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SESSA AURUNCA – Cultura e tradizioni: il canto del “Buco Buco” in tutto il territorio aurunco

Sessa Aurunca (di Melina Vitale) – Oggi, domenica 31 dicembre, è la vigilia di Capodanno e come ogni anno, in questo periodo, in tutto il territorio aurunco, viene eseguito nelle contrade, il canto del “Buco Buco”. Per chi non lo sapesse (e sfido chiunque, dopo anni e anni di tradizioni), è un canto di strina che viene eseguito il 31 dicembre (in tutto il territorio aurunco) da squadre di musicisti, detti bucobuchisti, che in competizione tra loro, dal tramonto, girano per il paese alla ricerca di un’offerta (‘a ‘nferta), un tempo esclusivamente di tipo alimentare, proponendo in cambio il canto bene-augurante. La strina è, infatti, il canto di questua che accompagna la nascita del nuovo anno, benedicendo la famiglia e di buon auspicio per raccolti abbondanti. Il testo vede il fondersi del racconto dell’avvento di Gesù Cristo con versi bene-augurali ed altri nei quali viene palesata la richiesta di un’offerta. In ogni performance il testo viene rielaborato dal cantore che, a seconda dell’occasione, modifica l’ordine e il numero delle strofe e, in alcuni casi, anche alcune parole. Lo strumento principe di questo rito e che conduce il canto è il tamburo a frizione, putipù, conosciuto nel casertano come buco buco, denominazione locale che dà il nome anche al rito e al componimento musicale. Questo membranofono è accompagnato da molti altri strumenti con cui forma un corpo bandistico. Quest’ultimi comprendono varie tipologie di idiofoni a raschiamento e a frizione, dal tricchebballacche allo scetavajasse; membranofoni di varie dimensioni, dalla tammorra alla grancassa; ma anche fisarmoniche, piatti, ottoni, cordofoni, strumenti ad ancia e molti altri. In questa esecuzione, c’è l’alternarsi di una voce principale maschile accompagnata in alcuni versi da un coro di voci, anch’esse maschili.

Non ci resta che augurarci, allora, “Gentilissimi miei signori…”, Buona Fine e Buon Inizio Anno, e come è nella tradizione sessana, sempre “pe’cient’anni!”…

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