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CASERTA – Imprenditore del calcestruzzo ucciso dalla camorra, parla il boss Belforte: i casalesi chiedevano le cave per seppellire rifiuti

CASERTA – Udienza importante, quella di oggi, nell’ambito del processo nato dall’omicidio dell’imprenditore Vincenzo Feola. Sul banco dei testimoni, chiamato dalla pubblica accusa, è salito  Salvatore Belforte, boss dell’omonimo clan. Ha parlato dei rapporti fra il suo clan e quello dei casalesi, ha ripercorso la vicenda che portò al delitto dell’imprenditore che fu punito per non aver  ceduto alle pressione dei clan. Ma il boss Belforte ha toccato anche un altro punto importante e drammatico che ha devastato l’intera provincia di Caserta: lo smaltimento illecito di rifiuti. I Casalesi, ha affermato il boss Belforte in aula, pretendevano di poter utilizzare le cave nell’intera provincia per seppellire rifiuti di ogni genere. Una richiesta alla quale il clan Belforte si oppose. Si tornerà in aula fra pochi giorni per sentire altri testimoni.  Dopo 25 anni partirà il processo a carico di cinque persone ritenute, responsabili a vario titolo, dell’omicidio di Vincenzo Feola, l’imprenditore del calcestruzzo ucciso – secondo la Procura – per non aver rispettato i piani dei clan che imponevano il prezzo dei materiali. Sono coinvolti Nicola Panaro, Cipriano D’Alessandro, Francesco Bidognetti, Giuseppe Misso, Andrea Cusano, Ettore De Angelis. Secondo la Procura della Repubblica di Napoli sono gli autori dell’omicidio dell’imprenditore edile Vincenzo Feola commesso il 21 ottobre 1992 a Caserta. L’imprenditore edile fu ammazzato nella sua azienda “Appia Calcestruzzi” sul viale Carlo III.

I ruoli:
Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone mandanti dell’omicidio;
Nicola Panaro e Michele Iovine (deceduto) esecutori materiali del delitto;
Giuseppe Misso, Oreste Caterino (deceduto) e Dario De Simone fornivano la vettura utilizzata per l’omicidio;
Cipriano D’Alessandro, Andrea Cusano ed Ettore De Angelis ebbero  il compito di supporto al gruppo di fuoco, facendo da apripista per controllare eventuale presenza delle forze dell’ordine e la localizzazione della vittima.

L’indagine è partita nel 2015 dopo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali Nicola Panaro, Giuseppe Misso e Cipriano D’Alessandro.  Secondo quanto ritenuto dal gip, l’omicidio era stato deciso dai capi dell’epoca del clan, ovvero Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone ed eseguito da Nicola Panaro e Andre Cusano. L’imprenditore aveva inteso non aderire al consorzio Cedic Calcestruzzo che in maniera monopolistica gestiva e spartiva gli appalti relativi alla fornitura del cemento in provincia di Caserta. A tale consorzio, ideato da Antonio Bardellino, aderirono tutti i produttori di calcestruzzo casertani, titolari di cave e di impianti di produzione, determinando la gestione del mercato in maniera esclusiva da parte del sodalizio criminale.  Feola, già socio del Consorzio, chiese l’estromissione della propria azienda in quanto non intendeva più aderire alle condizioni economiche dettate dal clan ovvero la corresponsione di una percentuale, pari a 2mila lire per ogni metro cubo di cemento distribuito nell’ambito del normale espletamento dell’attività lavorativa. Feola, secondo quanto ricostruito dalla Dda, venne ucciso per la sua errata convinzione di poter determinare il prezzo del cemento sul mercato a prescindere dalla volontà del Consorzio, e di poter evitare di pagare una percentuale sui lavori che stava effettuando nell’area industriale di Marcianise. Le difese degli imputati sono affidate aglia vvocati Rosaria Gentile, Gabriele Gallo, Sergio Mazzone, Emilio Martino, Civita Di Russo, Raffaella Ria, Rosario Piombino.

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