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Fenomeni migratori, fra disinformazione e memoria corta

L’emigrazione è parte del nostro passato e della nostra contemporaneità, per oltre 150 anni siamo emigrati, ed in soli 50 anni dal 1860 al 1910 sono emigrati dal nostro paese 25.000.000 di persone. Diviene complicato, per chi si occupa seriamente di fenomeni migratori comprendere quando noi italiani ci lamentiamo a vario titolo dell’emigrazione. Diventa anche brutto sentire le parole “sono in carne, sono robusti” oppure “se sono poveri come mai hanno il cellulare”, “non mi pare avere l’aspetto di uno che ha visto la guerra”. I pregiudizi si sprecano e fanno purtroppo parte della disinformazione e della memoria corta che ci ha sempre contraddistinto come popolo, si, tendiamo inesorabilmente a dimenticare il nostro passato e quando lo ricordiamo, come in un anziano signore tendiamo a non ricordarlo bene ed in qualche caso, molti in verità, ad avere un ricordo molto distorto del passato. Eppure l’emigrazione è parte del nostro passato e della nostra contemporaneità, per oltre 150 anni siamo emigrati, ed in soli 50 anni dal 1860 al 1910 sono emigrati dal nostro paese 25.000.000 di persone.
Ci meravigliamo dei giovani africani “in carne” ma non ricordiamo i nostri concittadini di un tempo, poiché le immagini che oggi la rete ci offre sono spesso, pochi ripetuti scatti da Ellis Island, New York, di solito famiglie, ma se guardassimo meglio, oltre le immagini, scopriremmo una diversa realtà. I registri di imbarco ci danno i dati precisi di ogni emigrante, come si chiama, da dove proviene, dove sta andando, la data di nascita, lo stato civile, il riferimento parentale in Italia e negli stati Uniti, il denaro che ha, il saper leggere, l’attività che è in grado di svolgere. Ma quel che colpisce nell’insieme dei dati è l’età; una media costante negli anni e nei decenni di 21/22 anni, la maggior parte maschi, le famiglie e le donne sono invece un fenomeno dei primi anni del novecento, sono il frutto di ricongiungimenti familiari, o di ricongiungimenti post matrimoniali, un viaggio di ritorno per sposarsi e ripartire con la moglie, in una situazione che vede l’uomo già naturalizzato americano. I singoli raggiungono spesso familiari già presenti da anni, non è difficile individuare nei registri dei censimenti nuclei anche di 12 persone, dei quali 4/5 sono il nucleo familiare (moglie, marito, figli) i restanti sono nipoti, pronipoti a volte paesani, spesso cugini, i quali non li ritroviamo più nel successivo censimento in tale nucleo familiare, ma semmai nella stessa strada con una propria famiglia e a sua volta con nipoti, cugini, parenti vari e affini. Il tutto in un ciclo continuo che come una ruota gira e va avanti di anno in anno di quinquennio in quinquennio. Dico quinquennio poiché i dati ci dicono che in media tali situazioni restano in piedi per più o meno tale periodo.
Quando poi confrontiamo i dati dei documenti con i dati in possesso delle famiglie in Italia e con le fotografie in possesso delle famiglie (prima e dopo la partenza) scopriamo che il prozio era un giovanottone muscoloso, in buona salute, spesso con un fisico scolpito dal lavoro nei campi o nei boschi. Tutto sembrano tranne degli affamati, dei morti di fame come ci definivano gli Yankee. Ma dunque non eravamo dei poveri? Certo lo eravamo, non nel termine che intendiamo, non eravamo degli affamati, dei morti di fame senza la forza di fare un passo, non erano questi i nostri antenati. Certo di denari ne avevano ben pochi, il lavoro nell’Italia tra il 1860 ed il 1910 permetteva di vivere, nel senso di mettere sulla tavola pane e companatico 3 volte al dì, poi si aveva qualche serio problema per comprarsi un paio di scarpe “importanti” un vestito nuovo, bisognava indebitarsi per curarsi, con una sanità al tempo totalmente a carico del paziente. La classe operaia e contadina aveva tali problemi, molto raramente aveva la possibilità di istruire i figli, quando l’aveva si puntava ad istruirne uno solo. Si viveva in abitazioni in buona parte di proprietà, ma spessissimo erano abitazioni di massimo due stanze, in cui convivevano gli uomini e  gli animali da cortile (galline, oche) , “qualche” volta il bue, l’asino ed il maiale; insieme, o separatamente in base alle possibilità. Chi aveva un pezzo di terra allevava ovviamente vacche, averne 5 significava essere quasi ricco. Il limite tra essere modesti ed essere poveri passava dalle stagioni per i contadini, una cattiva annata, un raccolto andato a male, la moria di qualche bestia significava il dover vendere un pezzo del pezzo di terra, o indebitarsi ad usura. Se andava male restava la “casa” ed una esistenza errabonda da bracciante.
Questa al tempo per il nostro paese era una povertà relativa, relativa poiché in una epoca in cui si guardava o si iniziava a comprendere che il futuro poteva essere l’istruzione e la buona salute, non vi erano i parametri di ricchezza per nessuno dei due, così l’emigrazione era una possibilità di miglioramento. Attenzione miglioramento, il sogno americano era un sogno consapevole, molti, moltissimi sapevano che era il paese delle opportunità, per una vita migliore, più dignitosa, che il paese America offriva e poteva offrire lavoro stabile, una opportunità reale per i figli e per i nipoti;una vita migliore, quasi tutti erano consapevoli che non sarebbero divenuti dei ricchi. E così i progetti di migrazione si discutevano in famiglia e spesso si decideva in famiglia chi sarebbe partito. E chi partiva? Il più giovane, il più in forza, colui che aveva la migliore salute, il più in forza e spesso il più istruito, di solito tra gli istruiti del popolino la quarta elementare, dunque in grado di “leggere, scrivere e far di conto”. Negli States si andava per spaccarsi la schiena, operai edili, scaricatori di porto, braccianti agricoli, Lumberjack nome altisonante per dire operaio boschivo, i nostri taglia bosco insomma. Operai metalmeccanici, spazzini a iosa, ambulanti, sarti, macellai nelle grandi catene di macellazione e distribuzione della carne (qui fisici robusti per caricarsi i quarti di bue), operai nelle municipalizzate (a Rochester, Stato di new York al confine con il Canada gli italiani della municipalizzata, diversi del Medio Volturno, manutenevano, udite udite, le fogne ), operai nelle fabbriche del ghiaccio, operai delle ferrovie (a costruire o manutenere le linee ferroviarie) o nelle fabbriche di automobili (alle catene di montaggio 8 ore al giorno) e così via. Prima di vedere gli italiani occupare livelli superiori della società americana sono trascorse in media 2 generazioni, cosa significa ciò (sembra una frase senza tempo e senso); che sono trascorsi tra i 25 ed i 40 anni, ovvero spesso non i figli, ma i nipoti dei nostri emigrati hanno visto cambiare la propria posizione sociale, salire i gradini della scala sociale. Ma allora si pone spontanea una domanda, cosa hanno guadagnato i nostri antenati in tale contesto, perché sono poi emigrati ricominciando in pratica da zero? Perché il paese America offriva dignitose retribuzioni, uno stipendio fisso, spesso garantito per anni, duro, faticoso ma pagato bene rispetto agli standard degli stessi lavori in Italia. Permetteva dunque una vita dignitosa, tre pasti al giorno, una paio di buone scarpe per tutti i membri della famiglia, un vestito per la festa, e più di un abito per tutti i giorni il poter accedere con il il tempo ad un mutuo bancario e comrare una casa o un appartamento di quattro stanze e bagno, spesso in comune ma non in cortile , o come da una lettera alla mamma: “……madre ho sei paia di mutande, sei paia di calzini, ho 3 paia di calze pesanti di buona lana per l’inverno, 4 camicie, 3 pantaloni, ho i guanti di lana ed un cappotto, ho tre paia di scarpe, uno di queste per l’inverno, con una tomaia alta 2 dita, questo mese ho lavorato di più e ti mando per la famiglia la differenza oltre al solito”.
Tutto ciò ha una differenza rispetto ai nostri tempi, rispetto alla migrazione africana, indiana, o sud americana. Le popolazioni di questi luoghi hanno subito la colonizzazione europea, in alcuni casi per circa 500 anni, per l’Africa circa un paio di secoli. Oggi nell’era millennium, in un tempo che in teoria ha visto scomparire la colonizzazione ma dove nella realtà almeno africana, vige il neocolonialismo invisibile, spesso fatto di Land Grabbing (di cui parleremo in un’altra occasione) di destabilizzazione politica voluta dai paesi ex coloniali, di dominio economico di multinazionali, che mettono in condizione di difficoltà milioni di persone, che hanno creato e creano quelle stesse condizioni socio economiche che il nostro meridione conobbe dopo l’Unità d’Italia, per un tempo oltremodo lunghissimo prima che ci si rendesse conto che l’Unità la si stava facendo ma si stava realizzando una colonizzazione, almeno inizialmente. E dunque se proiettiamo la situazione sociale dei nostri luoghi così come furono, in un contesto più grande quale l’Africa, ci possiamo rendere conto che è identico, cambiano solo i tempi e le modalità poi è la fotocopia in nero in epoca contemporanea.
Ed è proprio su tutto ciò che si è descritto che dovremmo riflettere, ricordare, ricordare ciò che spinse i nostri nonni ad emigrare, a comprendere perché alcuni restarono mentre altri partirono. Ricordare che molti non hanno mai più visto casa, i propri genitori, il proprio paese, così come molti dei giovani che guardiamo con disgusto che definiamo in carne, vivranno, se fortunati le stesse identiche esperienze dei nostri nonni e bisnonni, che forse non vedranno mai più casa, ne vedranno i propri genitori, i propri congiunti; e come la storia dimostra questi invisibili cominceremo a vederli tra 20 anni o forse 30, quando i loro figli e nipoti non saranno più i reietti della società ma cominceranno a salire la scala sociale. Ma resta una fatto per la nostra società, per il nostro paese, ovvero abbiamo dimenticato la nostra lunga storia di migrazione, il paese ed il popolo con la più numerosa migrazione che la storia ricordi, concentrata in decine di milioni di individui in un tempo ristrettissimo, abbiamo dimenticato quel che abbiamo vissuto, abbiamo dimenticato quell’esperienza migratoria che potrebbe farci essere il non plus ultra in materia, ove anche la moderna Danimarca, la civile Svezia, la progredita Norvegia, le terre insomma dei progrediti ed inclusivi vichinghi, sarebbero pulcini a confronto di elefanti, se solo ricordassimo, ricordassimo di quando altrove noi eravamo gli invisibili, nella stessa identica condizione degli invisibili di oggi.

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