.

Mi trovo all’inizio della piazza Nicola Amore, dal lato della chiesa Collegiata di Santa Maria. Questa piazza è dedicata ad un cittadino illustre di Roccamonfina, che fu sindaco di Napoli e nella stessa Napoli, in Corso Umberto I, vi è una piazza intestata allo stesso sindaco. Attraverso la grande Piazza Amore e mi soffermo a pensare all’orgoglio del senso di appartenenza dei cittadini di Roccamonfina alla propria cittadina. I Borboni la definirono, “ Terra Regia”. Rimanendo nella storia più recente, se ne può comprendere la natura, nel contesto dei luoghi. Bellezze paesaggistiche, architettoniche. Ha dato i natali a persone illustri. Vi nacque, come già citato, il sindaco di Napoli, Nicola Amore. Vi fu il Presidente della Provincia di Caserta, Giuseppe Buco. Vi è nato l’ex sindaco di Caserta, Nicodemo Petteruti. Infine, ma non ultima, l’attuale sindaco di Roccamonfina, Letizia Tari; precorritrice dei tempi, dato che fino alle scorse elezioni ha conservato il primato di essere stato il primo sindaco donna dei sette comuni del Parco di Roccamonfina – Foce del Garigiano. Eletta nel 2008, ha anticipato di un quinquennio l’avanzata massiccia delle donne in politica. Tari ha dato vita al Palazzo dei congressi, voluto dal Presidente della Provincia, Boco, e da sempre rimasto inutilizzato. Attualmente Museo civico comunale, denominato “Museo Magma “, con evidente riferimento alla vulcanicità del territorio. Ospita mostre periodiche e la collezione stabile del pittore, Paolo Feroce, figlio di Rino Feroce, pittore e scultore di fama nazionale. Incontro il sindaco Tari. Mi parla di recupero di archi, mura in pietra e san pietrini – Che già in passato avrebbero dovuto essere preservati maggiormente, per dare un carattere peculiare a Roccamonfina – Lei mira e opera sulle potenzialità del territorio,anche per incrementare il turismo – E’ nostro interesse valorizzare e recuperare sentieri che percorrono lavatoi e mulini. Così com’è anche in corso la ristrutturazione degli antichi lavatoi di Acqua Rotta, Fontana Fredda e Tavola. Saluto il sindaco. Fuori dal Municipio, riguardo la Piazza Amore, comunemente chiamata:- “La villa”. E’ grande, fresca e rigenerante. E’ piacevolissimo sostare sotto gli alberi secolari che l’arricchiscono di ombra e frescura. Al centro vi è un obelisco. Da essa si può osservare l’antica Torre di Palazzo Monaco. Originariamente le torri erano otto e chiaramente la loro funzione era di avvistamento e di difesa. Nell’andarmene da Roccamonfina, ripasso davanti alla chiesa della Collegiata di Santa Maria Maggiore. Si vedono dei lavori in corso, ma comunque si viene letteralmente rapiti dalla sua bellezza. L’edificio ha un impianto databile agli inizi dell’undicesimo secolo, con successive trasformazioni ed ampliamenti. La struttura interna è a tre navate, congiunte da dieci arcate che si sviluppano a partire da otto colonne. Altre tre arcate simili si trovano all’ingresso a sostegno dell’organo e della cantoria. Al centro del Presbiterio e colonnato, l’Altare maggiore, fatto costruire nel 1739. L’Altare è chiuso da una balaustra in marmo che custodisce un raffinato Tabernacolo di forma circolare, con quattro colonnette cilindriche ai due lati, in marmo policromo, datato 1816. Splendido della chiesa, il campanile; all’interno, l’armadio ligneo in essa contenuto. Mi avvio, ora, verso il santuario dei Lattani, conosciuto quanto Roccamonfina . L’incanto di percorrere la via che porta al Santuario è unico. La via, tutta in salita, all’inizio è tortuosa e stretta e fa incontrare paesini particolari, con qualche casa costruita anche sulla roccia. A tutto fa da contorno e sfondo la cornice di castagneti secolari. In prossimità del paese Gallo, la strada diviene ampia. Iniziano lungo il percorso della via le cappelle al cui interno sono rappresentate in rilievo le varie tappe della Via Crucis. Dal piazzale antistante al Santuario si gode la vista di un paesaggio mozzafiato, la visione quasi sconfinata di tutta la vallata, in giornate limpide, fino al Vesuvio. Qui incontro, per caso, il parroco di Gallo e Garofali, don Paolo Martuccelli, che mi ricorda l’importanza del Santuario dei Lattani, tanto che nell’anno 2000 fu prescelto come Santuario dove si poteva ricevere l’indulgenza Plenaria, per chi visitandolo, si fosse confessato e comunicato. In quanto alla sua origine. Si racconta che la statua della Madonna dei Lattani, scolpita in pietra locale, fu abbandonata in quel luogo, dove sorge attualmente il Santuario, forse verso il quarto secolo d. C. . Fu ritrovata nel tredicesimo secolo da un pastorello che aveva smarrito una pecorella e, cercandola, ritrovò la pecorella davanti alla grotta dove c’era la Madonna .

SESSA AURUNCA –   La statua di  Matidia è a Sessa Aurunca.

La cittadina di Sessa Aurunca è situata A sud-ovest delle pendici del vulcano spento di Roccamonfina. Il territorio comunale comprende colline e pianure, sino alla foce Garigliano. Il suo territorio è tra i più estesi d’Italia ( circa 163 kmq. ), ha numerose frazioni che aspettano di essere scoperte e visitate per la loro bellezza urbanistica e architettonica, per quella naturalistica, ma anche per i prodotti tipici. Tra queste vi segnalo Valogno, il paesino dei murales, un vero museo a cielo aperto; ricco di fiori sulle finestre delle case antiche e tra le pareti adornate da grandi e piccoli murales, gli anziani seduti sugli usci delle case a rimirar le viuzze, ma con l’occhio attento e curioso di chi accoglie lo straniero, con rispetto doveroso.

Mi trovo, ora, a Sessa Aurunca e percorro in discesa l’antico Corso Lucilio, l’antica strada principale di Sessa, dove hanno sede gli uffici del Parco di Roccamonfina – Foce Garigliano. Il corso prende il nome da Caio Lucilio, 180 a. C., circa, l’inventore della satira latina; ma qui a Sessa è anche stato commissionato il “ Galateo “, dal Vescovo Galeazzo Florimonte che domandò al monsignore Giovanni Della Casa di scriverlo. Il libro fu pubblicato nel 1558. Monsignore Della Casa volle fare un omaggio al vescovo Florimonte che glielo aveva commissionato. Il titolo dell’opera corrisponde, così, alla forma latina del nome Galeazzo: Galatheus.

La città di Sessa è probabilmente antecedente al 5° secolo a. C.. Fu federata dai romani con altre città aurunche. Sessa è l’antica Suessa, città degli Ausoni – Aurunci. Percorrendo corso Lucilio, svolto in una stradina laterale, e dopo un po’, arrivo alla piazzetta dove si trova il Duomo, dedicato ai santi, custodi della fede, Pietro e Paolo; costruito verso il 1100. La facciata del duomo, oltre ad avere archi e colonne, espone due leoni taurini. Ampio è stato nella sua costruzione l’utilizzo di materiale antico, proveniente dalla Sessa romana, e in particolare dal poco distante Teatro romano. All’interno del Duomo è possibile ammirare diversi dipinti del 18° secolo, tra cui l’ Annunciazione di Sebastiano Conca; la tavola raffigurante la Pietà, del 15° secolo,; la lastra tombale, del 16° secolo, del governatore di Sessa, Don Lope de Herrera, attribuita allo scultore Annibale Caccavello.

Continuo la mia solitaria passeggiata, fino all’attuale via Aldo Moro. Mi sporgo lievemente al di sopra del muretto esterno che la delimita, e che guarda verso il mare. Ho così la possibilità di ammirare il Teatro romano sottostante, in tutto il suo fascino, la sua bellezza. Il teatro è sorto nel 1° secolo a. C.. Negli anni venti degli scorsi due secoli è stato attenzionato, e solo verso la metà del 1990 è stato riportato al suo aspetto attuale. Nell’antichità certamente era adornato da numerose sculture. Le gradinate destinate agli spettatori sono in calcare bianco locale. Vi fu un ampliamento del teatro ad opera dell’imperatore Adriano. Ampliò il pulpitum e le colonne di provenienza diversa e di pregiata fattura. Nell’antichità poteva ospitare 7.000 persone.

La ricchezza culturale di un popolo è l’ importanza storica della sua terra, noi italiani siamo ricchissimi di testimonianze storiche, troppo spesso sconosciute o inaccessibili, persino a noi stessi.

Forse conosciamo tutti o ne abbiamo sentito parlare della processione degli incappucciati, che il venerdì Santo mattina parte dalla chiesa francescana di San Giovanni a Villa, e gli uomini delle confraternite camminano vestiti con il saio e ampi cappucci che coprono i volti. Cantano in latino antico, ma anche il tono è strano, il Benedictus e il Te Deum di ringraziamento, facendo la “ Gunnulella “ , tre passi in avanti e due indietro, durante tutta la processione. Assistervi è un’esperienza unica, ma chi o quanti conoscono la statua Matidia? Ella gira nelle varie capitali europee, riscuotendo il massimo dell’interesse e ammirazione. E’ bicromatica. Indossa un velo leggiadro che è veridicamente sospinto dal vento e ne lascia intravedere nitidamente tutta la bellezza del corpo. Come se la presenza stessa del velo la mettesse ancora più a nudo. Il viso pareggia la bellezza del fisico, ne è alla pari nell’espressione della deificazione della bellezza femminile.

TEANO e la Dea che inventò le stagioni

Incontro in piazza Umberto I° a Teano la persona segnalatami, Pasquale Fascitiello, proprio di fronte all’ingresso del Museo Archeologico Nazionale.

Si entra senza pagare, si può apporre una firma facoltativa, su un registro che si trova all’ingresso del museo, per un riscontro delle presenze dei visitatori. Lo stesso museo è ubicato in un palazzo del 1370. Il percorso del museo è strutturato in progressione storica. Inizia dal neolitico, prosegue con il mondo sidicino, fino all’epoca romana. Custodisce più di 1500 reperti; tutti riportati alla luce dal territorio di Teano.

Chiedo al mio accompagnatore :- Perché a Teano ci sono stati tanti ritrovamenti?

–          Teano è una città antichissima, sorta prima di Roma; fu fondata dai Sidicini, che erano un popolo di stirpe italica. Ci troviamo nella culla di due civiltà, per cui tutti i reperti sono sidicini e romani. Teano, prima sidicina, diventò, poi, un importante Municipio romano. Culla di civiltà e della storia, fino ai tempi moderni : Patria dell’unità d’Italia. Per l’Incontro avvenuto tra Vittorio Emanuele e Garibaldi,  presumibilmente nei due comuni di Caianello e Teano. Anche se oggi la paternità dell’incontro è contesa tra i due comuni di Vairano Patenora e Teano.

–          Pasquale, lasciamo perdere questo discorso. Questa è tutta un’altra storia. Ritorniamo a parlare del museo archeologico.

–          Ecco vedi c’è questo pannello importantissimo, di mosaico a tessere piccolissime, che rappresenta l’ Epifania. Sul pannello sono rappresentati i tre magi, vestiti con abiti orientali, che portano i loro doni a Gesù Bambino, in braccio alla Madonna. Sul pannello sono raffigurati anche San Pietro e San Paolo, custodi della fede cristiana. Ed è raffigurato il Cristos, Il simbolo dell’imperatore Costantino.

–          Io sono l’Inizio e la Fine.

–          E’ proprio così. E’ il significato di questo pannello, che, non a caso, è una pietra tombale e indica proprio il viaggio del defunto nell’aldilà. Come i magi, seguendo la Stella cometa, giunsero alla fede, così noi cristiani, dopo la morte, compiamo il viaggio verso il Signore.

–          A quando risale questa pietra tombale?

–          Al 350 d. c. . Ma guarda ancora la bellezza di tutti i reperti, sono come il pannello tombale, d’importanza rilevante, anche a livello mondiale. Puoi ammirare ceramiche antichissime, reperti votivi, arredi funerari ( di necropoli ), gioielli, stoviglie, armi, cinturoni in bronzo. Molte statue di pregevole valore, dell’epoca romana : la venere, gli imperatori e … Questa splendida statua,in terracotta, rappresenta la dea Cerere, dea di tutto quanto cresceva sulla Terra. Dea delle messi, del grano, di tutti i cereali. Di questa dea, si racconta che aveva una figlia di nome Proserpina. Il re degl’inferi, Ade, fratello della dea Cerere e zio di Proserpina, s’innamorò della nipote Proserpina, la rapì e la portò negl’inferi. Sua sorella, Cerere lottò per giungere ad un compromesso con il fratello, Ade. Dal compromesso ottenne la restituzione di sua figlia, Proserpina, ma solo per un certo periodo. Proserpina poteva rimanere sulla Terra, solo per un certo periodo. Dal periodo trascorso dalla fanciulla sulla Terra, nacquero le stagioni. Tutta la Terra ne gioì. Prima fu Primavera. Dopo giunse l’Estate. Prima sbocciarono le gemme.  Dopo nacquero i frutti. Quando Proserpina fece ritorno negl’inferi; agli alberi caddero le foglie, e fu Autunno. Ma d’Inverno, la Terra sotto il suo manto, iniziò a custodire la rinascita. Crebbe l’erba e spuntarono le margherite. E di nuovo fu Primavera.

Usciti dal museo ci avviamo verso il Teatro romano. Il teatro è aperto tutti i giorni, festivi compresi; dalle 10.30( circa), fino a un’ora prima del tramonto. L’ingresso è gratuito. Provvedono i detenuti di fine pena, del carcere di Carinola, d’intesa con il comune di Teano e l’associazione “ Amici dei musei “, a togliere le erbacce e a pulire il teatro.

Il teatro romano risale al 2° o al 3° secolo a. c. E’ stato rifatto nel 7° secolo d. c., dall’imperatore Settimo Severo.

-Imperatore di colore, proveniente dalla regione della Tripolitania.

– L’antesignano di Barack Obama ?!

– Sì.

-Non ci siamo inventati proprio niente!

– No. Egli ampliò notevolmente il teatro. Realizzò un teatro che poteva contenere 10.000 persone. Molto più alto di quello che vedi ora. Investì molti soldi. Addirittura , fece arrivare i marmi anche dall’Africa, da Carrara e da diverse regioni dell’impero romano. Nel teatro si rappresentavano tragedie , commedie e satire.

– Ne fu mai fatto un uso politico ?

– Sì, nel senso che gli spettacoli spesso venivano offerti al popolo dai politici o dai personaggi più in vista della città, affinchè il popolo potesse godere dell’arte.

– Ma questa gratuità per gli spettatori aveva anche una finalità per i politici ?

– Sì.

-Pensa, Pasquale, se anche oggi i politici usassero questo stupendo mezzo di “corruzione “ , di avvicinamento all’arte, per condurre a sé.

– He! Avremmo risolto tutti i nostri problemi. L’Italia è Arte.

-Allora ritorniamo all’arte, andiamo al Duomo della città di Teano.

– Teano è ricca di chiese e di conventi, ma speciale è la solennità del Duomo. La chiesa attuale è a tre navate e di stile romanico. Il Duomo fu costruito intorno al 6° secolo d. c. . Durante la Seconda guerra mondiale fu bombardato dagli americani ed è stato quasi interamente ricostruito nel 1957, dall’arcivescovo R. Pane. Il Museo storico della chiesa si può visitare gratuitamente, facendo richiesta al custode o si può anche telefonare alla curia vescovile. Nella Cripta del Duomo, per volere del Vescovo Sperandeo, dal 1979 sono custoditi frammenti marmorei dell’antica Cattedrale. Dal bombardamento bellico dell’antica cattedrale, si salvò il “ Cappellone di San Paride “, dove sono conservate le reliquie di San Paride, santo patrono di Teano. Nella stessa cappella, detta “Cappellone”, per la sua grandezza, nell’abside si può ammirare il crocifisso di scuola giottesca, attribuito a Oderisi da Gubbio e tre tele enormi dei fratelli De Mura. L’ Ambone, un pulpito più grande del solito, è di magnifica bellezza.

Abbiamo concluso il nostro giro culturale, che è durato una mattinata. Saluto e ringrazio Pasquale, autista dello scuolabus scolastico comunale, mentre penso che anche lui è un bene aggiunto di Teano, perché Pasquale fa rivivere le pietre e parlare la storia.

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