Ultim'ora

Mutilazioni genitali femminili, poche le denunce nel nostro Paese

Delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF da ora), per quanto se ne parli, in fondo se ne conosce ben poco. Tra gli operatori sanitari nel nostro paese è raro che qualcuno abbia visto i genitali mutilati di una donna. Non è certo un fatto di numeri, nel senso che siano poche nel nostro paese le donne che hanno subito un MGF, anzi i numeri potrebbero essere relativamente importanti nell’ordine di qualche di migliaia  che in teoria hanno subito tale mutilazione da giovanissime nel paese di origine, prima della migrazione. Non sappiamo se nel nostro paese vi siano stati interventi di mutilazione, non conosciamo i numeri di quelle giovani che hanno subito la mutilazione in un viaggio nel paese di origine. Pochissime se non nulle le denunce in merito nel nostro paese. Eppure i numeri che si leggono altrove potrebbero essere preoccupanti o almeno farci riflettere e tentare una strada che faccia uscire dall’invisibilità il fenomeno. Se non altro dovrebbero farci riflettere le problematiche francesi in merito, le quali dimostrano come il fenomeno porti comunque ogni anno alle MGF 30.000 giovani, nate in Francia, cittadine francesi e dunque migranti di seconda se non di terza generazione. Ma perché in Francia il fenomeno è così vasto? Per il sistema di inclusione del paese in merito alle migrazioni, nell’arco dei decenni, con una politica di assimilazione la Francia ha spinto ad una cancellazione culturale di origine attraverso una sorta di sostituzione con quella francese, nell’illusione di creare cittadini francesi, francesi secondo lo stile di vita francese. E qui è subentrato l’errore e la cecità di chi decenni addietro guardò all’assimilazione quale sistema di francesizzazione pensando che in tal modo si rispettavano i principi di libertà, eguaglianza e fraternità insiti nella laicità rivoluzionaria del paese. Fu un grave errore, poiché il tentativo di francesizzare individui con una base culturale diversa ha creato nel tempo lo scollamento delle generazioni venute dopo, ritrovandosi così con persone che infine non si sono più identificate culturalmente. Da un lato le basi culturali di origine, le quali nella prima generazione restano in una parte importante della vita familiare, dall’altra un paese che volendo rendere gli individui eguali alla cultura dello “stato” indirettamente spingeva a rinnegare le origini. Infine il risultato è stato, anche per motivazioni socio economiche, una seconda generazione che sentendosi esclusa dalla vita del paese ove la cultura di appartenenza diveniva un problema, sono rientrati nella cultura di origine senza però averne la benchè minima concezione ed idea e ritrovandosi in una situazione di shock tale da indurre alla visione più conservatrice di questa, identificandola come l’elemento di riconoscimento e di appartenenza. Da qui i foreign faighters, il ritorno all’Islam attraverso elementi di radicalizzazione, il ritorno ad una base culturale e religiosa più conservatrice tra cui il costume delle MGF.

Le origini delle MGF per quanto si dica, restano indeterminate, le si ritrova nell’antico Egitto, ma anche nella Roma Imperiale così come in alcune regioni dell’Africa subsahariana ancor prima dell’arrivo dell’Islam. In Arabia Saudita erano in uso almeno 300 anni prima dell’avvento dell’Islam ed era praticata in modo diverso a seconda della tribù e del clan di appartenenza, in una penisola frammentata in centinaia di piccoli regni. Quando il profeta Maometto unificò il paese, conosceva per cultura il fenomeno ed era ben cosciente del danno che provocava, ma contemporaneamente era cosciente che in un momento di unificazione ogni impedimento forzato ad usi e costumi sarebbe significato la perdita stessa dell’unificazione, oltre ad una imposizione che andava contro le parole di eguaglianza tra le tribù. Sarebbe stata una forzatura che non avrebbe giovato in alcun modo, oltretutto bisogna ricordare e non dimenticare l’epoca di nascita dell’Islam ovvero il 600 dopo Cristo, epoca in cui in occidente vigeva l’ordalia.

Una tradizione profetica (hadith), riporta che Maometto, vedendo un giorno una donna specializzata nelle escissioni operare una bambina, le avrebbe detto: “La circoncisione è sunna per gli uomini e solo makruma per le donne. Quando incidi, non esagerare nel tagliare……”. Mentre sunna indica una prescrizione normativa, makruma si riferisce, invece, ad un’“azione nobile” ma facoltativa. L’unica cosa certa è che non è stato l’Islam a introdurre tali pratiche che erano già presenti in loco assai prima della sua diffusione.

Si tratta infatti di usanze indigene profondamente radicate nelle società locali e preesistenti alla penetrazione dell’Islam, non solo in Medio Oriente ma anche  nell’Africa subsahariana e centro-orientale iniziata a partire dal 1050. Di colpa se vogliamo così definirla, in merito alle MGF, si può solo dire che l’attribuzione che viene fatta all’Islam dell’origine delle mutilazioni genitali femminili è dovuta alla facilità con cui  questo si è saputo adattare al tessuto tradizionale conformandosi al modo di vita locale. Ciò perché l’Islam quale regola coranica ha avuto come osservanza il rispetto dell’essere umano, nel suo insieme culturale e religioso; tanto che nel pieno del Medio Evo e ben oltre l’epoca Rinascimentale era più semplice vivere e lavorare nell’Impero Ottomano che in Europa, dove le differenze culturali, religiose e di “razza” erano pregiudizievoli per una moltitudine di persone e di attività. L’Islam non guardava a ciò e si limitava a far pagare una modesta tassazione annua, lasciando che gli individui continuassero ad avere i propri usi e costumi e credo religioso ( in Europa basta ricordare ciò che accadde agli Ugonotti, agli Ebrei, ai protestanti Luterani o Calvinisti poi) .

Ovviamente con il senno di poi l’espansione dell’uso delle MGF, in contesti che nel tempo sono divenuti conservatori, il non contrasto nel tempo ha portato di fatto ad una radicalizzazione del fenomeno che porta oggi, nel mondo, ogni anno, 165.000.000 di donne a subire una qualche mutilazione. Dico qualche mutilazione poiché la tipologia di questa è varia; se ne contano quattro distinte in mutilazioni di I°,II°,III°,IV° tipo, ove il III° è la peggiore e più devastante in quanto prevede la rimozione di tutto l’apparato genitale esterno (piccole e grandi labbra, prepuzio della clitoride e clitoride stessa) e la sutura quasi completa del meato vaginale. L’infibulazione è di rigore nell’area del Corno d’Africa (Somalia, Eritrea) con punte che variano tra l’80% ed il 100%  della popolazione femminile, mentre in Egitto l’80% delle donne è stata oggetto di una mutilazione mentre sono molto incerti i dati per altri luoghi e zone del pianeta.

Nella distinzione più precisa delle tipologie possiamo descriverle in questo modo: il primo tipo prevede l’asportazione del prepuzio e della clitoride in toto o in parte, il  secondo anche l’escissione delle piccole labbra, il terzo escissione in toto di tutti i genitali esterni e chiusura del meato vaginale come detto. Il quarto prevede la rimozione delle piccole labbra con un allungamento delle grandi labbra (almeno qualcosa si conserva dei genitali esterni). Perché infine tutto questo discorso sulle Mutilazioni Genitali Femminili? Perché bisogna conoscere, perché così culturalmente evitiamo gli errori di altri paesi, perché conoscendo possiamo come cittadini prevenire, prevenire nel senso che la conoscenza non deve essere accusa e pregiudizio, ma comprensione ed attenzione all’altro, poiché conoscenza dell’altro è, e diviene inclusione sociale, ed attraverso l’inclusione sociale che si esce dall’invisibilità, non solo esteriore quale persona, ma escono e si riordinano anche le negatività. Il non chiudere l’altro in un contesto di revisione culturale, significa dare l’opportunità di guardarsi intorno di far sentire l’altro parte del paese e della cultura del paese conservando la propria, senza pregiudizio. Le culture sono sempre qualcosa di buono e le negatività che possono esserci in ogni cultura, si smussano e si cancellano attraverso la conoscenza e l’inclusione, questa è la responsabilità di ognuno di noi, di ogni cittadino, ovvero essere partecipi dell’inclusione attraverso la conoscenza. Dire che l’invisibilità possa in fondo essere la buona scusa per non vederti, ci può anche stare se rivolto alla singola persona (nel mio caso ad esempio) ma l’affermazione la dice molto sulla volontà di conoscere, non me, l’altro, l’invisibile, le negatività dell’invisibilità nel qual caso le mutilazioni. Vuol forse dire che osservare, porre attenzione, leggere il fenomeno sociale, è ritenuta una perdita di tempo. Applicarsi, applicare energie in una osservazione nell’ambiente sociale che ci circonda per un fenomeno così particolare ed invisibile, è faticoso, lungo ed impegnativo e potrebbe essere più semplice fare altro. Dunque, senza pregiudizio e senza giudicare, conoscere l’invisibile forse può essere di aiuto a noi, agli altri, al nostro futuro, al nostro paese ed alle generazioni future.         (di Sandrino Luigi Marra)

 

 

un commento

  1. Giovanna Ermini

    Una informazione sul numero di donne e bambine che ogni anno subiscono le mutilazioni genitali femminili. Nell’articolo si parla di 165.000.000 donne che, ogni anno nel mondo subiscono le MGF. In realtà il numero è di molto inferiore. Secondo i dati dell’United Nations Population Fund (UNFPA), si stima che nel 2015 3,9 milioni di ragazze hanno subito una qualche forma di mutilazione genitale, mentre 2019 il numero arriverebbe a 4,1 milioni di ragazze. Si prevede che questo numero potrebbe salire a 4,6 milioni di ragazze mutilate ogni anno nel 2030.