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foto di repertorio

ITALIA – Campagna militare afgana: sedici anni a Kabul

Italia – Partecipazione dell’Italia alla campagna militare afgana: mezzo miliardo di euro l’anno. Questo è il costo, secondo il rapporto “Afghanistan, sedici anni dopo” pubblicato dall’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane, che traccia un bilancio di questa guerra, iniziata il 7 ottobre 2001. In realtà è molto più pesante considerando i suoi costi indiretti, difficilmente quantificabili: l’acquisto ad hoc di armi, munizioni, mezzi da combattimento ed equipaggiamenti, il loro continuo aggiornamento a seconda delle esigenze operative e il ripristino delle scorte, l’addestramento specifico del personale e, non da ultimo, i costi sanitari delle cure per le centinaia di reduci feriti e mutilati. In sedici anni la guerra in Afghanistan è costata complessivamente 900 miliardi di dollari: 28mila dollari per ogni cittadino afgano. In termini umani è costata la vita di 3.500 soldati occidentali (53 italiani) e di 140mila afgani tra combattenti (oltre 100mila, un terzo governativi e due terzi talebani) e civili. Chi sostiene la necessità di portare avanti questa guerra si appella alla difesa dei progressi ottenuti. Quali? A parte un lieve calo del tasso di analfabetismo e un modestissimo miglioramento della condizione femminile, l’Afganistan ha ancora oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile , tra le più basse aspettative di vita del pianeta ed è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo. Politicamente, il regime integralista islamico afgano (fondato sulla sharìa e guidato da ex signori della guerra della minoranza tagica) è tra i più inefficienti e corrotti al mondo e ben lontano dall’essere uno Stato di diritto democratico: censura, repressione del dissenso e tortura sono la norma. Per non parlare del problema del narcotraffico. Anche dal punto di vista militare i risultati sono deludenti. Dopo sedici anni di guerra, i talebani controllano o contendono il controllo di quasi metà Paese. Sul fronte occidentale sotto comando italiano dove, per fronteggiare l’avanzata talebana, dall’inizio dell’anno i nostri soldati sono tornati in prima linea a pianificare e coordinare le offensive dei soldati afgani. L’unica soluzione per il miglioramento e progresso di questa società è il dialogo con i talebani e la loro inclusione in un governo federale e multietnico, il ritiro delle truppe Usa e Nato e la riconversione della cessata spesa militare in ricostruzione e cooperazione. L’alternativa è il prolungamento indefinito di una guerra sanguinosa che nessuno ha la forza di vincere e che sprofonderà l’Afghanistan in una situazione di caos e instabilità crescenti, facendone un rifugio ideale per formazioni terroristiche transnazionali come Isis-Khorasan. Una prospettiva pericolosa ma utile da un punto di vista geostrategico, poiché uno stato di guerra permanente giustificherebbe un’altrettanto permanente presenza militare occidentale che, seppur minima, basterebbe a scoraggiare interferenze da parte di potenze regionali avverse (Russia, Cina, Iran, Pakistan) desiderose di estendere la loro influenza strategica, stroncare il narcotraffico afgano che le colpisce e, non ultimo, mettere le mani sulle ricchezze minerarie afgane (in particolare le ‘terre rare’ indispensabili per l’industria hi-tech) valutate tra i mille e i tremila miliardi di dollari.

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