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Piedimonte Matese – i medici indagati si difendono

piedimonte matese. I trentaquattro medici indagati con l’accusa di peculato, si mostrano sereni e attendono l’esito della indagine con fiducia verso la Procura. I numeri, quasi sempre, spiegano meglio di tante parole ogni cosa. Numeri che alla fine potrebbero ridimensionare l’inchiesta condotta dalla fiamme gialle matesine.

900 euro in cinque anni
Così appare davvero esagerato l’accusa rivolta verso il primario Raffaele Di Robbio a cui viene mossa l’accusa di peculato per una somma di 900 euro per i cinque anni verificati.

La difesa di Di Robbio
“Mi sento pulito – afferma il primario, Raffaele Di Robbio, uno dei 34 indagati – e per questo attendo con serenità gli sviluppi dell’indagine. Ho vissuto la perquisizione della finanza con rispetto e tranquillità. Certamente – insiste Di Robbio – sono amareggiato ma ho collaborato mettendo a disposizione la mia casa e il mio studio. Vivo e lavoro – conclude Di Robbio – in una piccola comunità per cui anche gli incassi sono modesti. Ho sempre versato quanto dovuto all’Asl”.

I nomi degli indagati.
Fra i professionisti, tanti i nomi di primissimo piano come Antimo Cappello, Lanfranco Acampora, Luigi Bergamin, Luigi Bifulco, Arnaldo Brienza, Carlo Capuano, Giuseppe Casino, Angelantonio Caso, Fabio Cecconi, Agostino Cirillo, Anna Cristillo, Dario D’Onofrio, Luigi Di Risi, Francesco Della Corte, Raffaele Di Robbio, Giovanni Di Tommaso, Fabrizio Ferraiolo, Fiovanbattista Forte, Giovanni Italiano, Roberto Landolfi, Alfonso Marra, Giuseppe Mastrobuono, Stefano Mennillo, Vincenzo Messina, Antonio Palermo, Guido Pane, Antonio Pontieri, Antonio Puorto, Michela Quarantiello, Giacomo Russo, Ignazio Scaravilli, Vincenzo Selva, Attilio Sgambato e Armando Volpe. Professionisti che, in gran parte, lavorano fra gli ospedali di Piedimonte Matese, Teano e Caserta, prestando, inoltre, attività professionale in forma privata. Quindi, medici che hanno deciso di adottare il sistema di “intramoenia”.
Un protocollo secondo cui il medico ospedaliero che decide di lavorare anche presso studi privati dovrebbe versare il 50% del proprio fatturato all’Asl.
Il sistema dovrebbe – contemporaneamente – generare parcelle più contenute in favore dei pazienti e maggiori entrate nelle casse delle azienda sanitarie.

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